I colossi delle fonti fossili decarbonizzano solo a parole
Ormai tutte le grandi società quotate, a partire da quelle più inquinanti, hanno un piano di decarbonizzazione. Che spesso è deludente
Ma dove vai se un piano di decarbonizzazione non ce l’hai? Ormai tutte le grandi società quotate in Borsa, a partire da quelle più inquinanti, ne hanno uno. Nella maggior parte dei casi promette di raggiungere l’obiettivo “net zero” (zero emissioni nette di anidride carbonica) entro il 2050. Ciò significa che tutte le emissioni rilasciate nell’atmosfera dovranno essere in qualche modo rimosse o compensate entro i prossimi 28 anni. In linea con l’Accordo di Parigi e puntando a un aumento massimo della temperatura media globale pari a 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali.
Una novità che è stata salutata con grande entusiasmo dagli azionisti. Il 28 maggio 2021, all’assemblea del colosso petrolifero francese TotalEnergies, l’82,78% ha votato a favore del piano di transizione energetica della società. Dieci giorni prima, l’88,74% ha approvato la strategia di transizione di Shell. Mentre, in aprile, il piano di Nestlé è stato applaudito dal 95% degli azionisti.
I piani di decarbonizzazione premiati da Transition Pathway Initiative
A benedire i progressi verdi dei big del petrolio e dell’energia ci ha pensato recentemente l’influente Transition Pathway Initiative (TPI). Un’iniziativa promossa da un gruppo di grandi investitori globali per valutare il livello di preparazione delle imprese nella transizione verso un’economia low-carbon. Ne fanno parte, tra gli altri, il fondo sovrano norvegese – il più grande al mondo, con 1.200 miliardi di euro investiti. Oltre ai fondi pensione pubblici svedesi e quelli della Chiesa d’Inghilterra.
Il 24 novembre scorso, la TPI ha pubblicato un rapporto che dà i voti alle principali società energetiche mondiali. In base alle analisi dei ricercatori di TPI, tre big del petrolio e undici società energetiche passerebbero l’esame a pieni voti. I loro piani di decarbonizzazione sarebbero, infatti, allineati con l’obiettivo 1,5 °C. Tra i primi della classe ci sono l’italiana Eni, TotalEnergies e l’americana Occidental Petroleum. Perché si sono poste «obiettivi di riduzione delle emissioni così ambiziosi da raggiungere il “net zero” entro il 2050». Sul podio anche l’utility tedesca RWE, il più grande produttore di energia dal carbone in Germania.
«Conclusioni molto sorprendenti»
«La nuova ricerca di TPI arriva a conclusioni molto sorprendenti», spiega in una nota l’Ong francese Reclaim Finance. «I risultati sono sia troppo belli per essere veri che tecnicamente impossibili». L’analisi della cosiddetta “performance carbonica” delle imprese – sottolinea Reclaim Finance – «si basa però esclusivamente sulle dichiarazioni delle aziende e non considera fatti e cifre. Inoltre, TPI non tiene conto dell’importanza critica della riduzione delle emissioni a breve e medio termine, per evitare l’accelerazione immediata dei cambiamenti climatici».
Ci si concentrerebbe, quindi, sui programmi a lungo termine, senza considerare gli scarsi impegni delle imprese entro il 2025 o il 2030.
Le domande degli azionisti critici a Eni
Le critiche di Reclaim Finance sono confermate da un’analisi di Fondazione Finanza Etica (FFE), ReCommon e Greenpeace, pubblicata nel maggio scorso. Il documento, che ha rappresentato la base per le domande e gli interventi all’assemblea di Eni del 12 maggio, evidenzia, in particolare, tre punti deboli.
Per prima cosa, l’80% dell’abbattimento di emissioni al 2050 da parte di Eni sarebbe garantito da un cambiamento radicale del mix di produzione. Prevede la progressiva sostituzione del petrolio con il gas, uno spostamento sul settore retail (vendita di gas e energia elettrica alle famiglie). E un progressivo aumento del fatturato prodotto dalle bioraffinerie, che sarebbero alimentate da scarti agricoli e produrrebbero biocarburanti, bruciando principalmente idrogeno blu (derivato dal gas).
«Sul cambiamento nel mix di produzione, le informazioni fornite da Eni continuano ad essere molto aleatorie», ha spiegato FFE nel suo intervento in assemblea. «Inoltre, l’idrogeno blu è un derivato di una fonte fossile. Avrebbe più senso puntare già da ora sull’idrogeno verde, ricavato dalle rinnovabili per elettrolisi».
