La Cina si “compra” la FAO: ecco perché il Sud del mondo appoggia Pechino
Dietro l'elezione di Qu Dongyu a DG della FAO almeno 143 miliardi di dollari di prestiti e 76,5 miliardi di dollari di contratti ad aziende in Africa.
Terremoto alla FAO, con epicentro sotto la poltrona del direttore generale. Il 23 giugno, infatti, a capo dell’agenzia delle Nazioni Unite che presiede ai temi dell’alimentazione e dell’agricoltura (Food and Agriculture Organization of the United Nations) è stato eletto per la prima volta un cinese: Qu Dongyu. Il suo mandato terminerà dopo quattro anni, il 31 luglio 2023, seguendo i due consecutivi del brasiliano Jose’ Graziano da Silva.
Il nuovo direttore generale, come peraltro tutti gli altri candidati sconfitti, si presentava con un curriculum ampiamente adeguato al compito. Eppure alcuni aspetti della sua storia e carriera non possono che connotarlo: in particolare la formazione da biologo, con incarichi nell’Accademia cinese delle scienze agrarie e un’attenzione ai temi della ricerca e dell’innovazione per l’aumento del reddito nel comparto agricolo. Ma, soprattutto, il fatto che sia attualmente viceministro cinese dell’Agricoltura e degli affari rurali.
Questa elezione non si configura più come un semplice avvicendamento tra due alti funzionari dell’istituzione multilaterale, ma assegna con chiarezza un punto alla crescente influenza di matrice asiatica. La conta dei voti sancisce il progressivo spostamento a Est dell’asse geopolitico internazionale: Qu ha infatti vinto con ben 108 preferenze. Contro le 71 della prima candidata sconfitta, la francese Catherine Geslain-Lanéelle, sostenuta compattamente dall’Unione europea. E senza alcun paragone con le 12 del georgiano Davit Kirvalidze, appoggiato – con qualche tentennamento – dagli Stati Uniti.
Vittoria del “sistema Cina” costruita in Africa dai prestiti…
Benché l’elezione avvenga con voto segreto, e quindi non si possa sapere esattamente quali delegati rappresentanti dei Paesi membri della FAO abbiano puntato su Qu, la base del suo sostegno pare chiara. Riflettendo un’influenza cinese globale sempre più marcata nel continente africano e in molte economie emergenti.
Nell’occasione, la Cina sarebbe passata all’incasso – come si dice – presso la FAO rispetto a quei 143 miliardi di dollari di prestiti che il suo governo, le banche (soprattutto Export-Import Bank of China e China Development Bank) e gli appaltatori hanno concesso dal 2000 al 2017 ai governi africani e alle loro imprese statali. Un dato che – pur nella difficoltà di ottenere dati ufficiali – è stato elaborato dal portale China Africa Research Initiative (CARI) e appare notevole per il trend di crescita e il dinamismo politico che l’ha reso possibile.
Per quanto, sul piano puramente quantitativo, l’ammontare dei prestiti cinesi resta dietro a quello degli americani, le notizie sulla “generosità” cinese verso gli amici africani – che si traduce ovviamente in debiti da ripagare – non mancano. E vengono ampiamente propagandate.
Congratulations to @DongyuQu new elected @FAO Director General. As Host Country, Italy is ready to work with you closely to face our common challenges on hunger, food insecurity and malnutrition and to achieve a more sustainable and equal world
— Giuseppe Conte (@GiuseppeConteIT) June 23, 2019
…e dagli investimenti
Ma se ciò non bastasse, in una chiara strategia di espansione, ai prestiti si associano gli investimenti, in campo agricolo e non: l’economista Jeremy Stevens di Standard Bank Group di Pechino ha calcolato 76,5 miliardi di dollari di contratti cinesi in Africa nel solo 2017. La Cina, del resto, è nazione tanto grande e popolata da essere alla continua ricerca di importazioni alimentari. E le acquisizioni di terra o gli investimenti fuori dai propri confini si configurano sia come operazioni di accaparramento di terre fertili (land grabbing), sia come colonizzazione tecnologica, infrastrutturale e occupazionale.
