Come possiamo imporre alla finanza di considerare i rischi climatici
Agendo sugli obblighi patrimoniali delle banche si potrebbe imporre loro di prendere in considerazione i rischi climatici dei loro business
Le banche hanno un impatto enorme sul clima. Abbiamo spesso scritto di come il settore finanziario continui a finanziare massicciamente l’industria delle fossili, malgrado le continue dichiarazioni circa una presunta sostenibilità. E malgrado gli evidenti rischi climatici.
Ma se questi ultimi sono evidenti, esistono anche rischi economici e finanziari legati a queste operazioni? La risposta è sì. E secondo uno studio appena pubblicato da Finance Watch, prendere in considerazione i rischi che i cambiamenti climatici pongono alla stabilità bancaria potrebbe essere una leva fondamentale per ridurre drasticamente i finanziamenti con impatto negativo sull’ambiente. Vediamo come.
La leva dei requisiti patrimoniali per integrare i rischi climatici
Semplificando, per ogni prestito concesso le banche devono tenere da parte dei soldi propri, ovvero una parte del patrimonio della stessa banca. L’idea, da anni al centro della regolamentazione bancaria, è la seguente. Le banche usano i soldi che i correntisti depositano sui conti correnti o in altra forma, per prestarli a chi li richiede. Statisticamente una parte di chi chiede un prestito non riuscirà a rimborsarlo. Non è però possibile che questo minacci i depositi e i risparmi dei clienti. Ecco che allora ogni banca deve tenere bloccata una parte di “soldi suoi”, ovvero del proprio patrimonio, per fare fronte a tali potenziali perdite.
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Sì, ma quanto deve tenere da parte? La risposta dipende da quanto è considerato rischioso il prestito concesso, ovvero dalla sua forma tecnica, dalle garanzie offerte dal richiedente e da altri fattori. Per ogni tipologia di prestito viene quindi identificato un certo rischio, e di conseguenza un determinato assorbimento patrimoniale per la banca.
Più rischio significa quindi più patrimonio bloccato. Le banche erogheranno quindi meno crediti, o lo faranno a tassi di interesse superiori, per chi è considerato più rischioso. Qui sta l’elemento fondamentale della proposta avanzata da Finance Watch. Considerati sia gli attuali impatti dei cambiamenti climatici sia la crescente attenzione della comunità internazionale e la necessità di agire, finanziare progetti e imprese con impatto negativo sul clima sta diventando sempre più rischioso. Ma questo pericolo, pur riconosciuto, non è attualmente preso in considerazione nella regolamentazione bancaria.
Così si includono i rischi climatici nell’attività finanziaria
Farlo, nelle parole degli autori della ricerca, rappresenterebbe la migliore soluzione per includere i rischi climatici nell’attività finanziaria. L’effetto sarebbe dirompente non solo per il settore bancario ma anche per quello assicurativo. Il risultato immediato, come accennato, sarebbe quello di rendere molto più oneroso continuare a finanziare il settore delle fossili – o altri business che presentano impatti negativi sul clima.
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Una soluzione da anni condivisa e sostenuta dal mondo della finanza etica, che anzi fa un passo ulteriore. Tutte le considerazioni svolte fino a ora partono dall’assunto secondo cui la valutazione di quanto rischioso sia un prestito, e di conseguenza quanto patrimonio la banca debba accantonare, si fondi su parametri esclusivamente economico-finanziari. È questo l’approccio seguito anche da Finance Watch. Le regole hanno l’obiettivo di tutelare la stabilità e la solidità delle banche. C’è un rischio finanziario associato ai cambiamenti climatici. Dobbiamo prenderlo in considerazione.
La finanza etica ribalta l’approccio
Tutto giusto e condivisibile, ma come detto si potrebbe andare più in là. La finanza non è staccata dal mondo, ed è oggi chiamata a fare la propria parte nella lotta contro i cambiamenti climatici. L’assunto fondamentale non deve essere che il clima può avere un impatto sui rischi o i rendimenti finanziari. Occorre ribaltare tale approccio e partire dal fatto che l’attività finanziaria ha degli enormi impatti sulla stabilità climatica del pianeta. Il problema non è se il clima sia rischioso per la finanza, ma quanto la finanza sia oggi una minaccia per il clima. Di conseguenza occorre obbligare – con ogni arma a nostra disposizione – la finanza a cambiare rotta.
