I falsi amici del clima. Ecco i CEO che predicano bene ma finanziano le fossili

Molte delle banche, fondi e assicurazioni presenti al Forum di Davos investono miliardi nelle fonti fossili. Greenpeace svela, numeri alla mano, l'ipocrisia dei loro manager

i vertici dei finanziatori dei combustibili fossili al WEF 2020 - Rapporto Worldeconomicfailure da Greenpeace International, gennaio 2020

I riflettori puntati sul World Economic Forum (WEF) 2020 di Davos in Svizzera hanno colto ogni dettaglio dello scontro mediatico a (breve) distanza tra Greta Thunberg e il presidente USA Donald Trump. Pochi hanno fatto caso a un altro aspetto: molti dei fondi pensioni, banche e assicurazioni presenti al Forum sono sotto accusa per aver continuato a finanziare e sostenere l’industria che i combustibili fossili. Con buona pace per il documento programmatico del meeting, sintetizzato dallo slogan del Forum «azionisti per un mondo coeso e sostenibile».

Lo j’accuse è contenuto in un rapporto (It’s the finance sector, stupid) realizzato da Greenpeace International: nel documento vengono fatti nomi e i cognomi dei top manager di questi operatori internazionali inviati in Svizzera. E soprattutto vengono indicate le somme di denaro iniettate nel sistema per la conservazione dell’economia fossile.

10 banche hanno finanziato i combustibili fossili con 1 trilione di dollari dall’Accordo di Parigi al 2018 – Greenpeace International, gennaio 2020

24 banche tra gli amici più fidati delle fossili. E in 10 fanno 1 trilione di dollari

«Quelle banche sono colpevoli dell’emergenza climatica» osserva Jennifer Morgan, direttore esecutivo di Greenpeace International. «Nonostante gli avvertimenti ambientali ed economici, stanno alimentando un’altra crisi finanziaria globale sostenendo l’industria dei combustibili fossili». Colpevoli, a cominciare da quegli 11 istituti che, oltre che partecipare al WEF di Davos, appartengono alla lista che l’ong definisce “sporca dozzina” (dirty dozen) e comprende le banche considerate più attive nel finanziamento alle fossili dalla ricerca Banking on Climate Change 2019. Ma non basta.

Sono infatti ben ventiquattro le banche che, tra la firma dell’Accordo di ParigiL’Accordo di Parigi è un documento d’intesa tra le nazioni facenti parte dell’UNFCCC che è stato raggiunto nel 2015 al termine della Cop21.Approfondisci sul clima del 2015 e il 2018, hanno pompato 1,4 trilioni di dollari (cioè 1.400 miliardi di dollari americani) a sostegno della filiera delle energie fossili.

Tra questi istituti, i dieci che insieme hanno saputo garantire un afflusso da un trilione di dollari al comparto, rappresentano una sorta di Top Ten dei “promotori del climate change che include molti dei “soliti noti”: JP Morgan Chase, Citi, Bank of America, RBC Royal Bank, Barclays, MUFG, TD Bank, Scotiabank, Mizuho e Morgan Stanley. Il gruppo ha destinato al sostegno delle fonti fossili risorse economiche equivalenti al rischio finanziario che 215 delle più grandi società mondiali ritengono di poter subire a causa degli impatti climatici nei prossimi cinque anni.

Ecco ‘quanto vale’ 1 trilione di dollari con cui le banche finanziano i combustibili fossili – FONTE: Greenpeace International, gennaio 2020

Da 3 fondi pensioni 26 miliardi al petrolio

Non è finita: la rassegna degli ospiti sgraditi che hanno preso parte al forum di Davos non risparmia fondi pensione e grandi compagnie assicurative.

Meno conosciuti, ma comunque responsabili per l’uso che fanno dei loro ingenti patrimoni, sono infatti Ontario Teachers’ Pension Plan, Canada Pension Plan Investment Board e PensionDanmark. Si tratta di tre fondi pensione che avrebbero almeno 26 miliardi di dollari investiti nelle partecipazioni azionarie di società petrolifere come Shell, Chevron ed Exxon, nonché in istituti bancari finanziatori dei combustibili fossili come JP Morgan Chase, Bank of America e Royal Bank of Canada. «I fondi pensione sono un pilastro importante nel mondo finanziario» sottolinea il rapporto Greenpeace. Tanto per capire: i 100 più importanti gestiscono diversi trilioni di dollari. Non è quindi rassicurante sapere che, stando all’analisi di Asset Owners Disclosure Project, il 65% dei 100 maggiori fondi pensione pubblici globali non ha alcuna politica di investimento responsabile con riferimenti specifici ai cambiamenti climatici.

Gli eventi legati al cambiamento climatico sono in aumento nel mondo. – FONTE: La politica agricola comune post 2020 – proposte legislative

La responsabilità delle compagnie di assicurazione

Infine ci sono le assicurazioni, che hanno il ruolo essenziale di garantire parte del flusso di denaro che alimenta la filiera delle emissioni di CO2. Questo perché «Se un settore non è assicurabile, non è bancabile», scrive Greenpeace. Sono proprio colossi come AIG, Prudential, Sompo, Tokio Marine e Lloyd’s, che la ong definisce come «cinque delle peggiori per la copertura del carbone» a consentire continuità: ben quattro su cinque di loro non adotta «alcuna politica pubblica per ridurre il proprio sostegno ai progetti della filiera carbonifera» né avrebbe esplicitato la volontà di rinunciare a fare affari con il settore dei combustibili fossili». Una noncuranza inconcepibile visto che, nel solo 2017, si sono registrati costi da eventi catastrofici naturali per 344 miliardi di dollari, «di cui il 97% a causa di eventi legati al clima».

Le parole di Dimon e gli altri

Le dichiarazioni dei vertici di banche, fondi e assicurazioni – i CEO (Chief Executive Officier), i presidenti o gli amministratori delegati – vengono citate da Greenpeace mostrando talvolta una spiccata sensibilità sui temi del clima – incongruente, in apparenza, coi comportamenti finanziari – oppure qualche dose di ignoranza e ipocrisia su fondamentali questioni ambientali. Ed è con questo cortocircuito tra fatti e parole che si chiude la denuncia del report, creando una scheda per 18 di questi supermanager (tutti uomini, guarda caso).

…E Jane Fonda li sbugiarda

Pillole interessanti per capire che dietro strategie che muovono miliardi e provocano importanti effetti climatici indiretti ci sono comunque individui. E che questi individui cominciano a diventare oggetti di pressione proveniente dal basso, chiamati alla loro personale responsabilità nelle campagne ambientaliste in cui si critica un preciso modello di finanza che non si rassegna ad abbandonare una propria storica fonte di profitto.

Un esempio di questo nuovo approccio delle campagne anti-fossili arriva da Jane Fonda. La storica attrice statunitense, due volte Premio Oscar, ha infatti realizzato un videoappello, pronunciato sotto un elegante cappello rosso. Il destinatario è ben preciso: James Dimon, presidente e CEO di JP Morgan Chase:

«Jaime, smetti di finanziare il petrolio, il gas e il carbone con i soldi di Chase. Se non lo farai, taglieremo le nostre carte di credito, lasceremo la tua banca e ne troveremo una migliore».

 

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