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Clima, drammatico allarme IPCC: «Riscaldamento globale a +1,5 gradi già nel 2030»

Trapelate alcune delle conclusioni del rapporto speciale del Gruppo intergovernativo sul climate change: il mondo è in una traiettoria che porterebbe alla catastrofe climatica

Secondo l'IPCC il mondo è ancora lontanissimo dalla traiettoria che occorrerebbe seguire per centrare gli obiettivi climatici dell'Accordo di Parigi © Lesserland/Wikimedia Commons

Sono giorni particolarmente difficili quelli che si stanno vivendo a Incheon-Songdo, in Corea del Sud. Dal 1° ottobre la località asiatica è teatro delle trattative legate alla stesura da parte dell’IPCC (Il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici) del suo Special report 15 (SR15). Un rapporto intermedio – ma cruciale – in vista della realizzazione del 6° rapporto la cui pubblicazione è prevista per il 2022. Come atteso, alcune nazioni, Arabia Saudita in testa, hanno contestato i risultati frutto dell’analisi di oltre cinquemila studi scientifici, effettuata da una task force di decine e decine di esperti.

Aspri sconti tra le nazioni presenti alla revisione del rapporto IPCC

La pubblicazione dei rapporti del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, infatti, è sottomessa alla politica del “consenso”. Esattamente come nel caso degli altri documenti che vengono ciclicamente redatti dalle agenzie delle Nazioni Unite. In pratica, l’obiettivo non è approvare i contenuti a maggioranza, ma di ottenere sempre l’unanimità. Il che ha il vantaggio di “unire” i governi nella lotta contro il riscaldamento globale. Ma rischia spesso di portare i negoziati a dei punti morti.


La stampa internazionale ha fatto trapelare alcuni contenuti del nuovo documento, che sarà ufficialmente presentato lunedì 8 in una conferenza stampa. A destare particolare allarme sono quelli relativi alla traiettoria che seguirà la temperatura media globale, se si manterrà il trend attuale.

Gli obiettivi dell’Accordo di Parigi a un passo dal clamoroso fallimento

Prima della Cop 21 del 2015, infatti, ai governi di tutto il mondo fu chiesto di indicare quali politiche intendessero attuare al fine di limitare le loro emissioni di gas ad effetto serra. Con l’obiettivo di limitare la crescita della temperatura media ad un massimo di 2 gradi centigradi, entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. E «rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi», indicò l’Accordo di Parigi. Ebbene, l’analisi delle promesse finora avanzate dalle nazioni – chiamate INDC (Intended Nationally Determined Contributions) – ci porteranno, secondo l’SR15, a superare la soglia degli 1,5 gradi già tra il 2030 e il 2052. Ciò secondo i differenti scenari presi in considerazione dall’IPCC.


Uno dei fattori che può modificare sostanzialmente i tempi, ad esempio, è quello legato all’uscita dal carbone. Secondo le informazioni fornite dall’AFP, l’SR15 ha ribadito che le politiche energetiche sono fondamentali in questo senso. Ma il dito puntato contro tale fonte ha suscitato l’ira di Polonia, Australia e Giappone. Alcuni negoziatori, coperti da anonimato, hanno rivelato che l’impasse sarebbe stata superata includendo nelle proiezioni anche altre fonti fossili.

«Stavolta non è la politica, ma la scienza a parlare»

L’Arabia Saudita, a quanto pare, nel corso della seduta plenaria ha insistito sulla (a suo dire) incertezza degli studi scientifici. Mentre, paradossalmente, gli Stati Uniti di Donald Trump sarebbe stati «piuttosto costruttivi». Ma la revisione del documento finale è stata oggetto di aspri sconti, tanto che si sarebbe deciso di sospendere la seduta per consentire alle delegazioni di incontrarsi in via informale nei corridoi, al fine di trovare un accordo.


Le ong presenti, intanto, hanno rilasciato i primi commenti. Greenpeace ha spiegato che «in questo caso a parlare è stata la scienza, non la politica. Una volta pubblicato il rapporto, i governi non potranno più fare orecchie da mercante». Mente il WWF ha affermato con realismo: «È chiaro che restare sotto la barra degli 1,5 gradi sarà difficile. Ciò richiederà trasformazioni profonde della nostra società. Ma i costi, se aspetteremo, saranno ancora più alti. La distanza tra ciò che è fattibile e ciò che non lo è, prima di tutto, è una questione di volontà da parte della politica».