Dossier: Washing Ambiente Gallery | Chi ha fatto più greenwashing nel 2021: la top ten Claudia Vago 21.01.2022
Claudia Vago 21.01.2022 Leggi più tardi Bio, carbon neutral, ecosostenibile, green, plastic free… Ormai è difficile trovare un prodotto o un servizio che, per presentarsi, non utilizzi uno o più di questi termini. Segno che un tema importante come quello della crisi ambientale ha raggiunto un ampio numero di persone. Sempre più sensibili, di fronte alla scelte di un prodotto o un servizio, agli impatti su clima e ambiente. Non sempre, però, alle autodichiarazioni corrispondono i fatti. E spesso, quindi, la sostenibilità diventa per le aziende una semplice strategia di marketing. È allora che si parla di greenwashing. Una pratica sempre più diffusa e pericolosa che anche l’Unione europea cerca di contrastare, con le sue Linee guida sulle dichiarazioni ambientali forvianti. Da qualche anno Eco business, un media indipendente con sede a Singapore, pubblica una classifica dei casi più clamorosi di greenwashing da parte di aziende, organizzazioni e persino Stati. Erano otto nel 2020, sono saliti a undici nel 2021. Te li presentiamo in questa gallery.© KangeStudio/iStockPhoto Una foresta nel desertoA marzo 2021 l’Arabia Saudita ha annunciato un ambizioso piano per azzerare le emissioni nette entro il 2016. Piantare 10 miliardi di alberi nei prossimi 10 anni sul proprio territorio. A cui vanno aggiunti 40 miliardi in collaborazione con la Middle East Green Initiative. Numeri da capogiro. Peccato siano stati forniti pochissimi dettagli su come funzionerebbe il più grande programma di riforestazione del mondo. In un Paese composto in gran parte da deserto e con risorse idriche limitatissime.L’Arabia Saudita non ha alcuna intenzione di smettere di estrarre idrocarburi, ha rassicurato il principe ereditario Mohammed bin Salman. Il quale sostiene che la riduzione di emissioni sarà raggiunta attraverso l’uso di tecnologie di carbon capture, use and storage e con la creazione di una “economia circolare della CO2”.«È assurdo pensare che un’economia basata sull’estrazione e la combustione di combustibili fossili possa essere “circolare”, qualunque sia il senso che diamo a questa parola», ha dichiarato ad Al Jazeera Matthew Archer, ricercatore presso il Graduate Institute di Ginevra. Che ha aggiunto: «L’unico modo è affidarsi a tecnologie che non esistono ancora. Queste iniziative sono tanto ambiziose quanto ambigue, con pochissimi piani concreti e nessun meccanismo di responsabilità».© m.elyoussoufi/iStockPhoto L’alleanza per creare più rifiuti di plasticaThe Alliance to End Plastic Waste (AEPW) è un’organizzazione non profit con sede a Singapore che ha come obiettivo la riduzione di rifiuti plastici. E come finanziatori grandi aziende del settore petrolifero e chimico. Come Shell, ExxonMobil e Dow. Nata nel 2019, dichiara di spendere ogni anno 1,5 miliardi di dollari per ripulire dalla plastica Paesi in via di sviluppo.Ma un’inchiesta realizzata da Reuters a gennaio 2021 ha messo in luce qualche ombra. Innanzitutto, il fallimento del progetto bandiera di pulizia del fiume Gange, in India. E il fatto che le aziende che finanziano questa organizzazione pianificano di aumentare drasticamente la produzione di plastica che alimenterà l’inquinamento che l’Alliance to End Plastic Waste dichiara di voler combattere.Greenpeace ha definito l’organizzazione «una distrazione» dai piani espansivi delle Big Oil. Del resto, l’articolo dal titolo Why proper waste management is more important than going plastic-free (Perché una gestione corretta dei rifiuti è più importante di liberarci dalla plastica) pubblicato a novembre sul sito dell’organizzazione fa sorgere più di un dubbio sui reali interessi che animano il progetto. Occhio non vede, ambiente non duole?The Metals Company è un’azienda mineraria canadese nata nel 2021 dalla fusione tra DeepGreen Metals e Sustainable Opportunities Acquisition Corporation. La sua specializzazione? L’estrazione di minerali in acque profonde. Attività che organizzazioni come Greenpeace sostengono debba essere vietata a causa dei possibili danni agli ecosistemi.A marzo 2021 The Metals Company ha pubblicato sulla propria pagina LinkedIn un video pubblicitario. «La natura scompare, l’uomo soffre, la Terra soffre. Ma c’è un altro modo», scandisce la voce del narratore dopo aver illustrato le terribili conseguenze dell’estrazione dei metalli necessari per la transizione energetica. Ma non tutti sono convinti ci sia un altro modo e che l’estrazione di minerali in acque profonde sia meglio di quella a terra. E che sia necessaria, tout court. «Ciao, sono una bottiglia di carta». Con un cuore di plasticaInnisfree è un marchio coreano di cosmetici. Uno dei suoi prodotti è venduto in un flacone coperto da un’etichetta che strilla «Ciao, sono una bottiglia di carta». Peccato che, come hanno scoperto alcuni utenti di un gruppo Facebook la carta nasconda un flacone di plastica. Santos, la major del petrolio che produce