Anche le banche vogliono “armi sostenibili”
Aumenta la pressione anche delle banche per riconoscere la sostenibilità degli investimenti in armi. «Inaccettabile» per la finanza etica
Tira una brutta aria sull’Europa. Nella corsa all’aumento delle spese militari si prova a fare passare anche l’industria degli armamenti come “sostenibile”. Un tentativo avviato dalle stesse industrie del settore. E fino a qui, per quanto l’idea di “armi sostenibili” possa apparire un ossimoro, si può capire che le imprese provino a tirare acqua al proprio mulino.
Sempre più clienti e risparmiatori vogliono investire i propri soldi seguendo criteri sociali e ambientali. E nessuno vuole essere escluso, con il rischio di avere meno finanziamenti e a un costo superiore. Per rendersi conto della posta in gioco, basta guardare la pressione esercitata per includere gas e nucleare tra i settori ammissibili nel percorso europeo sulla finanza sostenibile. Ne avevamo scritto in diverse occasioni sottolineando come, assieme a gas e nucleare, diverse imprese della difesa, tra le quali l’italiana Leonardo, stessero chiedendo di essere incluse anche loro.
Per la finanza etica è semplicemente «inaccettabile» considerare le armi sostenibili
Una posizione che sembrava irricevibile, ma che invece ha fatto breccia. Nei mesi scorsi i ministri della difesa dell’Ue hanno chiesto di non escludere le aziende che producono armi da quelle che si possono considerare sostenibili. Secondo loro tale esclusione potrebbe «danneggiare la reputazione» del settore, oltre a rendere più complicato l’accesso a capitali e investimenti. Una posizione semplicemente «inaccettabile» per la finanza etica.
Una richiesta, però, che ora viene portata avanti dallo stesso mondo bancario, o almeno da una parte di esso. Sono le banche francesi in particolare a essersi recentemente schierate. L‘associazione che riunisce le banche d’oltralpe, la Fédération des Banques Francaises (FBF) in una risposta a una consultazione della Commissione europea chiede una “eccezione strategica” per non penalizzare l’accesso ai finanziamenti del settore delle armi.
In un recente articolo, il quotidiano francese Les Echos spiega come secondo la FBF le agenzie di rating non dovrebbero potere abbassare il voto sulla sostenibilità di un’impresa “solo” perché questa produce armi. Spingendosi ancora oltre, le banche francesi chiedono che gli investitori non prendano più in considerazione trattati internazionali come in particolare quello per la messa al bando delle armi nucleari. Firmato ancora oggi da pochi Paesi in Europa, secondo la FBF «è utilizzato da alcuni investitori istituzionali per escludere il settore della difesa. Questo dovrebbe essere evitato, perché esclude anche imprese che investono enormemente nella decarbonizzazione». Il riferimento sarebbe in particolare al gigante dell’aerospazio Airbus e ai suoi investimenti sull’idrogeno. Siamo davvero all’assurdo di utilizzare argomentazioni ambientali per cercare di giustificare gli impatti sociali devastanti che possono avere le armi.
Se tutto è sostenibile, nulla lo è
Ma si va persino oltre, guardando la recente direttiva dell’Ue che considera le responsabilità degli amministratori di un’impresa per le violazioni dei diritti umani compiuti dall’impresa stessa. Manco a dirlo, la direttiva dovrebbe escludere i venditori di armi da ogni responsabilità riguardo l’utilizzo che poi ne farà lo Stato a cui le vendono. Non importa se vendo armi a un Paese in guerra o che so che viola i diritti umani. Nessuna responsabilità delle imprese che vendono, e chiaramente a maggior ragione delle banche che finanziano queste operazioni di morte.
A volere trovare un elemento positivo, o almeno di speranza, in questa storia, è proprio nella forza con la quale si cerca di allargare le maglie della sostenibilità. Il fatto che governi, imprese, banche, esercitino simili pressioni per essere inclusi nelle definizioni di “finanza sostenibile” mostra quanto l’idea abbia preso piede. Quanto un numero sempre maggiore di clienti di banche e fondi di investimento chieda che i propri risparmi siano impiegati secondo ben definiti criteri sociali e ambientali.
Certo è che continuando ad allargare le maglie, alla fine si strappa. Da tempo il mondo della finanza etica insiste nel chiedere, al contrario, paletti molto più stretti, criteri chiari di esclusione, trasparenza. Si sta andando purtroppo in direzione opposta. Il percorso sulla finanza sostenibile dell’Ue, partito ormai più di cinque anni fa sotto ottimi auspici, rischia seriamente di finire in un nulla di fatto. Se non in un tentativo di ingannare clienti delle banche e risparmiatori. Se tutto è sostenibile, nulla lo è. L’idea di “armi sostenibili” sarebbe semplicemente la parola fine su questo intero percorso.