Gli “alieni” ci invadono. E costano mezzo miliardo di dollari l’anno

Le specie aliene vegetali e animali sono tra le prime 5 minacce alla biodiversità, creano danni miliardari all'agricoltura e sono un pericolo sanitario

Emanuele Isonio
Emanuele Isonio
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Sono figlie di due genitori “ingombranti” e problematici: hanno la globalizzazione come madre e, come padre, il clima che cambia in peggio. Ancora più su, nell’albero genealogico, c’è però sempre l’uomo e le sue scelte più controverse. Le specie “aliene” vegetali e animali (quelle cioè che si spostano dal loro territorio d’origine per colonizzare nuovi habitat) sono ormai diventate un problema planetario. Che riguarda, in particolare, gli Stati più ricchi. La loro diffusione cresce infatti con la ricchezza.

Rovescio della medaglia di uno sviluppo disuguale. Il motivo è semplice. I cittadini dei Paesi più avanzati sono quelli che più si spostano. E, di conseguenza, riportano in patria – più o meno inconsapevolmente – organismi che spesso si adattano con grande velocità alle nostre latitudini.

Zanzare tigre, coreane & Co.

«L’esempio più noto è probabilmente quello della zanzara tigre che si è adattata perfettamente con l’aumento delle temperature – spiega Anna Paola Rizzoli, veterinaria della Fondazione Edmund Mach – ma non è la sola specie né la più pericolosa. In Trentino, ad esempio si sono moltiplicate le segnalazioni della zanzara coreana. Che, essendo dotata di pelliccia, è in grado di resistere anche con climi più rigidi».

Il lato oscuro dell’aumento degli spostamenti globali porta con sé gravi danni economici. Sotto forma di costi sanitari per l’uomo e di attacchi al settore agricolo. Quanto grandi? «Solo per l’agricoltura, l’invasione di specie aliene produce perdite economiche nella Ue di almeno 12,5 miliardi di euro, 80 miliari per i contadini statunitensi» spiega Piero Genovesi, responsabile del Coordinamento della Fauna Selvatica dell’ISPRA (Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Uno dei massimi esperti del settore: è infatti il ricercatore più citato al mondo nelle pubblicazioni ambientali. «Se allarghiamo il calcolo a livello globale, i costi futuri per il problema superano i 540 miliardi di dollari».

Tra i primi 5 fattori di perdita di biodiversità

La conseguenza principale dell’invasione di specie aliene in nuovi habitat è la perdita di biodiversità: sono un milione le specie a rischio di estinzione, secondo il calcolo contenuto nell’ultimo rapporto dell’IPBES (la piattaforma intergovernativa per la scienza e la politica in materia di biodiversità e servizi ecosistemici).

Alla base di un’estinzione di massa, le specie invasive sono nella top five dei fattori più preoccupanti, insieme alla distruzione degli habitat, al sovrasfruttamento diretto degli organismi (si pensi ad esempio agli stress causati agli stock ittici), la crisi climatica e l’inquinamento.

Tutti fattori con un legame diretto con le scelte umane. A dimostrazione di quanto sia proprio l’uomo a poter invertire la rotta, se lo volesse. Anche sulle invasioni “degli alieni” infatti «l’economia è la più significativo elemento di correlazione e senza interventi è destinato a continuare in tutto il mondo, in tutti gli ambienti e coinvolgendo tutte le tipologie di specie viventi» spiega Genovesi. Ad essere particolarmente interessati dal fenomeno saranno soprattutto uccelli, mammiferi e piante, per le quali le specie aliene potrebbero potenzialmente rappresentare tra il 13 e il 16% del totale.

Obiettivi di Sviluppo sostenibile a rischio

Ma l’impatto sulla biodiversità è solo una delle conseguenze connesse con la diffusione delle specie aliene. Sono ben dieci (su 17 totali) gli obiettivi dello Sviluppo sostenibile Onu messi in discussione dal fenomeno: quelli della riduzione della povertà e della malnutrizione, ovviamente. Ma anche i target della disponibilità di acqua potabile, della crescita economica, della diminuzione delle disuguaglianze e della costruzione di centri urbani sostenibili.

«Ormai i sistemi umani sono talmente interconnessi che una mosca della Polinesia francese può causare una epidemia in Europa» spiega Nikolaos Stilianakis, ricercatore dello Joint Research Centre della Commissione europea. «Le pandemie causate da specie aliene possono portare a crisi sociali e mettere sotto stress i sistemi sanitari. Il loro impatto è particolarmente forte nei grandi centri urbani».

A incentivare la diffusione delle specie aliene, l’agricoltura intensiva è un fattore di minaccia tra i più rilevanti. «Le attività agricole possono essere un elemento di movimento di specie esotiche invasive e l’agroindustria è senz’altro un elemento che danneggia fortemente la biodiversità» spiega Genovasi. «Per quanto riguarda le specie vegetali, ad esempio, il settore della vivaistica è particolarmente rilevante ed è in questi ambiti che diventa più urgente intervenire».

Suez e Via della Seta, due pericoli ulteriori

Ma ripensare i sistemi agricoli non è certo sufficiente. «Il raddoppio del Canale di Suez ha portato pesci velenosi nel Mediterraneo» spiega Genovesi. Proprio una recente indagine dell’ISPRA, presentata alla Camera dei deputati, ha calcolato che nei nostri mari sono oltre 250 le specie invasive. E due terzi di esse sono ormai stanziali nelle nostre acque.

Ma la minaccia non arriva solo via mare. «La nuova Via della Seta  progettata da Pechino – osserva Genovesi – può rappresentare un ulteriore fattore di preoccupazione. Le misure di contrasto sono tanto più urgenti quanto aumentano le interrelazioni tra gli Stati».

La soluzione migliore? Monitoraggio e soldi alla ricerca

Ma è davvero possibile pensare di contrastare un fenomeno che appare strettamente connesso con la globalizzazione dei sistemi economici ed umani? Gli esperti sono convinti di sì. Partendo però da due capisaldi: monitoraggio del fenomeno e investimenti in ricerca.

«Questo ambito è un esempio classico del principio secondo cui la miglior difesa è l’attacco – spiega Andrea Segré, presidente della Fondazione Mach – e come si attacca? Con la prevenzione. Ma la prevenzione ha bisogno di risorse e tempo. L’opinione pubblica che ci finanzia attraverso le proprie tasse deve capire che la ricerca è necessaria e ha tempi abbastanza lunghi».

C’è però un aspetto da non sottovalutare, che è ben chiaro a chi osserva il fenomeno costantemente: il costo per arginare eventuali epidemie sarebbe molto più alto.

«Calcolando l’impatto economico di queste specie aliene, monitorarle ed eradicarle appena arrivano, per ridurne l’espansione, è senza dubbio meno costoso» osserva Rizzoli.

In questo senso, uno strumento importante messo in campo è il regolamento approvato dall’Unione europea sulle specie aliene. «L’Italia ha appena mandato a Bruxelles il primo report sullo stato di avanzamento degli interventi fatti» spiega Genovesi. Le notizie sono abbastanza positive. «Siamo nella direzione giusta ma c’è ancora moltissimo da fare. Soprattutto le regioni devono attivare più programmi di controllo e gestione delle specie invasive inserite nella lista europea su cui è obbligatorio intervenire. Le specie più pericolose sono effettivamente arginabili anche con risorse non enormi. Ma serve il contributo di tutti i settori produttivi (coltivatori di piante, cacciatori, acquacoltori, veterinari). Lavorando insieme, è possibile arginare il fenomeno».