Nel lungo periodo saremo tutti morti
C’è poi la questione breve-lungo periodo. Il previsto abbattimento delle emissioni, da parte di Eni, si concentra in particolare nel periodo dopo il 2030. Fino al 2030 le emissioni nette totali si ridurranno solo del 25% e l’intensità carbonica di appena il 15%. «Quindi per altri 10 anni Eni avrà un impatto sul clima molto vicino a quello che ha oggi. L’emergenza climatica imporrebbe però una riduzione di emissioni più sostenuta già nei prossimi 10 anni», si legge nell’intervento di Fondazione Finanza Etica.
Anche i soldi si muoveranno troppo lentamente verso gli obiettivi di decarbonizzazione. Buona parte della capex (“capital expenditure” o investimenti in capitale fisso) nel piano industriale 2021-2024 di Eni è ancora destinato ai combustibili fossili (65%). Solo il 20% sarà destinato ad attività green.
Gli altri non sono da meno
L’analisi non risparmia nemmeno due tra i più diretti concorrenti di Eni: TotalEnergies e Shell. Il piano di decarbonizzazione di Shell è simile a quello di Eni. Il big del petrolio anglo-olandese programma di abbattere le emissioni totali (Scope 1, 2 e 3) – assolute e relative – del 100% entro il 2050.
Lo Scope 1 si riferisce esclusivamente alle emissioni dirette provenienti dagli asset propri dell’impresa, quindi generate nella fase di estrazione e produzione di idrocarburi. Lo Scope 2 è relativo alla generazione di energia elettrica, vapore e calore acquistati da terzi. Mentre lo Scope 3 rappresenta le emissioni indirette, prodotte da petrolio e gas quando sono usati, per esempio, nei motori delle automobili
Ancora una volta, l’abbattimento della carbon intensity (emissioni di CO2 relative, per unità di prodotto) si concentrerà negli ultimi 15 anni del piano (2035-2050). A differenza di Eni, Shell non definisce target precisi su diversi orizzonti temporali per la riduzione delle emissioni assolute. Scrive semplicemente che entro il 2050 si arriverà al “net zero”.
Anche per Shell gli investimenti (capex) sono principalmente focalizzati sull’upstream (estrazione di gas e petrolio), anche se in misura minore rispetto ad Eni (42% vs 65%). La quota di investimenti destinati all’upstream dovrebbe però ridursi al 25-30% dopo il 2025.
Total ha obiettivi ancora meno ambiziosi
La francese Total programma di abbattere tutte le emissioni (Scope 1, 2 e 3) in termini assoluti «entro il 2050 o prima». Per lo Scope 3, si fa riferimento però solo ai prodotti energetici usati dai clienti del gruppo in Europa e non a livello globale. Per la carbon intensity si parla di un obiettivo di riduzione globale (Europa e Paesi extraeuropei) al 2050 di almeno il 60%.
Come si vede, gli obiettivi sono meno ambiziosi rispetto a quelli fissati da Eni e Shell. Total, come Eni e Shell, si propone di diversificare il mix energetico, riducendo le vendite di prodotti petroliferi e aumentando le vendite di gas e elettricità. È significativo, però, che Total si ponga obiettivi chiari di mix energetico per il 2030, cosa che non sembrano voler fare né Eni né Shell.
In generale, gli obiettivi forniti da Total sono molto più vaghi (rispetto ad Eni e Shell) e si fermano al 2030. Non sono forniti target precisi di capex su upstream ed energie verdi. Nell’ultima presentazione agli investitori si parla di un capex del 20% per rinnovabili ed elettricità ma non si specifica come sarà investito il rimanente 80%, dedicato – presumibilmente – ai combustibili fossili.
Gli azionisti critici contro il piano di decarbonizzazione di Total
Un motivo per cui la società di investimenti francese Meeschaert Amilton, socio fondatore della rete Shareholders for Change, ha votato contro il piano di Total. All’assemblea del 28 maggio 2021, Meeschaert ha rappresentato l’iniziativa Climate Action 100+, che coinvolge oltre 600 investitori in tutto il mondo. E ha guidato una fronda di oppositori, per un totale di 17,2% di voti non esplicitamente a favore del piano di carbonizzazione di TotalEnergies.
Meeschaert ha sottolineato il divario tra le misure annunciate e gli obiettivi climatici globali. E ha invitato Total a smettere di investire in nuovi progetti di petrolio e gas. Nonostante la gravità sempre più evidente della crisi climatica, sia TotalEnergies sia Eni, continuano infatti a investire nella crescita della produzione di idrocarburi nel breve periodo.