Come mangiare cioccolato senza ingerire pesticidi né provocare deforestazione

Troppo spesso i prodotti a base di cacao solo legati a processi di deforestazione e coltivati con pesticidi vietati nell'Unione europea

Il cioccolato è il principale derivato del cacao © Say-Cheese/iStockPhoto

Ha proprietà antiossidanti, è un antidepressivo, è benefico per il colesterolo ed è ricco di sostanze minerali e vitamine. Il cacao è un vero toccasana. Ma non fa sempre bene. Per esempio, è un alimento molto calorico ed è controindicato per chi soffre di ipertensione. Oltre a causare in troppi casi deforestazione, abuso di pesticidi e sfruttamento del lavoro, anche minorile. Eppure il cioccolato, il principale derivato del cacao, piace a (quasi) tutti. Dobbiamo privarcene? Certo che no! Ma è importante a riconoscere il cioccolato davvero buono, per tutti.

Il cacao non genera ricchezza per i Paesi che lo producono

Ogni anno nel mondo si producono oltre 5 milioni di tonnellate di fave di cacao. Un dato in continua crescita e che rappresenta il doppio della produzione di 30 anni fa. Sono soprattutto due i continenti produttori: America Latina, da dove il cacao arrivò nel Vecchio Continente portato dai Conquistadores, e Africa. Ed è in particolare da quest’ultima che proviene il 77% del cacao acquistato dalle multinazionali dolciarie. Con il 65% dell’offerta mondiale arriva da due soli Paesi: Costa d’Avorio e Ghana. L’Unione europea è il maggiore importatore.

Il mercato mondiale del cacao vale 100 miliardi di dollari all’anno. Ma solo 2 miliardi (ovvero il 2%) arrivano effettivamente ai produttori. La maggior parte dei profitti è spartita tra chi si occupa della lavorazione delle fave e della distribuzione dei prodotti lavorati.

La ragione di questa disparità si trova nel meccanismo di formazione del prezzo del cacao. Determinato, infatti, dalle grandi aziende che controllano il mercato. CargillOlamBarry Callebaut. E quelle che lo trasformano in cioccolato: Mars, Nestlé, Ferrero, Meji. E nessuna di loro è africana: «Per ragioni soprattutto politiche, ai produttori è di fatto impedito di trasformare localmente la materia prima», dichiara Andrea Mecozzi, fondatore di Chocofair e uno dei massimi esperti del settore in Italia.

la catena di valore del cacao
La catena di valore del cacao © “Commercio equo e solidale. Buono per chi lo produce, per chi lo consuma, buono per cambiare il mondo”, elaborazione a partire da Cocoa Barometer 2012

L’organizzazione del sistema economico globale, infatti, ha assegnato ai Paesi in via di sviluppo il ruolo di produzione e esportazione di materie prime, costringendoli a importare beni da altre nazioni. E frenando così lo sviluppo di un’economia locale in grado di generare ricchezza. È quello che succede anche con il cacao, per il quale i Paesi che ne producono le fave devono poi importare i prodotti lavorati. Arrivando a casi emblematici e paradossali, come quello della Costa d’Avorio che, come sottolinea Mecozzi, «produce troppo. Le multinazionali, remunerando la quantità e non la qualità, hanno spinto i coltivatori ad aumentare la produzione. Abbandonando le antiche varietà che potevano essere coltivate a biologico, e quindi senza l’uso di pesticidi, con altre che producono di più, ma impoveriscono il terreno e incentivano la deforestazione». Così, l’eccesso di produzione fa sì che il prezzo, determinato dai compratori, diminuisca.

Cacao e speculazione finanziaria

Il cacao, come altre commodities, viene acquistato dalle multinazionali attraverso il mercato. In particolare, ad essere comprati sono dei contratti futures. Ovvero l’impegno ad acquistare a un prezzo predeterminato un bene di cui si usufruirà in futuro. I luoghi in cui si scambiano contratti futures sul cacao sono tre: ICE Futures US di New York, ICE Futures Europe e CME Europe di Londra.

