Il British Museum dice basta agli sponsor fossili: rescisso il contratto con BP
In seguito alle pressioni degli attivisti per il clima, il British Museum mette fine alla sponsorizzazione di BP dopo 27 anni
La resistenza paga. Lo sa bene Art Not Oil Coalition che, grazie alle sue azioni di protesta, è riuscita a convincere il British Museum di Londra a rinunciare a BP (in passato nota come British Petroleum), tra i suoi principali sponsor da ben 27 anni.
La decisione fa del museo la più grande istituzione culturale a rinunciare al sostegno di una società legata ai combustibili fossili. Ma il British Museum è in buona compagnia: pressati dagli attivisti, anche la Royal Shakespeare Company (RSC) e la National Portrait Gallery hanno chiuso con BP.
Ma il British Museum smorza gli entusiasmi
Fino a ora, BP è stata uno dei più grandi sponsor nel mondo dell’arte. Il suo sostegno pubblico al British Museum è iniziato nel 1996. Sulla carta, il contratto quinquennale più recente tra i due soggetti era scaduto a febbraio, ma British Museum e BP hanno continuato a collaborare, cosa che ha suscitato non pochi malumori tra chi ne chiedeva la fine.
Ancora adesso, quella che a prima vista sembra una netta vittoria del movimento ambientalista viene in realtà smorzata dalle parole dello stesso British Museum. Un suo portavoce, infatti, ha detto: «In tempi di finanziamenti pubblici ridotti, sponsor aziendali come BP ci consentono di adempiere alla nostra missione di offrire esperienze di apprendimento uniche ai nostri visitatori. Per questo non abbiamo concluso la nostra partnership con BP che continua a essere un apprezzato sostenitore a lungo termine del museo. La nostra attuale partnership durerà fino a quest’anno».
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La comunicazione ambigua da parte del British Museum
Insomma, la relazione commerciale non sembrerebbe chiusa del tutto. Tanto che, nel sito del museo, il logo della compagnia fossile c’è ancora. Tuttavia, stando alle informazioni ottenute dai giornalisti del Guardian, nessun’altra mostra o attività del museo sarà sponsorizzata da BP e «non ci sono altri contratti o accordi in vigore tra il museo e BP».
Stando a quanto trapelato, «alcuni termini» dell’accordo di sponsorship rimarranno in vigore fino alla fine del 2023. Probabilmente sono legati alle mostre in essere, come quella dedicata ai geroglifici egiziani.
Così spiega anche l’organizzazione Culture Unstained che si batte per la fine del finanziamento delle arti da parte dei combustibili fossili. La co-direttrice Sarah Waldron ha dichiarato: «Questa è una vittoria enorme per tutti gli artisti, attivisti e lavoratori che hanno sostenuto la campagna per la rimozione del logo di BP dalle mostre del museo». Culture Unstained ha ribattuto che il British Museum si trova in una «imbarazzata fase di gestione della sua uscita». Per il museo, dunque, questa sarebbe «un’occasione persa per mostrare finalmente una leadership orientata al clima».
Le Big Oil non sono più le benvenute, nel Regno Unito e non solo
Negli ultimi tempi, oltre al British Museum, anche RSC, Royal Opera House, National Portrait Gallery, Scottish Ballet e la Tate hanno detto basta agli loro accordi di sponsorizzazione con BP. Tra le istituzioni museali, solo lo Science Museum continuerà a collaborare con la società fossile, che finanzia anche la sua accademia, mentre Shell (altra grande compagnia petrolifera) ha sponsorizzato il Wildlife Photographer of the Year award.
Ma non è solo nel Regno Unito che le campagne per ripulire le istituzioni culturali dalle sponsorizzazioni di Big Oil stanno ottenendo risultati positivi. Succede anche al Canadian Museum of History, all’American Museum of Natural History, al Field Museum di Chicago e al Mauritshuis e Museon a L’Aia.
Nei Paesi Bassi è particolarmente attivo il collettivo Fossil Free Culture NL, impegnato nella lotta contro l’artwashing delle compagnie petrolifere. Suo è il merito se il il Van Gogh Museum e il Nemo Science Museum, entrambi ad Amsterdam, hanno rescisso i loro contratti con Shell.