Il Crawley Town e la crisi delle criptovalute nel calcio

L'ennesima promessa rivoluzione nel mondo del calcio inizia a scricchiolare

I giocatori del Crawley Town FC al termine di una partita nel 2015 © Zac Comber/Flickr

Dio è morto, Marx è morto, e anche le monete digitali non si sentono benissimo. E così a soffrirne è anche il pallone. Solo lo scorso anno il Sole 24 Ore stimava in oltre 250 milioni gli introiti provenienti da accordi tra i club e le piattaforme. C’erano dentro tutte le grandi: Milan, Inter, Juve, Lazio, Roma. E non solo. 

Poi è cominciato ad andare storto qualcosa. È saltato il mercato globale delle criptovalute – è di questi giorni la notizia della bancarotta di Ftx, la più grande piattaforma di scambio – e hanno cominciato a essere messi in discussione i suoi rapporti col pallone, che prevedevano addirittura di disegnare un nuovo e rivoluzionario futuro delle relazioni tra tifosi e proprietà, con la partecipazione dei primi alla gestione dei club attraverso monete e token. Non una brutta cosa in sé, ci mancherebbe.

E così quest’anno ha fatto scalpore l’Inter, che ha rescisso per inadempienza la sponsorizzazione con Digitalbits. Simile la storia dello Spezia (insieme allo Sporting in Portogallo) con Bitci.com. Tanti gli esempi anche all’estero. Uno per tutti: in estate è saltato senza tante spiegazioni il maxi accordo tra la Uefa e Crypto.com – la più grande piattaforma globale di criptovalute, ancora oggi sponsor della Lega di Serie A – che avrebbe dovuto sostituire Gazprom come main sponsor.

Ma il trend, anche se attutito, non si è del tutto fermato. Da poco il Napoli ha annunciato un accordo con Dunamu Inc., azienda sudcoreana proprietaria del marchio Upbit. Non è dato sapere se per una questione di fiducia nel meccanismo o per approfittare degli ultimi brandelli di opportunità che esso offre. Ovvero i soldi ancora in circolazione.

Una storia non certo paradigmatica ma abbastanza divertente per capire meglio il turbolento rapporto tra moneta digitale e ennesima rivoluzione annunciata nel mondo del pallone arriva da Crawley, piccola cittadina inglese situata tra Londra e Brighton.

Il Crawley Town, che milita in quarta serie, lo scorso aprile era stato comprato dalla piattaforma di criptovalute Wagmi United tra mille fanfare e proclami: sarebbe stata la prima società il cui abbonamento era sottoscrivibile solo attraverso un Nft (in buona sostanza un certificato digitale che viaggia sulle blockchain e identifica la proprietà di un oggetto virtuale). E così valeva per la terza maglia. Oltre a un progetto rivoluzionario di crescita tecnica e commerciale del club, basata tutta sugli algoritmi. Lì dove pulsa il cuore nero delle criptovalute.

Bene, dopo nemmeno un anno il Crawley Town è ultimo, rischiando seriamente di sparire dai professionisti. Ha messo «per errore dell’algoritmo» tutta la squadra sul mercato, perdendo il suo miglior giocatore. E in pochi mesi ha cambiato quattro allenatori. Il penultimo, ex giocatore dell’Arsenal, è durato solo 32 giorni dopo essere stato presentato come perfetto per il club «perché è noto il suo amore per il rischio».

Peccato che il riferimento, nemmeno troppo velato, fosse al suo noto passato di scommettitore seriale che lo aveva portato fino in clinica per disintossicarsi. Ma non è finita qui. Sabato scorso in panchina sedeva uno dei coproprietari della piattaforma di crypto e del club, che si agitava come un dannato per dare indicazioni alla squadra. Salvo rivolgersi durante all’intervallo al quarto uomo, per chiedergli quante sostituzioni fosse possibile fare durante una partita di calcio. Benvenuti nel futuro.