Tali contratti sono usati, di fatto, da decenni e decenni per aiutare i contadini ad affrontare l’incertezza dei raccolti. Per esempio a causa di condizioni climatiche impreviste che possono comprometterli. Il loro scopo originario era consentire agli agricoltori di vendere i raccolti in una data futura a un prezzo garantito. Tuttavia, questi stessi contratti possono essere acquistati e venduti da speculatori che non hanno alcun interesse rispetto all’effettiva vendita del cibo. Invece, con il commercio dei futures possono trarre profitto se i prezzi cambiano nel corso del tempo. In sostanza scommettendo sul prezzo del cibo.

È ciò che sta succedendo in queste settimane, come spiegato da Alessandro Volpi sulle pagine di Valori: «Una tonnellata di cacao costa ormai oltre 5.800 dollari, in pratica il prezzo è raddoppiato in poche settimane. Da cosa dipende questo aumento? Semplice: da una nuova, colossale speculazione finanziaria posta in essere da alcuni fondi che hanno scommesso al rialzo, dopo che i raccolti in Ghana e Costa d’Avorio sono stati meno copiosi del previsto».

«In pratica – prosegue Volpi – i fondi hanno tradotto in un gigantesco aumento dei prezzi, di chiara natura speculativa, una parziale riduzione dell’offerta di cacao. Naturalmente questa speculazione è partita dopo che erano stati già pagati i coltivatori ghanesi e ivoriani, che hanno ricevuto circa 1.700 dollari a tonnellata. Dunque, i profitti stanno finendo interamente nelle mani di pochi grandi speculatori. Fondi che approfittano della possibilità di operare acquisti “fittizi”, tramite gli strumenti derivati, di un bene che non compreranno mai. E della prerogativa di prendere parte alle Borse merci mondiali, dove dovrebbero essere presenti solo i produttori reali».

Cacao e deforestazione

In questo contesto, i coltivatori di cacao sono spinti ad aumentare la quantità di fave prodotte, piantando sempre più alberi e contribuendo così alla deforestazione di ampie zone. Di nuovo la Costa d’Avorio rappresenta un caso emblematico. La crescita esponenziale della produzione, infatti, si è accompagnata con l’aumento delle aree agricole dedicate alla coltivazione del cacao. Stime della Fao segnalano che, dai 2,5 milioni di ettari censiti nel 2011, la superficie totale delle piantagioni di cacao in nel Paese ha raggiunto i 3,2 milioni di ettari dopo solo otto anni. Il 63% dei quali ottenuto dalla deforestazione di intere aree.

deforestazione cacao costa d'avorio
La perdita di foreste pluviali tropicali in Costa D’Avorio © Chocolate’s dark secret, Mighty Earth

Costa d’Avorio e Ghana hanno visto negli ultimi anni un’accelerazione nella perdita delle foreste pluviali tropicali. Più veloce che in qualsiasi altra parte del mondo: la sola Costa d’Avorio negli ultimi cinquant’anni ha perso l’80% delle foreste che ricoprivano il proprio territorio. Secondo uno studio condotto nel periodo 2000- 2015 nell’ambito del progetto Redd+ per la protezione delle foreste, circa 28.800 ettari di aree disboscate sarebbero stati destinati ogni anno alla produzione di cacao.

La lotta alla deforestazione sarà pagata dai piccoli produttori

Per fare fronte a questa situazione, l’Unione europea è corsa ai ripari con un regolamento per combattere la deforestazione. Il provvedimento interviene sulle catene di approvvigionamento di materie prime come olio di palma, socia, caffè, cacao, legno e gomma o prodotti derivati. Le imprese che esportano o immettono sul mercato europeo questi prodotti dovranno dimostrare che essi non contribuiscono alla deforestazione o al degrado forestale.

Un provvedimento lodevole, ma che desta la preoccupazione dei piccoli produttori di cacao. Riunite a Parigi in occasione del Salone del cioccolato a novembre scorso, alcune cooperative di piccoli coltivatori del Ghana e della Costa d’Avorio hanno sottolineato come la tracciabilità del prodotto comporti dei costi che solo i grandi produttori sono in grado di sostenere. Lo conferma al sito di informazione Novethic Guillaume Lescuyer, esperto del Cirad, centro francese di ricerca in agricoltura per lo sviluppo: «I produttori non sono stati consultati. La distribuzione dei costi legati alla tracciabilità costituirà un problema e il settore privato si rifiuta di discutere l’argomento. Il legislatore europeo non ci ha pensato».

