Elezioni presidenziali, gli Stati Uniti oggi escono (comunque) dall’Accordo di Parigi
Si conclude oggi la procedura di uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, avviata nel 2017 da Donald Trump
Stanotte, il mondo intero ha puntato gli occhi verso Washington. La sfida tra Joe Biden e Donald Trump ha tenuto col fiato sospeso 300 milioni di cittadini americani. I due candidati avevano infatti programmi diametralmente opposti in numerosi ambiti. Sul welfare state, sulla strategia per superare la crisi del coronavirus, sui migranti, sulla sanità. Ma a dividere fortemente i due contendenti sono state soprattutto le questioni climatiche e ambientali.
La procedura di uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi avviata nel 2017
Qualunque fosse stato il risultato delle urne, infatti, questo mercoledì 4 novembre si sarebbe aperto comunque con una cattiva notizia. Oggi, infatti, gli Stati Uniti usciranno ufficialmente dall’Accordo di Parigi. La procedura avviata da Donald Trump nel giugno del 2017 prende effetto proprio oggi. Sono stati infatti necessari tre anni di attesa, secondo quanto previsto dalle Nazioni Unite, per rendere operativa la decisione.
La storia, in questo senso, era già scritta. La domanda che ci si poneva era piuttosto sulla durata di questa uscita dall’Accordo. Breve, in caso di vittoria di Joe Biden; di almeno quattro anni, in caso di riconferma di Trump alla Casa Bianca. Il candidato democratico aveva infatti già assicurato che in caso di elezioni avrebbe immediatamente (ri)ratificato il documento. Un passaggio, quest’ultimo, ben più rapido rispetto all’uscita: per il rientro degli Stati Uniti nei negoziati internazionali bastano 30 giorni a partire dal momento della notifica all’Unfccc (la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici).
Nel frattempo, le delegazioni ufficiali del governo americano non potranno partecipare ai negoziati sul clima. Non lavoreranno dunque allo sforzo che la comunità internazionale sta facendo nel tentativo di rendere concreti gli obiettivi dell’Accordo. Primo fra tutti, limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi, entro il 2030, rispetto ai livelli pre-industriali.
Il piano di Biden da 2mila miliardi di dollari per la transizione ecologica
Oltre al rientro nell’Accordo di Parigi, Joe Biden ha promesso in campagna elettorale di organizzare un importante summit con i dirigenti delle industrie più inquinanti del Paese. Una conferenza sul clima da organizzare entro i primi 100 giorni del suo mandato. Obiettivo: convincerli a diminuire le proprie emissioni di gas ad effetto serra. E, più in generale, ad impegnarsi maggiormente per salvaguardare ambiente e clima.
Lo stesso programma di Biden è effettivamente molto ambizioso, almeno sulla carta. Prevede ad esempio di lanciare il proprio Paese verso una produzione di energia al 100% da fonti pulite. E di raggiungere la carbon neutrality (l’azzeramento delle emissioni nette di CO2) entro il 2050. Ma Biden ha anche assicurato che ripristinerà le leggi che sono state cancellate in tutto o parzialmente da Trump nel corso del suo mandato. Il tutto con un piano valutato 2mila miliardi di dollari.
L’isolamento internazionale degli Stati Uniti sul clima
Al contrario il miliardario statunitense nel proprio programma ha indicato di voler continuare sulla strada intrapresa nel primo quadriennio. Ovvero confermare l’uscita dall’Accordo di Parigi, e mantenere così il proprio isolamento internazionale. Nessun’altra nazione ha infatti seguito le orme di Washington. Perfino i climatoscettici governi di Russia, Arabia Saudita e Australia, così come il Brasile, non hanno formalmente abbandonato i negoziati Onu.
Inoltre, fino all’ultimo Trump ha confermato il proprio orientamento. Il 17 agosto 2020, il New York Times ha rivelato che il governo ha previsto di far partire entro la fine del prossimo anno nuove trivellazioni in un parco naturale nell’Artico alla ricerca di petrolio e gas. Quatto giorni prima l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) aveva eliminato la regola che imponeva alle compagnie di sorvegliare e limitare le fughe di metano nel corso delle loro operazioni.
Quattro anni di passi indietro con Donald Trump
Trump tra il 2016 e il 2020 ha anche ridotto drasticamente l’estensione di numerose aree protette. Ha rilanciato i grandi progetti di nuovi oleodotti (il Keystone XL e il Dakota Access). E ha affossato il Clean Power Plan di Barack Obama, che puntava a diminuire le emissioni di CO2 degli Stati Uniti del 32 per cento, entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005.
Il miliardario americano ha quindi scelto dapprima un aperto sostenitore delle fonti fossili alla direzione dell’EPA, Scott Pruitt. Quindi, dal 2018, Andrew R. Wheeler, ex lobbista pro-carbone. Ha poi rilanciato le esplorazioni minerarie e sostenuto proprio la filiera del carbone, nonché alleggerito le norme ambientali per i costruttori di automobili.
Trump e Biden sono dunque agli antipodi sulle questioni climatiche. Si potrebbe obiettare che essere distante anni luce da un fervente climatoscettico come The Donald è fin troppo facie. Vero. Ma il programma di Biden resta oggettivamente ambizioso al di là del paragone con il suo avversario. Il punto sarà capire se, in caso di elezione, sarà in grado di tradurre le parole in fatti.