Case, depositi, azioni. Ecco quanta ricchezza possiedono gli italiani

Sappiamo molto sulla povertà e troppo poco sulla ricchezza. Eppure si tratta di due facce della stessa medaglia

Giulio Marcon
La ricchezza in Italia è distribuita in modo fortemente diseguale © GTNoffsinger/iStockPhoto
Giulio Marcon
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Da alcuni giorni è stata pubblicata per conto della Scuola Normale Superiore di Pisa una ricerca sulla ricchezza in Italia. Mentre sappiamo quasi tutto sulla povertà, soprattutto grazie alle ricerche periodiche dell’Istat su vari aspetti (povertà assoluta, povertà assoluta, popolazione a rischio di povertà, ecc.), sulla ricchezza le informazioni sono veramente poche e parziali.

Ogni due anni lo stesso Istat e Banca d’Italia rendono nota una indagine sulla ricchezza delle famiglie italiane che è pero su base campionaria e non intercetta la parte più ricca (il 5%) della popolazione italiana. Le statistiche annuali del ministero dell’Economia sulle dichiarazioni fiscali dell’anno precedente ci dicono molto sui redditi, ma ben poco sui patrimoni.

Non abbiamo un’anagrafe patrimoniale che ci permetta di sapere di più sulla ricchezza degli italiani. Almeno quella visibile e non sottratta agli occhi della legge e del fisco. È dall’estero – ad esempio attraverso la ricerca sulla “Global Wealth” prodotta da Credit Suisse – che abbiamo delle informazioni, sempre per approssimazione, sui patrimoni nel nostro Paese.

Il 20% più agiato degli italiani possiede il 70% della ricchezza

Secondo Banca d’Italia e Istat la ricchezza delle famiglie italiane assomma a 9.753 miliardi, 8 volte il loro reddito disponibile. Più del 50% (5.246 miliardi) è rappresentato dalla proprietà di abitazioni. La ricchezza netta delle società non finanziarie è di 1.053 miliardi di euro. Quella finanziaria (detenuta dalle famiglie e dalle società non finanziarie) è di 4.943 miliardi di euro. Per quanto riguarda la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane 1.360 miliardi di euro sono rappresentati da depositi. 314 milioni da titoli, 1.038 miliardi da azioni, 524 milioni da quote di fondi comuni, 995 milioni da riserve assicurative.

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Il Covid ha acuito la disuguaglianza e ha generato decine di milioni di poveri in più. Lo dichiara il Fondo monetario internazionale © photographer/iStockPhoto

Per le dichiarazioni fiscali (statistiche ministeriali) presentate dagli italiani, oltre il 97,4% presenta redditi sotto i 70mila euro e l’1,5% guadagna tra i 70 e i 100mila euro. L’1% ha invece redditi tra 100 e 300mila euro e lo 0,1% guadagna oltre i 300mila euro. Se prendiamo i dati di Credit Suisse che riguardano i patrimoni, per il 96,92% degli italiani essi risultano inferiori al milione di euro. Nel 2,85% dei casi sono compresi tra 1 e 5 milioni di euro. Mentre lo 0,23% degli italiani (111.872 persone) ha patrimoni sopra i 5 milioni di euro. Se guardiamo alla distribuzione della ricchezza vediamo che il 20% più ricco della popolazione ne possiede il 69,8% a livello nazionale. Mentre il 20% più povero deve accontentarsi dell’1,3%.

La tassazione leggera in Italia è leggera

La ricchezza in Italia viene tassata molto debolmente. Non esiste una imposta patrimoniale, quella sulle successioni è poca cosa (4% con una franchigia per un milione di euro per ogni erede). La tassazione dei profitti delle imprese è crollata in vent’anni dal 37 al 24%. L’aliquota più alta -anche per chi ha redditi milionari- è solo del 43%. Gran parte della tassazione pesa sui redditi da lavoro e sui consumi. Non è un caso dunque che in questi anni siano cresciute le disuguaglianze e vi sia stata una maggiore concentrazione della ricchezza in poche mani.

La ricchezza in Italia è frutto di tanti fattori. Oltre all’onesta attività imprenditoriale, la sua trasmissione ereditaria, i rapporti di complicità con la politica ed il potere, l’evasione fiscale e l’illegalità. Si stima che il 30% della ricchezza italiana sia frutto di pratiche illegali, talvolta criminali. E si trasmette dai ricchi ai ricchi: la mobilità sociale in Italia è un fatto assai modesto e marginale. Sempre di più negli ultimi anni la ricchezza si è trasferita dalla produzione alla finanza: la dimensione speculativa ha acquisito maggiore importanza.

La ricchezza non è un male, la sua concentrazione sì

Il vecchio assunto che per avere una migliore distribuzione della ricchezza bisogna prima crearla si è dimostrato falso. In questi anni se ne è creata molta. Ma è stata distribuita sempre peggio, sono aumentate le disuguaglianze e la concentrazione si è ristretta in pochissime mani. Le politiche fiscali hanno favorito le rendite, la ricchezza, le classi di reddito più alte.

Intervenire sulla eccessiva concentrazione della ricchezza, sulle crescenti disuguaglianze economiche, sui privilegi fiscali, economici e sociali è sempre più urgente. È una questione di giustizia sociale, di eguaglianza, di coesione sociale e di buon funzionamento del sistema economico. Si tratta dunque di mettere mano a politiche redistributive (con il sistema fiscale) e pre-redistributive (con il welfare, le politiche pubbliche, ecc.). Per assicurare una vera mobilità sociale e la realizzazione di principi costituzionali di promozione sociale e solidarietà.

La ricchezza non è un male, la sua concentrazione sì. La massima di un secolo fa del vecchio socialista Richard H. Tawney – «Quello che i ricchi chiamano il problema della povertà, i poveri lo chiamano il problema della ricchezza» – rimane sempre di grande attualità.