Nel periodo 1987-2016 il CARI ha registrato prove di acquisto di terra per 252mila ettari, il 41% delle quali situate in Camerun. Un Paese che aveva presentato la propria candidatura (Yaoundé Moungui) alla direzione di FAO. Candidatura che, secondo voci non confermate, sarebbe stata ritirata a marzo 2019 dopo la cancellazione di un debito di 62 milioni di euro proprio con i cinesi.
La spinta del G77 e l’appoggio “spontaneo” dal sudamerica
Prestiti e investimenti sono la traccia visibile dell’espansione prepotente dell’area d’influenza di Pechino che, non dimentichiamolo, è il terzo maggior contributore della FAO con circa 21 milioni dollari l’anno. Ma questa espansione, che ha aiutato Qu a prevalere ed è sempre più indirizzata verso sud e verso Ovest, viene testimoniata e moltiplicata anche attraverso settori diversi.
Dal 2013 l’ex vice ministro delle finanze cinese Li Yong guida l’organizzazione delle Nazioni unite per lo sviluppo industriale (UNIDO), ad esempio. Mentre la dottoressa Fang Liu ha assunto il ruolo di segretario generale dell’International Civil Aviation Organization (ICAO). Posizioni di prestigio che generano inevitabilmente reti e relazioni da spendere.
Ecco quindi come sarebbero arrivati anche i voti delle nazioni che coprono gran parte della fascia sud-tropicale ed equatoriale del Pianeta. Ovvero dei membri del G77. Nonostante anche l’India presentasse un proprio candidato alla direzione, e – si dice – abbia chiesto ai cinesi di ritirarsi al fine di non spezzare il fronte.
Mentre, con la mano destra, il Dragone metteva in campo la carota della comunanza di aspirazioni, ansie e necessità (si pensi solo alle questioni demografiche, climatiche e di povertà diffusa) con gli altri 76 Paesi in via di sviluppo, con la sinistra usava il bastone. Quello dello strapotere macroeconomico. Secondo quanto riportato da «Le Monde» per convincere Brasile e Uruguay a sostenere Qu sarebbe infatti servita la minaccia di porre un freno alle loro esportazioni.
E così, con un’Europa debole e nel pieno della guerra per i dazi con Trump (che, in vista della probabile elezione di Qu, ha minacciato di ridurre i finanziamenti alla FAO), la Cina ha tessuto alleanze.
Grazie ad esperienze come quella maturata in UNIDO, ha imparato a competere sempre meglio nel gioco della diplomazia internazionale. Ed è pure per questo che non è bastato a garantire l’appoggio del sudamerica alla candidata europea Catherine Geslain-Lanéelle neanche il negoziato in stato avanzato che, nei giorni dell’elezione in Fao, stava portando a concludere un importante accordo commerciale tra Ue e Mercosur (ovvero Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay, Venezuela e Bolivia).
Olper: l’influenza cinese può incidere su accordi e OGM
Tutte dinamiche confermate da Alessandro Olper, professore di economia agraria dell’Università statale di Milano, per il quale l’elezione di Qu Dongyu è rilevante più come «questione di tipo geopolitico», legata all’espansione d’influenza cinese, che per il peso della FAO in sé. «Storicamente la FAO, soprattutto negli ultimi 20 anni, non ha funzionato molto bene – precisa il docente -. Ha tuttavia ri-acquisito una parte del suo ruolo a livello geopolitico soprattutto dopo la crisi dei prezzi delle commodities agricole del 2008, con le conseguenze in termini di sicurezza alimentare, che lo shock dei prezzi ha generato».
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La “conquista” di FAO, oltre a testimoniare le limitatezze ventennali dell’azione europea in Africa, svela perciò un quadro in cui «la Cina – ricorda Olper – potrebbe avere un’influenza sui Paesi in via di sviluppo per quanto riguarda le loro posizioni nelle organizzazioni come il WTO – che però attualmente è in situazione di stallo – che sovrintendono degli accordi internazionali di libero scambio. E potrebbe avere influenza sui Paesi in via di sviluppo negli accordi bilaterali di libero scambio – come quelli dell’Europa con il Mercosur -. Altra questione su cui potrebbe esserci un’incidenza è quella degli OGM, su cui potrebbe verificarsi una convergenza con gli Stati Uniti, dal momento che in Cina l’utilizzo degli OGM è praticato».