Dalle banche più di mille miliardi di dollari a nuovi progetti fossili

Le grandi banche internazionali continuano a finanziare nuovi progetti di sfruttamento di gas, petrolio e carbone

Alessandro Longo
Nonostante gli impegni della comunità internazionale e gli allarmi degli scienziati le banche continuano a finanziare progetti di sfruttamento delle fonti fossili © hanhanpeggy/iStockPhoto
Alessandro Longo
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Dall’Accordo di Parigi del 2015 ad oggi, le banche hanno continuato a finanziare nuovi progetti di estrazione di combustibili fossili. Nonostante la comunità internazionale si sia impegnata a limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali.

Gli impegni delle banche nella lotta ai cambiamenti climatici si rivelano, dunque, ancora una volta poco credibili. Non solo continuano a finanziare carbone, petrolio e gas, ma perfino quelle società che pianificano nuovi progetti di estrazione e sfruttamento di tali fonti. Con l’inevitabile conseguenza che l’obiettivo degli 1,5 gradi si fa sempre più irraggiungibile. Condannandoci a disastri ambientali sempre più frequenti. 

Nuovi progetti fossili, nuove emissioni

Come riporta l’ultimo rapporto Banking on Climate Chaos, le industrie del settore fossile hanno già previsto di produrre più petrolio e gas di quanto possiamo permetterci di bruciare se vogliamo evitare che la crisi climatica si trasformi in una catastrofe.

Persino l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), in un recente report, sostiene che non siano necessari altri siti di estrazione oltre a quelli già attivi o in via di sviluppo. Anzi, per rimanere allineati all’Accordo di Parigi, la produzione dovrebbe essere ridotta almeno del 3-4% all’anno. Lo scenario prospettato dall’IEA, però, si basa su una crescita tanto rapida quanto improbabile della CO2 recuperata dall’atmosfera attraverso sistemi di carbon capture (cattura e stoccaggio del biossido di carbonio). Detto questo, numerose grandi compagnie continuano a pianificare espansione dell’attività estrattiva. Ma quali saranno le conseguenze?

Le emissioni potenziali dei siti in costruzione ci porterebbero, infatti, ben oltre i 2 gradi. E una differenza di appena mezzo grado avrebbe conseguenze catastrofiche sugli equilibri del Pianeta. Come sottolineato dall’IPCC già nel 2018, passando da 1,5 a 2 gradi, ad esempio, la barriera corallina morirebbe, i milioni di persone a rischio siccità aumenterebbero e la percentuale di specie che si estinguerebbero raddoppierebbe. 

La (ir)responsabilità delle banche

Delle 60 banche considerate nel rapporto, 44 si sono impegnate ad azzerare le emissioni nette legate alle loro attività entro il 2050. Tuttavia, pochissime hanno adottato policy concrete ed efficaci per ridurre il loro sostegno ai combustibili fossili. E nel 2021 hanno fornito quasi 160 miliardi alle cento imprese che puntano, appunto, ad aumentare la produzione di petrolio, gas e carbone. 

Unica eccezione è la Banque Postale, sesta banca francese per asset in gestione: non solo si è impegnata a smettere di finanziare le società che investono in nuovi progetti, ma anche a uscire dal settore fossile entro il 2030. 

1.345 miliardi di dollari

I finanziamenti complessivi all’espansione fossile nei sei anni successivi all’Accordo di Parigi superano i 1.300 miliardi di dollari. Le prime dieci banche – cinque americane, due inglesi, una francese, una giapponese e una cinese – hanno concesso da sole la metà dei finanziamenti totali. Dopo essere diminuiti nel 2017, nel 2020 hanno quasi raggiunto i 320 miliardi, più del doppio rispetto a tre anni prima. Nel 2021 la cifra è tornata a scendere, ma non per tutte le banche. Tra queste, Intesa Sanpaolo ha raddoppiato i finanziamenti rispetto all’anno precedente e quasi quintuplicato rispetto a quelli del 2019. 

Continuare a finanziare l’espansione fossile, secondo gli autori del rapporto, risulta incompatibile con i molteplici impegni sbandierati da numerose banche che affermano di voler raggiungere la carbon neutrality.