Giudizio Universale: il tribunale di Roma decide di non decidere

Pubblicata la sentenza di Giudizio Universale: la prima causa climatica contro lo Stato italiano è inammissibile per difetto di giurisdizione

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La causa Giudizio Universale © A Sud
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Si è chiuso con una pronuncia di inammissibilità il primo grado di giudizio di Giudizio Universale, la causa climatica intentata nel 2021 contro lo Stato italiano da 203 attori, tra cui 24 associazioni e 179 individui. Una decisione che la giudice Assunta Canonaco della Seconda Sezione del Tribunale Civile di Roma avrebbe potuto assumere, come di prassi, nel 2022, ovvero subito dopo la prima udienza.

Giudizio Universale, il tribunale non si esprime


Dopo più di due anni e mezzo di udienze e migliaia di pagine di documentazione prodotta, era lecito aspettarsi che il tribunale entrasse nel merito del giudizio. La scelta stride particolarmente con l’oggetto stesso della causa, che riguarda l’urgenza di un’azione efficace contro i cambiamenti climatici, la cui accelerazione rappresenta una minaccia per il godimento di tutti i diritti umani riconosciuti e tutelati dal nostro ordinamento.


Con la causa si chiedeva al giudice – considerata l’esistenza di un preciso dovere dello Stato nell’agire efficacemente per rispettare gli impegni assunti in ambito climatico e tutelare i diritti fondamentali minacciati dagli stravolgimenti climatici – di riconoscere che l’insufficienza delle politiche climatiche in campo minaccia il godimento dei diritti fondamentali e, di conseguenza, di imporre allo Stato di rivedere al rialzo gli obiettivi di riduzione delle emissioni.


Nella scarna sentenza si afferma, in sostanza, che il tribunale adito non ha competenza per esprimersi. O meglio: che in Italia non esistono tribunali in grado di decidere su questo tipo di domanda, segnando una distanza siderale rispetto ad altri Stati europei in cui cause analoghe, con analoghi costrutti, basate su simili istituti giuridici di diritto civile, si sono concluse con importanti sentenze di accoglimento.

«Non finisce qui: impugneremo la sentenza»


«Si tratta di un’occasione persa per le istanze sociali e ambientali nel nostro Paese», spiega Marica Di Pierri, portavoce di A Sud e co-coordinatrice della campagna Giudizio Universale, «ma la volontà di non esprimersi del tribunale di Roma non comporta che non ci siano i presupposti per una condanna dello Stato. Secondo il tribunale nessun giudice italiano può tutelare i diritti fondamentali minacciati dalla inefficienza delle politiche climatiche dello Stato, come avvenuto in molti Paesi europei. È una scelta di retroguardia. Non possiamo negare di essere delusi dall’esito del processo ed è certo che impugneremo la decisione», continua Di Pierri.

«Teniamo in conto che la strada per ottenere giustizia in tribunale può essere lunga, basti pensare al cammino che hanno dovuto percorrere le cause contro l’amianto.  Siamo forti del fatto di aver contribuito a mettere in moto un movimento globale di persone che si rivolgono alla giustizia per proteggere il loro diritto a un clima stabile. Soprattutto, siamo dalla parte giusta della storia. Siamo dalla parte della scienza, dalla parte dei diritti. E non ci fermeremo: continueremo a batterci per vedere le nostre istanze accolte e il diritto al clima riconosciuto».

In Italia non c’è possibilità di fare giustizia per il clima?

Secondo il team legale che ha seguito la causa, composto da avvocati e giuristi appartenenti alla Rete Legalità per il clima: «La sentenza, per un verso, si pone palesemente in contrasto con la Carta dei Diritti fondamentali dell’Ue e con la Cedu, strumenti di tutela che non contemplano limiti di accesso al giudice nelle questioni climatiche, come già riconosciuto dalla giurisprudenza di numerosi Stati europei. Per altro verso, è anche contraddittoria, perché, da un lato, riconosce la gravità e urgenza letale dell’emergenza climatica, dall’altro, però, statuisce che in Italia non esisterebbe la possibilità di rivolgersi a un giudice per ottenere tutela preventiva contro questa situazione, nonostante siffatta tutela sia stata riconosciuta dalla Corte costituzionale. Pertanto, sussistono tutti i presupposti per impugnarla». 


Tra i ricorrenti dell’azione legale Luca Mercalli, climatologo e divulgatore, presidente della SMI, Società Meteorologica Italiana, ha dichiarato: «Che l’Italia non stia facendo abbastanza per ridurre le emissioni è sotto gli occhi di tutti; che la politica non ascolta la scienza né i cittadini anche. In molti Paesi i tribunali hanno fatto la differenza, peccato che in Italia si sia persa questa importante occasione e tempo prezioso. Però l’emergenza climatica non aspetta e si manifesta con particolare severità proprio sul Mediterraneo: di certo l’impegno della società civile non si ferma qui, dentro e fuori le aule di giustizia».

Climate litigation, la distanza tra l’Italia e gli altri Paesi europei


A commentare la sentenza anche organizzazioni che hanno promosso azioni simili in altri Paesi. Così Marjan Minnesma, direttrice di Urgenda, la fondazione olandese protagonista del celebre caso che ha portato alla storica condanna dell’Olanda: «C’è un divario crescente tra le promesse dei nostri governi e le azioni che intraprendono nell’affrontare l’emergenza climatica. La sentenza Urgenda nei Paesi Bassi ha dimostrato che i tribunali hanno un ruolo cruciale nell’esaminare se i governi stiano facendo abbastanza per ridurre le emissioni di gas serra e quindi salvaguardare i diritti fondamentali dei loro cittadini. Numerosi tribunali in tutto il mondo hanno seguito questo precedente, rafforzando così le politiche climatiche e la tutela dei diritti umani nei loro Paesi. Mentre gli impatti climatici estremi continuano a devastare tutti i Continenti, i tribunali italiani non dovrebbero sottrarsi al loro dovere costituzionale: dovrebbero seguire le orme di quei tribunali che già hanno indicato la strada, assicurando che i governi rispettino i loro obblighi giuridici e mantengano gli impegni presi per affrontare l’emergenza climatica».

Non esprimersi sugli impatti della crisi climatica vuol dire in definitiva disattendere le richieste di giustizia e le istanze di protezione di diritti fondamentali, compromessi dalle inadempienze istituzionali. In questi anni i contenziosi climatici hanno fornito strumenti utili alla cittadinanza e anche alla politica. Le indicazioni che sono arrivate dai tribunali grazie ai contenziosi climatici hanno prodotto spesso leggi migliori in materia. Che il tribunale italiano abbia scelto di sottrarsi, come afferma Urgenda, al suo dovere costituzionale, rifiutando di assicurarsi che lo Stato rispetti i suoi obblighi è una scelta che denunciamo pubblicamente e contro cui daremo battaglia nelle sedi opportune.