Borse e volatilità: un rischio da 1.500 miliardi
Volatilità fa rima con normalità: gli indici tornano ad oscillare, come è giusto che sia. Ma, dopo anni di scommesse al ribasso, i problemi non mancano
“Il 2018 sarà contrassegnato dal ritorno della volatilità azionaria dopo un insolito periodo di mercati compiacenti protrattosi per due anni”. Lo scrivono gli analisti di Toronto Dominion Bank in un rapporto pubblicato a fine aprile. Un fenomeno “globale”, sostiene l’istituto canadese, destinato ad imporsi sui mercati ripristinando la normalità. Il primo segnale è arrivato lo scorso 5 febbraio quando Wall Street ha ceduto il 4% in una sola seduta mandando letteralmente in orbita il VIX, il principale indice della volatilità nel mercato americano: nell’occasione, l’indicatore è salito di ben 20,01 punti facendo così registrare la più ampia variazione giornaliera di sempre.
Correzione al ribasso
La maxi correzione del 5 febbraio rappresenta per molti il segnale chiave di una svolta. È la fine della “narrazione della crescita”, per dirla con TD Bank, una tendenza di lungo periodo su cui ha inciso la politica monetaria espansiva e i tassi minimi. Ma cosa succederà ora? L’ipotesi, suggerisce la logica, è una correzione al ribasso dei prezzi degli asset di mercato più rischiosi, il che – è bene precisarlo – non rappresenta di per sé un fenomeno così negativo. Tassi di crescita sostenibili e valutazioni più precise sul valore dei titoli rappresentano tutto sommato una buona notizia, poiché inducono gli investitori “a ricalibrare il proprio sguardo su questa realtà adottando finalmente un approccio più critico sui rischi emergenti”. Niente di drammatico, insomma. Se non fosse che l’atteso ritorno alla normalità suscita anche molte preoccupazioni.
VIX e volatilità
Il VIX, o Cboe Volatility Index, è un indicatore costruito sulle opzioni di acquisto dei titoli dello Standard & Poor’s 500 e capace di misurare la volatilità attesa del mercato borsistico americano. Come tutte le variabili di mercato anche la volatilità è oggetto di scommesse che si materializzano attraverso operazioni, per così dire, “indirette”. Nel caso del VIX, ad esempio, si possono effettuare puntate, investendo sugli appositi ETP o exchanged traded products, titoli finanziari costruiti per replicare l’andamento dell’indici. Negli ultimi anni, ricorda Bloomberg, c’è stata una proliferazione di ETP costruiti sul VIX, il cui valore complessivo – stima Société Générale – si aggirerebbe attorno agli 8 miliardi di dollari. Quando la volatilità è bassa – come accaduto in questi anni – i prodotti offrono rendimenti piuttosto buoni. Ma quando il trend si inverte arrivano le perdite. Esattamente ciò che è accaduto tre mesi fa.
“Il 5 febbraio, nota ancora Bloomberg, il VIX è salito a quota 38,8 punti, il livello più alto dall’agosto 2015, ben al di sopra di una media di circa 14 punti registrata negli ultimi tre anni. Gli operatori hanno reagito liquidando le loro posizioni e i titoli azionari, accelerando così l’ascesa dell’indice in un ciclo di feedback negativo”. Semplificando: i trader sono stati presi dal panico e hanno reagito vendendo tutto, i prodotti legati all’indice e le azioni stesse, creando così una sorta di effetto valanga. L’episodio non è sfuggito all’occhio attento della BIS, la Banca dei Regolamenti Internazionali che, in un rapporto pubblicato a marzo, ha evidenziato le responsabilità degli ETP “accusandoli” (il virgolettato è nostro) di aver amplificato i ribassi di mercato e il rialzo del VIX stesso.
Un rischio da $1.500.000.000.000
Alla fine del 2017, sostiene il Financial Times, l’ammontare degli ETP collegati al VIX viaggiava sui 15 miliardi di dollari. Una stima doppia rispetto a quella diffusa da Société Générale. Ma la reale dimensione del problema, osserva qualcuno, è decisamente più elevata. Per anni, ricorda una recente analisi della Reuters, gli investitori hanno approfittato di un contesto monetario favorevole per puntare forte sul carry trade. La strategia, ampiamente collaudata, consiste nella raccolta di capitali a basso costo (grazie ai tassi tendenti a zero) da reinvestire nei mercati più rischiosi e redditizi, come le economie emergenti o le obbligazioni spazzatura. Quando la volatilità è bassa il meccanismo funziona e i profitti si accumulano facilmente. Ma quando i mercati risalgono sull’altalena, il rischio di scottarsi aumenta vistosamente.
Nel mondo, osserva ancora l’agenzia citando una ricerca degli economisti Vineer Bhansali, della società di consulenza LongTail Alpha, LLC, e Lawrence Harris, della USC Marshall School of Business, gli investimenti short sulla volatilità (ovvero le strategie che pagano quando quest’ultima si mantiene bassa) varrebbero all’incirca 1,5 trilioni di dollari. Una somma enorme che rende l’idea della dimensione del rischio sul mercato finanziario globale. Un segnale forte da non sottovalutare.