Ancora Novethic riferisce le stime di uno studio secondo il quale il costo aggiuntivo legato alla tracciabilità del cacao sarebbe di circa 100 euro a tonnellata per un prezzo che oscilla intorno ai 2mila euro a tonnellata su un anno, ovvero intorno al 5%. E, sottolinea il giornale, «per combattere la deforestazione è fondamentale la questione dei prezzi. Se questi ultimi sono aumentati vertiginosamente negli ultimi mesi – senza ripercussioni per il momento sui produttori – il trend storico di prezzi molto bassi ha spinto i produttori a disboscare per piantare nuovi alberi di cacao piuttosto che ad attuare pratiche sostenibili, più costose».

Conclude César Paz, della cooperativa peruviana Norandino: «I produttori sono costretti a disboscare per guadagnarsi da vivere. È come se la legge attribuisse la colpa ai piccoli produttori e non alle grandi multinazionali responsabili dei prezzi molto bassi, e quindi della deforestazione». Alcune grandi aziende, come Cargill, si sono offerte di supportare i sistemi di geolocalizzazione. Ma con il rischio di creare un legame di dipendenza ancora maggiore con i produttori, che avranno ancora meno spazio di trattativa sui prezzi.

Cacao e pesticidi

Oltre alla deforestazione, la monocultura del cacao ha un altro grave effetto sull’ambiente, sulla salute umana e sul clima: l’utilizzo massiccio di fertilizzanti e pesticidi, molti dei quali sono vietati in Europa. L’uso di pesticidi in Africa è inferiore a quello del Vecchio Continente e del Nord America. Tuttavia, negli ultimi vent’anni si è registrato un aumento di oltre il 70%. Una tendenza che si può osservare anche nelle coltivazioni di cacao in Africa occidentale. Uno studio del 2020 stima che in Costa d’Avorio e Ghana il 77% delle famiglie di coltivatori di cacao utilizza pesticidi, con un aumento di oltre il 20% tra il 2014 e il 2019.

Queste sostanze provocano danni alla biodiversità, inquinano le falde acquifere, rappresentando quindi un pericolo per le comunità rurali e per gli animali. Inoltre, sono frequenti i casi di avvelenamento e gli agricoltori che ne fanno uso (in molti casi senza conoscerne la nocività e le regole per il corretto utilizzo) spesso incorrono in gravi problemi di salute.

I pesticidi più comunemente utilizzati nella coltivazione del cacao appartengono al gruppo degli insetticidi. Ma vengono utilizzati anche erbicidi e fungicidi. Un’analisi più approfondita degli ingredienti attivi rivela un dato allarmante: la stragrande maggioranza dei pesticidi utilizzati nella produzione di cacao è classificata come altamente pericolosa dalla Rete d’azione sui pesticidi (PAN) ed è vietata o non più approvata per l’uso nell’Unione europea a causa dei suoi gravi effetti sulla salute e sull’ambiente. In Costa d’Avorio e in Ghana, tuttavia, la maggior parte delle sostanze attive è ancora autorizzata. Quindi, di fatto, mangiando cioccolata prodotta con cacao proveniente da quei Paesi rischiamo di ingurgitare sostanze che l’Europa ritiene pericolose.

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Un lavoratore della filiera del cacao a Accra, in Ghana © JoseCarlosAlexandre/iStockPhoto

Come scegliere un cioccolato buono per tutti

Ma quindi, che fare? Dobbiamo smettere di mangiare cacao e suoi derivati? Ovviamente no. Però con alcune accortezze possiamo scegliere prodotti che siano buoni per il palato e anche per chi li produce e per l’ambiente. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative che promuovono una produzione sostenibile di cacao. Cooperative di coltivatori che, unendo le forze, riescono a stabilire prezzi equi e lavorare quindi riducendo o azzerando l’uso di pesticidi e smettendo di disboscare. O, ancora, progetti pionieristici che tentano di attivare un’industria di trasformazione del cacao in cioccolato direttamente nei Paesi produttori.

In generale, scegliere cacao e prodotti derivati biologici, che riportino indicazioni circa la provenienza e certificati “fairtrade” aiuta a goderci il piacere del cacao riducendone gli impatti.