Diritti, acqua, indigeni, miniere. Cosa c’è scritto nella nuova Costituzione cilena
Il 4 settembre i cittadini saranno chiamati a esprimersi sulla nuova Costituzione cilena. Un testo che sancisce un taglio netto col passato
4 luglio 2021. I 155 membri eletti della Convenzione costituzionale cilena si incontrano per la prima seduta, presieduta dalla docente indigena Elisa Loncón. 4 luglio 2022. L’assemblea, presieduta stavolta dall’epidemiologa María Elisa Quinteros, si riunisce per l’ultima volta, per consegnare nelle mani del presidente Gabriel Boric il frutto di un anno di discussioni: 178 pagine, 388 articoli e 54 norme transitorie.
È la bozza della nuova Costituzione cilena, destinata a sostituire quella entrata in vigore durante la sanguinaria dittatura di Augusto Pinochet. Questo, però, a patto che siano i cittadini cileni a volerlo. Il 4 settembre 2022 saranno infatti chiamati alle urne per un referendum. In attesa di questo appuntamento storico, il testo si può consultare in Rete. Per capire come affronta i temi al centro del dibattito, dalla parità di genere fino all’acqua come bene comune.
Parità di genere e diritti delle donne
Prima ancora che ne venisse scritta una sola riga, la Costituzione cilena aveva già segnato un primato. Perché è la prima che è stata messa a punto da un gruppo composto per metà da uomini e per metà da donne. Non c’è dunque da stupirsi se l’articolo 2 descrive il Cile come una «democrazia inclusiva e paritaria». Non solo: la bozza sancisce che tutti gli organi dello Stato, così come i consigli di amministrazione delle società pubbliche e semipubbliche, debbano essere composti almeno al 50 per cento da donne.
«Ci sono state quote di genere in altre Costituzioni, ma niente di paragonabile», sottolinea Tom Ginsburg, professore presso l’università di Chicago. Quella in vigore, ereditata da Pinochet, si limita a dire che «uomini e donne sono uguali davanti alla legge» e che lo Stato deve «assicurare il diritto a partecipare, con pari opportunità, alla vita nazionale».
Ha molto a che fare con le donne anche l’articolo 61, comma 2, che mette nero su bianco il diritto all’aborto. Un tema spinoso in un Paese come il Cile, visto che l’attuale Costituzione protegge «la vita che sta per nascere». Nel 2017 l’interruzione volontaria di gravidanza è stata depenalizzata, ma soltanto quando la vita della madre è a rischio, il feto ha una patologia letale e incurabile o la gravidanza è l’esito di una violenza.
L’acqua diventa un bene inalienabile
Il referendum del 4 settembre sarà sotto i riflettori anche perché il Cile custodisce risorse che fanno molta gola alle grandi corporation. Primo fra tutti, il litio del Salar de Atacama, un ecosistema desertico e fragilissimo. Ecco perché assumono particolare rilevanza gli articoli 134-150 della nuova Costituzione cilena che regolano i beni comuni naturali, l’acqua, i minerali e la natura.
Come sottolinea BBC Mundo, la Carta ereditata da Pinochet classifica l’acqua come un bene di proprietà privata. Insomma, un oggetto come un altro. Ora si cambia radicalmente approccio, sottolineando quanto essa sia «essenziale per l’esercizio dei diritti umani e della natura» e costituisca quindi un «diritto umano». Chi vorrà usare l’acqua, da ritenersi come una risorsa «inalienabile», dovrà chiedere esplicita autorizzazione a un’agenzia nazionale istituita ad hoc. Manca però ciò che molti attendevano con trepidazione, cioè una definizione giuridica di «acqua». Se appare cristallino che queste tutele valgano per quella che scorre nei fiumi, è molto più in bilico l’inquadramento di quella (non potabile) delle paludi salmastre. Eppure sono proprio le risorse che fanno tanta gola ai colossi minerari.
Che dire invece delle miniere e degli idrocarburi? Su di essi lo Stato ha un dominio «assoluto, esclusivo, inalienabile e imprescrittibile». E regolamenterà le attività estrattive considerando il carattere «finito, non rinnovabile, l’interesse pubblico intergenerazionale e la tutela ambientale». Obbligando le imprese a ridurre gli effetti nocivi sul territorio e riparare i danni.
Nascerà anche un ente ad hoc, garante della giustizia ambientale. Si chiamerà Defensoría de la Naturaleza e sarà presieduto da una figura di spicco, segnalata dalle ong ambientaliste.
