Banking on Climate Chaos 2023: sugli impegni climatici troppe false soluzioni e troppo greenwashing
Banking on Climate Chaos 2023 fa luce sulle false narrazioni della banche che sbandierano la neutralità climatica entro il 2050
Banking on Climate Chaos 2023 si concentra sulle centinaia di miliardi di dollari che affluiscono verso le casse delle compagnie dei combustibili fossili. Afflusso che proviene in larga parte dalle banche e che contribuisce in maniera massiccia al riscaldamento globale. Questo accade nonostante diversi istituti bancari abbiano introdotto il concetto di neutralità climatica nella propria comunicazione.
Delle 60 banche analizzate dal report, infatti, 49 puntano a raggiungere il traguardo zero emissioni entro il 2050. Domanda: come faranno a raggiungere un obiettivo tanto ambizioso se continuano a foraggiare progetti legati ai combustibili fossili? Semplice: non ce la faranno. E ogni tentativo di convincerci del contrario va visto come una narrazione falsata della realtà.
Le banche puntano sulla cattura e stoccaggio di CO2
43 delle banche analizzate in Banking on Climate Chaos 2023 hanno aderito alla Net-Zero Banking Alliance promossa dalle Nazioni Unite. In tutto ne fanno parte oltre 125 istituti nel mondo, che hanno sottoscritto l’impegno ad allineare i propri investimenti finanziari in modo da azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050, come previsto dall’Accordo di Parigi. Ma finora gli impegni concreti si sono rilevati molto scarsi, il che dimostra quanto sbandierare i propri obiettivi di neutralità climatica sia spesso una strategia di greenwashing.
Impegni reali o greenwashing?
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Un esempio sono le tecnologie di cattura e stoccaggio di CO2 (CCS). Numerosi studi scientifici invitano alla prudenza: sono ancora in fase di sviluppo, ben lontane dalla commercializzazione e, stando ai primi test, anche molto meno incisive rispetto a quanto auspicato. Insomma, al momento rappresentano una falsa soluzione. Nonostante questo, ben 27 banche fanno esplicito affidamento su di esse per raggiungere l’obiettivo “net zero” entro il 2050.
«La verità è che sempre più aziende stanno assumendo impegni di neutralità climatica, ma i benchmark e i criteri usati sono spesso dubbi o oscuri e questo può fuorviare i consumatori, gli investitori e i regolatori con narrazioni false. Queste narrazioni nutrono la disinformazione e la confusione intorno alla questione climatica, lasciando le porte aperte al greenwashing». Lo ha detto António Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite.
Banking on Climate Chaos fa luce sulle metriche usate dalle banche
Ma veniamo ai numeri della nuova edizione di Banking on Climate Chaos. 49 delle 60 banche prese in esame hanno fissato obiettivi di medio e lungo periodo (2040, 2050, 2060), mentre 43 hanno fissato obiettivi intermedi per il 2030 che riguardano sostanzialmente il settore dei combustibili fossili. Più in generale, 41 hanno preso impegni di riduzione nel settore energetico limitati per la maggior parte a petrolio, gas e carbone, escludendo quindi GNL (gas naturale liquefatto), oleodotti e altre infrastrutture dedicate alle fonti fossili.
Detta così, può sembrare una buona cosa. D’altronde, petrolio, gas e carbone sono i principali “nemici” dell’ambiente e ridurre gli investimenti in tali settori non può che rappresentare una scelta condivisibile. Ma l’inganno sta nelle metriche usate per misurare i propri impegni. Le banche in genere ne utilizzano diverse per valutare l’impatto del proprio portafoglio di azioni e investimenti: possono essere assolute o relative all’intensità economica. Le prime si pongono un target netto, ad esempio ridurre di un certa quantità le tonnellate di gas serra emesse in atmosfera (che siano CO2 o metano o altro ancora). Per contro, le emissioni di intensità derivano dal rapporto tra tonnellate di CO2 ridotte e quantità di denaro investita (o ai ricavi).
Naturalmente, ciò che conta per l’impatto sul mondo reale è la variazione delle emissioni assolute. Eppure, la maggior parte delle banche analizzate opta per le metriche di intensità, le quali sono state create per “normalizzare” le emissioni, cioè per poterle raffrontare tra aziende e investitori di dimensioni diverse.
L’unica alternativa è smettere di finanziare i combustibili fossili
Al di là degli aspetti tecnici, il principale difetto di quasi tutti gli obiettivi climatici fissati dalle banche esaminate è che le metriche si applicano esclusivamente ai prestiti ed escludono la sottoscrizione di obbligazioni e azioni. Eppure, oltre un terzo dei finanziamenti all’industria dei combustibili fossili avviene in questa forma. E solo sette banche rappresentano un’eccezione, includendo tutte le forme di finanziamento.
Sta di fatto che le 43 banche presenti in Banking on Climate Chaos e che fanno parte della Net-Zero Banking Alliance, insieme, hanno finanziato i progetti legati ai combustibili fossili con 111,6 miliardi di dollari nel 2022. Tra i maggiori beneficiari ci sono TotalEnergies, TransCanada Pipelines e ConocoPhillips (che punta a trivellare l’Alaska).
L’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) chiarisce – ancora una volta – che l’espansione dei combustibili fossili è incompatibile con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 gradi. Saremmo fuori da questo obiettivo anche se bloccassimo tutti i progetti in essere, figuriamoci permettere nuove espansioni. Questo significa che gli attuali obiettivi delle banche sono insufficienti. Da dove cominciare? Naturalmente dal togliere qualunque tipo di sostegno ai combustibili fossili. Non c’è alternativa.