Sei grandi banche accusate di fare il doppio gioco in Amazzonia

Sei tra le maggiori banche dicono di proteggere la foresta pluviale, ma solo a parole, stando all’ultimo rapporto di Stand.earth

Cecilia Cacciotto
Sei grandi banche da circa vent’anni stanziano circa la metà dei prestiti concessi ad aziende che operano nel settore petrolifero e del gas in Amazzonia © SL_Photography/iStockphoto
Cecilia Cacciotto
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Dito puntato contro le grandi banche internazionali, accusate di fare il doppio gioco in Amazzonia. Sei tra i più importanti istituti di credito mondiali dicono di proteggere la foresta pluviale, ma solo a parole, stando all’ultimo rapporto di Stand.earth. Nei fatti, le banche finanziano progetti che stanno minando l’ecosistema più strategico dell’intero Pianeta.

A sedere sul banco degli imputati ci sono Citibank, JPMorgan Chase, Itaú Unibanco, Santander e Bank of America, che da circa vent’anni stanziano circa la metà dei prestiti concessi ad aziende che operano nel settore petrolifero e del gas nella foresta amazzonica.

Il rapporto, realizzato in collaborazione con il Corpo di coordinamento delle organizzazioni indigene del bacino amazzonico (Coica), ha mappato gli impegni di governance ambientale e sociale (ESG), rilevando che il 71% di quello che resta il polmone più importante dell’intero Pianeta non è tutelato da politiche per la gestione del rischio. Sia che si parli di cambiamento climatico, biodiversità e diritti delle popolazioni indigene.

Le politiche ambientali variano da banca a banca: per JPMorgan Chase, per esempio, i vincoli a tutela della biodiversità, stando al rapporto, si applicano solo ai siti Unesco. Che coprono appena il 2% dell’Amazzonia e che, in ogni caso, difficilmente possono essere presi in considerazione per l’esplorazione in cerca di petrolio e gas.

La britannica HSBC ha una politica di difesa per l’Amazzonia

La britannica HSBC, un tempo maglia nera per finanziare progetti ad alto impatto ambientale, è l’unica ad aver adottato una politica severa a difesa della foresta amazzonica da fine 2022. E finora ha rispettato il dettato ecosostenibile che si è data.  Angeline Robertson, uno degli autori del rapporto, ha salutato positivamente il risultato della banca inglese: «Dimostra che si può fare; ed è stato fatto anche da un’azienda che aveva grossi investimenti».

Le altre cinque banche, denuncia il rapporto, permettono lo sfruttamento del 71% della foresta amazzonica senza mettere a punto alcun piano di prevenzione di rischi ambientali e sociali.

Il rapporto invita le banche a promuovere aree geografiche di esclusione, bloccando transazioni e attività nel settore del petrolio e del gas. La foresta pluviale resta d’altra parte anche fondamentale per la tutela della biodiversità. E il punto di non ritorno è dietro l’angolo, ricordano le comunità indigene, se non si adottano politiche mirate già nei prossimi mesi, entro il 2025 in ogni caso: tutti gli attori coinvolti devono agire per tutelare almeno l’80% dell’Amazzonia.

Le banche: «Abbiamo un ruolo positivo nella tutela dell’ambiente»

Le banche mettono però le mani avanti. E sostengono di avere comunque un ruolo positivo, visto che incoraggiano l’industria estrattiva ad adottare politiche più responsabili.

È vero anche che la maggior parte dei finanziamenti, secondo Stand.earth, arriva sotto forma di obbligazioni. Queste, per quanto siano una pratica standard, sono destinate a scopi precisi ma dai contorni ampi. E richiedono un follow-up minimo o nullo una volta firmato l’accordo. Ciò rende potenzialmente difficile l’applicazione di linee guida su specifiche problematiche ambientali o sociali.