Più autonomia per gli indigeni
Da un’assemblea costituente con 17 seggi riservati agli indigeni, ci si aspettava un deciso cambiamento di rotta rispetto alla Costituzione cilena in vigore, l’unica in tutta l’America latina a non fare nemmeno menzione alla loro esistenza e ai loro diritti. E così è stato. Il Cile, si legge, è uno Stato «plurinazionale e interculturale» che riconosce undici popoli e nazioni. Apre anche a una sorta di federalismo, istituendo Autonomie Regionali Indigene che godono di autonomia a livello politico. Sancisce l’obbligo di consultare i popoli indigeni, prima di prendere decisioni che li coinvolgano, e riconosce i loro sistemi giuridici, a patto che siano coerenti con la Costituzione stessa e con i trattati internazionali.
Così come sono scritti, però, gli articoli non chiariscono fino a che punto arrivi l’autonomia degli indigeni e fino a che punto, invece, comandi lo Stato centrale. A dirlo a BBC Mundo è Jorge Correa Sutil, ex-membro della Corte costituzionale cilena. Più benevolo il costituzionalista Patricio Zapata, secondo il quale nel mondo ci sono già esempi simili che hanno dimostrato di funzionare, come le First Nations canadesi. Quello che conta, sostiene, è lasciarsi definitivamente alle spalle l’idea ormai vetusta di un’unica ‘razza cilena’ vincitrice sulle altre.
L’Economist demolisce la nuova Costituzione cilena
Gli articoli sugli indigeni sono tra i pochissimi che incassano parole benevole dall’Economist. Per il resto, l’analisi del settimanale londinese è una stroncatura su tutti i fronti, tant’è che si apre con una vignetta in cui la Costituzione appare stampata su un rotolo di carta igienica. La bozza è «un pasticcio confuso, infarcito di un linguaggio nebuloso che assicura decenni di litigi su cosa significhi effettivamente». Come i numerosi riferimenti al gender (39, per la precisione) o la promessa di attribuire dei diritti alla natura.
Sebbene le proposte più radicali discusse dall’assemblea – come quella di cancellare la sanità privata o nazionalizzare l’industria mineraria – siano state attutite, la nuova Costituzione torna a dare un ruolo centrale allo Stato, dopo decenni di strapotere dei privati nel campo dell’educazione, della sanità e della previdenza.
Per questo, l’Economist si dice preoccupato per alcune misure bollate come una «lista dei desideri di una sinistra fiscalmente irresponsabile». Come la possibilità di espropriare le acque a proprietari terrieri e agricoltori, a fronte di un risarcimento ritenuto congruo dal Congresso. O molte altre disposizioni sul lavoro. I sindacati saranno gli unici autorizzati a partecipare alla contrattazione collettiva e rappresentare i lavoratori. Lavoratori che potranno scioperare per qualsiasi motivo e avranno il diritto di prendere parola sulla vita dell’azienda. Il lavoro precario sarà messo al bando, alla pari di quello forzato. Alla luce di tutto questo, si chiede l’Economist, sarà ancora possibile licenziare?
Cosa serve per realizzare le promesse della Costituzione cilena
Ma ci sono anche commenti ben più benevoli. Gabriel Negretto, professore di diritto costituzionale comparato presso l’università cattolica del Cile, descrive il testo come «molto più orientato al cittadino, partecipativo, con un ruolo più forte per lo Stato senza modificare in alcun modo i parametri dell’economia di mercato».
Al di là dei giudizi più o meno politici sulle proposte, però, la domanda è lecita: sono realizzabili? Secondo l’Economist, l’aspetto della copertura finanziaria è stato bellamente ignorato. Il servizio sanitario nazionale, il diritto alla casa, il welfare universale e lo stop alla speculazione immobiliare finirebbero così per rivelarsi come idee altisonanti ben presto destinate ad affossare il bilancio dello Stato.
I giuristi interpellati da Bloomberg, invece, mettono in chiaro un’altra cosa. Proprio perché è così ambiziosa, riforma profondamente il Congresso e apre la strada all’istituzione di nuovi organismi, come i tribunali indigeni, la Costituzione cilena non potrà funzionare da sola. Al contrario, dovrà essere accompagnata dall’adeguamento dell’intero apparato legislativo. Solo così sarà possibile realizzare quelle promesse di uguaglianza e libertà in cui molti sperano. «Quelli di noi che lavorano regolarmente con le Costituzioni sanno che è difficile ottenere un cambiamento sociale attraverso progetti costituzionali», spiega David Landau, professore presso l’università statale della Florida. «Non è impossibile, ma è molto difficile».
Tutti temi che entreranno di diritto nell’agenda dell’amministrazione presieduta da Gabriel Boric. Questo, però, a patto che i cittadini diano fiducia alla nuova Costituzione cilena attraverso il referendum. Appuntamento al 4 settembre.