energia pulitaAd agosto l’azienda petrolifera australiana Santos è stata citata in giudizio da alcuni azionisti attivi. All’azienda vengono contestate due cose. Da un lato, le dichiarazioni rilasciate nel rapporto annuale 2020, in cui ha affermato che il gas naturale è un «combustibile pulito» che fornisce «energia pulita». Dall’altro, l’affermazione di Santos di avere un piano «chiaro e credibile» per azzerare le proprie emissioni nette entro il 2040. Facendo affidamento sulla cattura e lo stoccaggio della CO2 (CCS). Non basta il verde per essere greenA settembre il Jury de Déontologie Publicitaire francese, strumento dell’organismo di autoregolamentazione della pubblicità, ha condannato Adidas per greenwashing. Il marchio tedesco è stato giudicato colpevole di aver fatto affermazioni false e fuorvianti sulla sostenibilità di alcuni suoi prodotti. Non è chiaro se il claim «50% riciclato» riferito alle proprie scarpe Stan Smith intenda che i materiali siano per il 50% prodotti dal riciclo o che siano riciclabili al 50%. Inoltre, il logo «End plastic waste» è stato ritenuto fuorviante: non è sicuramente acquistando scarpe da ginnastica composte anche da plastica che si combatte l’inquinamento da plastica. Shell, campionessa di greenwashingLa compagnia petrolifera anglo-olandese compare ben due volte nella classifica dei casi più clamorosi di greenwashing stilata da Eco business.Nel primo caso Eco business punta il dito contro un premio per l’innovazione sostenibile ricevuto dall’azienda in Malesia. Motivo: l’aver costruito stazioni di rifornimento con mattoni di plastica riciclata. Marian Ledesma, attivista di Greenpeace nelle Filippine, ha così commentato: «Ogni anno aziende responsabili della crisi ambientale vengono premiate per azioni di facciata che non incidono sulle loro emissioni, non intaccano i loro business model e non affrontano i problemi alla radice. È un greenwashing spudorato, facilitato e giustificato da organizzatori di premi e che non ci permette di agire come dovremmo».A marzo in Olanda a Shell è stato ordinato di sospendere la campagna pubblicitaria del suo “petrolio carbon neutral“. Sono diverse le aziende che dichiarano di avere acquistato sufficienti compensazioni per le emissioni dei loro idrocarburi. E per questo usano la dicitura “zero emissioni” sui propri barili di petrolio. Tuttavia, secondo le autorità olandesi l’azienda non può provare che l’invito ai consumatori a pagare un piccolo extra per contribuire a progetti di compensazione sia efficace. Né che i progetti di compensazione esistano davvero. Il prestito sostenibile per il porto del carboneA giugno la National Australia Bank ha concesso un prestito “sostenibile” di 515 milioni di dollari australiani (328 milioni di euro) al più grande terminal di esportazione di carbone del mondo, il porto di Newcastle nel New South Wales. Il prestito legato alla sostenibilità è stato fornito con incentivi per il raggiungimento di obiettivi ambientali e sociali, come il miglioramento dell’efficienza del terminal. Peccato non si sia tenuto in conto il fatto che il 95% delle esportazioni sia costituito da carbone.© Nick Pitsas, CSIRO/Wikimedia Commons Adelante Pedro, con juicio. Si puedesEquinor è maggiore compagnia petrolifera statale norvegese. A novembre 2020 l’azienda ha annunciato l’obiettivo di azzerare le emissioni nette nel 2050, impegnandosi al allinearsi all’Accordo di Parigi. Nel primo trimestre del 2021, quasi la metà delle entrate dell’azienda proveniva dalla vendita di progetti di sviluppo di parchi eolici. Ma nello stesso periodo dell’energia totale venduta da Equinor, solo lo 0,54% era a zero emissioni. Più verde, ma non verdeL’alluminio è meglio della plastica. Tuttavia, non è la soluzione a tutti i problemi, come i produttori di contenitori in alluminio vorrebbero farci credere. I nuovi marchi di acqua in lattina sostengono che l’alluminio sia “riciclabile all’infinito” e per questo meglio dell’acqua nelle bottiglie di plastica. «La nostra missione è eliminare le bottiglie di plastica monouso migliorando l’acqua», afferma BeWater, marchio vietnamita, sul suo sito web. «BeWater è un’alternativa ecologica, socialmente sostenibile e conveniente all’acqua in bottiglia di plastica».Un’affermazione contestata da Stephan Ulrich, responsabile del programma regionale dell’Organizzazione internazionale del lavoro in Vietnam per il quale si tratta di «pura fantasia», come riporta Eco business. L’alluminio può essere altamente riciclabile, ma non ce n’è abbastanza per soddisfare la domanda. E l’estrazione dei materiali necessari per produrre alluminio è estremamente dispendiosa in termini di energia e acqua. Dal punto di vista delle emissioni e dell’inquinamento, poi, secondo Stephen Ulrich non c’è materiale peggiore dell’alluminio per realizzare contenitori monouso. greenwashing Sostieni Valori! Dalla parte dell'etica, del clima, dei diritti e dell'uguaglianza. Come te. Sostienici! Dona con Satispay
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