Agire sui requisiti patrimoniali è probabilmente l’arma più potente che abbiamo oggi. È necessario pensare a strumenti per disincentivare i finanziamenti alle fossili e incentivare quelli nell’efficienza energetica e le rinnovabili. È in questa direzione che è stato proposto di introdurre quelli che sono stati indicati come un Green Supporting Factor e un Brown Penalising Factor, rispettivamente una diminuzione degli assorbimenti patrimoniali per i settori con impatto positivo sul clima e un aumento per quelli con impatto negativo. Tale strumento permetterebbe immediatamente di spostare la finanza, e di conseguenza l’intero sistema economico, nella direzione di una reale sostenibilità. Tutto questo, è bene ricordarlo, a costo zero per le casse pubbliche.
Le critiche all’idea di un Green Supporting Factor
Le critiche principali che vengono mosse all’idea di un Green Supporting Factor sono due. Da un lato che le regole di supervisione bancaria dovrebbero rispondere unicamente a criteri economico-finanziari e non prendere in considerazione rischi climatici, se non per il loro impatto sulla stabilità finanziaria. Finché non si dimostra che i progetti con impatto positivo sul clima sono meno rischiosi per le banche, non bisogna introdurre un Green Factor. Come argomentato in precedenza, una simile visione denota per lo meno una mancanza di coraggio. Di fronte all’emergenza che stiamo vivendo, ogni strumento a nostra disposizione deve essere messo in campo immediatamente, e questo è il più efficace che potremmo avere.
La seconda critica entra più nel merito della questione. Se è relativamente semplice capire se un finanziamento abbia impatti negativi sul clima, come nel caso delle fossili, come faccio a capire quando l’impatto è positivo. In altre parole come decidere se un progetto dovrebbe usufruire del Green Factor nell’essere finanziato? Se le maglie con cui definisco cos’è Green sono troppo larghe, non ho forse messo in campo uno strumento che permette di bypassare le regole di supervisione bancaria, e ci espone a potenziali nuove crisi o per lo meno a una maggiore instabilità e fragilità del sistema bancario?
Il lavoro dell’Unione europea per definire la finanza sostenibile
Per rispondere, consideriamo che da anni l’Unione europea è al lavoro per definire e inquadrare la “finanza sostenibile”. È stata redatta la cosiddetta “tassonomia” che prende in esame ogni settore merceologico e attività produttiva. Esaminandone gli impatti dal punto di vista climatico, della biodiversità, del ciclo delle acque e dei rifiuti e altro ancora. È esattamente lo strumento di cui abbiamo bisogno per capire cosa potrebbe ricadere nel perimetro di un Green Supporting Factor.
Il problema attuale è che le lobby sono al lavoro per cercare di allargare le maglie e indebolire – se non svuotare totalmente di senso – l’idea di sostenibilità. C’è oggi il tentativo di fare rientrare persino settori quali il nucleare o il gas tra quelle da considerarsi sostenibili. Sarebbe effettivamente assurdo pensare che una fonte fossile come il gas possa usufruire di un Green Supporting Factor.
Finanza etica: molto più che sostenibile
Anche per questo, come abbiamo scritto diverse volte, la finanza etica sta al contrario chiedendo con forza l’introduzione di criteri tanto rigorosi quanto trasparenti nel definire cosa includere nella finanza sostenibile e cosa no. Non è solo l’impegno per non perdere un’occasione storica nel definire la finanza sostenibile. Non è solo per evitare che la stessa parola sostenibilità perda completamente di significato. Oggi capiamo che c’è un ulteriore, fondamentale motivo per arrivare a una definizione stringente e vincolante di finanza sostenibile.
Di fronte all’ipocrisia di un sistema bancario e finanziario che continua imperterrito a finanziare i cambiamenti climatici con migliaia di miliardi, dobbiamo mettere in campo ogni possibile strumento per costringerlo ad andare nella direzione della sostenibilità che – a parole – sostiene di perseguire. Abbiamo uno strumento semplice ed estremamente efficace per farlo. È ora di introdurlo.