L’era dei voli aziendali non finisce, nonostante la crisi climatica
In Europa, i voli aziendali contribuiscono per il 25-30% alle emissioni totali dell’aviazione. Ma pochissime imprese provano a farne a meno
È l’inizio del 2020, è appena esplosa la pandemia. Nell’arco di poche settimane accade qualcosa che fino a quel momento era difficile anche solo da immaginare: il mondo si ferma. Le frontiere chiudono. Le scrivanie di casa diventano uffici, le riunioni si spostano su Teams o Zoom. Per fortuna, l’emergenza sanitaria ormai è un ricordo. Tant’è che il turismo internazionale pare destinato a ritornare ai livelli pre-Covid già nel 2024. Le emissioni di gas serra legate ai voli aerei aziendali, in compenso, nel 2022 sono state ancora ben al di sotto dei livelli del 2019: il calo è del 46%.
Insomma, i fatti dimostrano che è possibile fare business anche senza spedire i manager da un Continente all’altro senza sosta. Per le grandi imprese, è un’occasione preziosa per trasformare una contingenza in strategia. Ora che il mercato le spinge a impegnarsi per il net zero, possono approfittarne per fare un piano, serio e documentato, su come abbattere progressivamente le emissioni dei viaggi in aereo per lavoro. Eppure, sulle 328 società analizzate dalla campagna Transport&Environment (T&E), solo 57 hanno avuto questa lungimiranza. Tutte le altre continuano a ignorare il problema.
L’intervista
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Abbattere le emissioni dei voli aziendali è possibile
L’aereo è il mezzo di trasporto che ha l’impatto più nocivo sul riscaldamento globale, questo è assodato. Nel 2022 l’aviazione contava per il 2% delle emissioni di CO2 legate all’energia, riporta l’International Energy Agency (IEA). I viaggi d’affari rappresentano il 15-20% di queste emissioni a livello globale, una percentuale che sale al 25-30% in Europa.
Come ci ha insegnato il Covid-19, un modello diverso è possibile. Lo dimostrano le 57 società che si sono impegnate formalmente a ridurre le emissioni legate ai voli aziendali. Cinque di loro si sono meritate il “gold standard” assegnato dalla Travel Smart Campaign di Transport&Environment: ciò significa che hanno rendicontato queste emissioni e si sono impegnate a sforbiciarle almeno del 50% entro il 2025. Si tratta di quattro società finanziarie (Zurich, Swiss Re, Fidelity International e ABN Amro) e una farmaceutica (Novo Nordisk).
L’indifferenza delle grandi aziende
Ma c’è un problema. Per scovare questi (pochi) casi virtuosi, Transport&Environment ha dovuto passare al setaccio ben 328 società. La stragrande maggioranza del campione – l’83%, per la precisione – non ha alcun piano credibile per ridurre le emissioni dei voli aziendali. C’è di più: a dimostrarsi indifferenti sono proprio le aziende che hanno l’impatto peggiore. 25 multinazionali, infatti, messe insieme contribuiscono al 36% delle emissioni di gas serra delle trasferte di lavoro in aereo. Se le dimezzassero, il totale calerebbe di 5,9 milioni di tonnellate di CO2. Sarebbe come togliere dalla circolazione 3 milioni di automobili per un anno.
Si potrebbe ipotizzare che, per determinati settori, volare sia proprio indispensabile. Ma quest’argomentazione cozza con un dato di fatto: anche all’interno dello stesso comparto, c’è chi si impegna e chi non lo fa. Tra le società di consulenza, per esempio, KPMG e Accenture figurano in cima alla lista delle aziende che viaggiano di più, senza avere alcuna strategia per il futuro. Le loro concorrenti EY, PwC e Deloitte, al contrario, hanno un piano per ridurre i voli. Vale lo stesso discorso per le case farmaceutiche: Johnson & Johnson è in ritardo, Pfizer e Roche invece mostrano di volersi impegnare. Passando alle banche, le italiane Intesa Sanpaolo e Unicredit si devono accontentare di una “C”, su una scala che va “A” a “D”; Lloyds Banking e Fidelity International, invece, meritano una “A.” «Non ci sono scuse per non agire», conclude Denise Auclair di Transport & Environment.