Il grido di dolore degli indigeni per salvare la foresta pluviale

«La foresta pluviale è letteralmente in fiamme, i nostri fiumi sono inquinati o si stanno prosciugando – ha affermato Fany Kuiru, coordinatrice generale del Coica -. Il nostro destino è il vostro destino: l’Amazzonia è fondamentale per il futuro del nostro Pianeta. Le banche cercano di lavarsi le mani attraverso politiche vaghe, ma devono essere ritenute responsabili per il danno che i loro soldi stanno causando alle popolazioni indigene e alla biodiversità. Non una sola goccia di petrolio amazzonico è stata estratta con il consenso dei popoli indigeni. Chiediamo a Citibank, JPMorgan Chase, Itaú Unibanco, Santander e Bank of America di porre fine ai finanziamenti per estrarre petrolio e gas».

Stando ancora ad Angeline Robertson, le cinque banche hanno politiche volte più a tutelare la propria immagine che a salvaguardare l’ambiente. Ma questo potrebbe cambiare rapidamente se le banche «includono il rischio ambientale nel proprio portafoglio, perché questo è ciò che ci riserva il futuro. Con i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità, abbiamo bisogno che la finanza prenda decisioni migliori per il bene dei loro clienti e dei loro stessi interessi commerciali. Siamo alla resa dei conti».

Le critiche al rapporto

Non mancano comunque le critiche al rapporto e al metodo utilizzato. Secondo i detrattori, è poco ortodosso accostare finanziamenti pluriennali con altre line di credito, rifinanziamenti e finanziamenti indiretti.

Citibank, che ha aggiornato la sua policy sui rischi agricoli nel 2022, ha dichiarato di lavorare «direttamente con i clienti per valutare il loro impegno, capacità, politiche, sistemi di gestione e del personale per gestire specifici rischi ambientali e sociali». JPMorgan Chase ha ribadito si sostenere «i principi fondamentali dei diritti umani, includendo i diritti dei popoli indigeni con tutte le nostre line di credito e d’investimento in tutte le regioni del mondo in cui operiamo».

Un portavoce di Santander ha invece sottolineato che «tutte le decisioni di finanziamento s’ineriscono nel quadro politico approvato dal nostro consiglio di amministrazione e le nostre attività sono in linea con tutte le normative ambientali della regione. Siamo consapevoli che si tratta di una sfida estremamente complessa che richiede una risposta multilaterale e articolata».

Ultimo ma non marginale, da quando Stand.earth ha lanciato la sua campagna a favore dell’Amazzonia, diverse banche, tra cui BNP Paribas, Natixis, ING e Credit Suisse, si sono impegnate in maniera più concreta a favore della foresta pluviale.

Gli investimenti delle banche coinvolte nel settore estrattivo in Amazzonia

Citibank è la prima banca al mondo per finanziamenti alle operazioni estrattive in Amazzonia, finanzia operazioni per due miliardi e 321 milioni di dollari. I suoi programmi di protezione ambientale e sociale del territorio amazzonico prevedono che il 2% della foresta sia esclusa completamente dalle operazioni di estrazione e che il 44% sia protetto a livello sociale e ambientale da rischi ecologici. Per lo sfruttamento del 54% del suolo non è prevista alcuna garanzia di protezione.

JPMorgan Chase è seconda nella classifica, con 2 miliardi e 252 milioni di finanziamenti. La percentuale di area soggetta a protezione scende al 16%, resta scoperto da tutele il restante 84% del territorio e delle popolazioni indigene. La banca brasiliana Itaù Unibanco, con 1 miliardo e 933 milioni di dollari investiti nell’estrazione di gas e petrolio in Amazzonia, è la terza banca ad operare nel settore. La peggiore a livello di tutela ambientale: non vi sono limiti a trivellazioni, disboscamento.

Il gruppo Santander finanzia le estrazioni in Amazzonia con 1 miliardo e 359 milioni di dollari è il quarto gruppo bancario al mondo che opera nella foresta. Si impegna a preservare il 40% del territorio amazzonico garantendo protezione agli indigeni e alla biodiversità della foresta. Il 60% del suolo sfruttato resta invece escluso da queste tutele.

Bank of America è la quinta banca al mondo per finanziamenti con 1 miliardo e 268 milioni di dollari investiti. Al 45% del territorio è garantita protezione ambientale, il 55% rimane invece scoperto da una giusta gestione del rischio.