I fondi “etici” che amano il petrolio (e non solo)
Si definiscono fondi etici ma alle volte investono in settori controversi. Gli italiani sono 29. E nei loro portafogli non manca qualche bruttissima sorpresa
Fondi etici, certo. Almeno sulla carta. Ma con un vizio di cui ci si libera difficilmente: gli investimenti nei settori controversi, a partire dal fossile. Basta guardare ai portafogli dei gestori per imbattersi qua e là nei nomi “incriminati”. Total, Conoco Philips e via via molte altre.
Major del settore petrolifero storicamente “problematiche” eppure presenti nell’elenco delle partecipazioni. Negli anni, complice il crescente interesse degli investitori per i temi della sostenibilità, l’attenzione per la natura degli asset gestiti è aumentata notevolmente.
Gli allarmi sul cambiamento climatico (con le inevitabili accuse al trittico gas, petrolio e carbone) hanno fatto il resto. Il pressing sugli operatori finanziari tradizionali è andato aumentando. Ma l’attenzione degli osservatori, in questo senso, riguarda anche i fondi cosiddetti sostenibili. Anche in Italia.
Intesa Sanpaolo tra shale…
I fondi etici registrati in Italia, dicono i dati di Assogestioni, sono 29. Tra i gestori, Eurizon (Gruppo Intesa Sanpaolo) resta il principale operatore con ben 18 veicoli di investimento al suo attivo per un controvalore totale di 4,8 miliardi di euro. Tutti “sostenibili e responsabili”, per lo meno in base alla classificazione, ma non per questo categoricamente avversi al fossile. Due dei primi quattro fondi (per valore complessivo), ad esempio, non escludono dal portafoglio le aziende del settore, anche se i motivi per farlo non mancherebbero di certo.
Secondo l’ultima relazione semestrale, nell’elenco dei primi 50 titoli in mano a Eurizon Azionario Internazionale Etico, un fondo da 400 milioni di euro, compaiono partecipazioni complessive da 3,6 milioni di euro in tre corporation del settore oil & gas: Conoco Philips (1,7 milioni), Valero Energy (1,2) e Total (700 mila euro). Le prime due, entrambe americane, sono attive anche nel controverso comparto shale. Conoco, in particolare, ha deciso di sacrificare le proprie operazioni nel Mare del Nord per puntare forte sul petrolio di scisto americano; il segmento interessa anche Total così come Valero, l’azienda di San Antonio (Texas), che da tempo opera con successo nel campo della raffinazione.
…e olio di palma
Interessante anche l’analisi del portafoglio del Flessibile Azionario Dicembre 2023, un altro dei principali fondi sostenibili e responsabili. Tra gli investimenti spuntano due quote da 1,1 milioni ciascuna nella portoghese Galp Energia e nella Neste Oil, un’azienda di raffinazione e trasporto di base a Espoo, in Finlandia.
Tra i principali azionisti di Galp c’è anche Isabel dos Santos, figlia primogenita dell’ex presidente angolano José Eduardo dos Santos. Unica donna nello stringato elenco dei miliardari africani, la Dos Santos è da anni una figura estremamente controversa. Neste Oil è una società finlandese attiva nella raffinazione ma da tempo opera anche nel settore dell’olio di palma, una scelta che l’ha fatta finire dritta nel mirino di Greenpeace.
Quanto è buona Total
Non mancano le sorprese nemmeno nei fondi “sostenibili e responsabili” di altre società di gestione. BNL Azioni Europa Dividendo di BNP Paribas, ad esempio, investe i circa 110 milioni di euro del suo patrimonio in un altro fondo: Parvest Sustainable Equity High Dividend Europe. Che a sua volta, segnala la relazione semestrale, investe 17,54 milioni di euro (4,41% del patrimonio totale) nella Total.
Oltre al controverso shale gas, il colosso francese continua ad estrarre petrolio dalle sabbie bituminose del Canada, una delle fonti fossili più inquinanti in assoluto. Nel portafoglio di Parvest Sustainable si segnalano anche partecipazioni in Shell (18,48 milioni di euro, 4,68% del patrimonio) e nella spagnola Repsol (9,15 milioni di euro, 2,30% del patrimonio).
…la più amata dai fondi etici
Punta su Total (2 milioni di euro, l’1,4% del patrimonio) anche il fondo Bilanciato Etico di Ubi Pramerica, che possiede inoltre 124.000 azioni di Eni (1,97 milioni di euro). Non è da meno l’Azionario Etico, sempre di Ubi Pramerica, il cui patrimonio (circa 23 milioni di euro) è investito per il 4,55% nella multinazionale italiana e per il 4,23% nella compagnia petrolifera francese. E infine Amundi (gruppo Crédit Agricole), che con l’acquisizione di Pioneer Investments, dal gennaio del 2018 ha ereditato i fondi comuni di Unicredit. In cima al portafoglio del fondo Amundi Obbligazionario Euro Corporate Etico (159 milioni di euro di patrimonio) c’è un’obbligazione Total, la compagnia petrolifera più amata dai fondi sostenibili.
È ora di escludere il petrolio
I fondi etici sono nati negli Stati Uniti negli anni venti del secolo scorso, per volere dei padri quaccheri e metodisti. In principio si trattava di escludere le le aziende che producevano alcolici, tabacco e armamenti o che gestivano case da gioco.
Ai criteri di esclusione si sono aggiunte poi anche le violazioni dei diritti umani e delle norme ambientali. Poi è stata la volta delle strategie di inclusione, che premiano le imprese più virtuose in campo sociale, ambientale o nella governance. I fondi etici (o sostenibili, o responsabili), insomma, sono basati su analisi sempre più raffinate.
Ma sembrano non aver ancora preso coscienza del vero elefante nella stanza: i cambiamenti climatici, indotti principalmente dall’uso di gas, carbone e petrolio. Già oggi, circa 1.000 tra università, fondazioni, ordini religiosi, enti locali e fondi pensione hanno deciso di dire addio ai combustibili fossili, disinvestendo 7.180 miliardi di dollari dal settore. È ora che scendano in campo anche i fondi comuni di investimento. A partire da quelli che si definiscono etici.