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Un pazzo contro il treno: la locomotiva tedesca frena

I dazi voluti da Donald Trump potrebbero far soffrire anche la Germania. A rischio soprattutto l'export auto. Segnali preoccupanti per un'economia che mostra anche altri ...

«E corre corre corre la locomotiva», cantava Guccini. Ma alla dodicesima strofa viene deviata «lungo una linea morta» per scampare al folle gesto dell’anarchico Pietro Rigosi. Lo stesso potrebbe accadere, con le dovute proporzioni, alla locomotiva tedesca, che da sempre traina l’economia europea. Il folle, questa volta, è il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. La sua guerra commerciale contro la Cina potrebbe avere un impatto fortemente negativo sulle esportazioni della Germania.

Auto di lusso, prezzi su del 20%

Se ne discute da settimane nei corridoi della cancelleria, con il supporto di analisi sempre più dettagliate. Ha dovuto recentemente ammetterlo anche il ministero dell’Economia nel suo rapporto mensile sulla situazione del Paese: «il conflitto commerciale latente a livello internazionale è causa di incertezza», si legge nella nota ufficiale diramata dal ministero. «La crescita globale è esposta a numerosi rischi e incertezze».

A piangere sarebbe soprattutto il settore automobilistico: più della metà dei 280mila veicoli (per un totale di oltre due miliardi di dollari) esportati dagli Stati Uniti alla Cina nel 2017 sono stati prodotti dai colossi tedeschi BMW e Mercedes.

La probabile escalation della guerra commerciale tra i due Paesi danneggerebbe, in proporzione, più la Germania che gli Stati Uniti. Le statunitensi Ford e General Motors producono già buona parte delle automobili che vendono in Cina sul posto e non hanno quindi necessità di esportarle. Il temuto aumento del 25% dei dazi sulle importazioni dagli USA alla Cina potrebbe far aumentare il prezzo di listino delle macchine di lusso tedesche del 20% o di 20mila euro in termini assoluti, secondo i calcoli degli analisti di Sanford C. Bernstein.

Ma i problemi non sono finiti

In realtà, le politiche protezioniste di Trump sono solo una parte del problema. Come evidenziato dallo Statistisches Bundesamt (ufficio federale di statistica),

le esportazioni tedesche sono scese del 3,2% già a febbraio, prima cioè dell’imposizione di ogni possibile dazio nella guerra tra Cina e Stati Uniti. Una contrazione che non si vedeva dall’agosto del 2015 e ha fatto scendere l’enorme avanzo commerciale tedesco da 21,5 miliardi di euro a 19,2 miliardi.

«L’espansione dell’economia tedesca è rallentata dall’inizio dell’anno», continua la nota del ministero. «Ma questo non significa che siamo di fronte alla fine della ripresa, anzi migliora le probabilità che il trend continui: il clima economico è sopra la media, gli ordini all’industria sono alle stelle e il mercato del lavoro è ai massimi».

In un Paese pesantemente sbilanciato sulle esportazioni, dichiarazioni del genere appaiono fin troppo ottimistiche. Pesa l’esito incertissimo della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Ma c’è anche altro: come la recente frenata di altri indicatori chiave dell’economia. Il più recente è l’indice del clima economico del settore servizi, calcolato dall’istituto di ricerca Ifo di Monaco, che in marzo è sceso (dello 0,9%) per il terzo mese consecutivo. O l’indice che fotografa le aspettative del settore industriale, in discesa da due mesi. Allo stesso tempo è calata anche la produzione industriale: -1,6% in febbraio, il peggior risultato mese su mese da due anni e mezzo a questa parte.

L’ottimismo dei consiglieri della Cancelliera

Nonostante i segnali di rallentamento dell’economia, a fine marzo il gruppo dei cinque consiglieri economici del governo di Berlino, ha pensato di aumentare le stime di crescita del PIL tedesco nel 2018 dal 2,2% al 2,3%. «A sostenere la crescita sarà il commercio estero», hanno dichiarato. Sempre che il pazzo non rovini la festa prima del previsto e faccia deragliare la locomotiva.