FAO: senza biodiversità, il sistema alimentare è a rischio collasso
26mila specie a rischio tra piante e animali. La loro scomparsa metterebbe in crisi l'intero sistema alimentare, ormai basato su un pugno di prodotti
Biodiversità sempre più a rischio. Ma il sistema globale del cibo non può permetterselo. Perché il combinato disposto tra l’avanzamento dei cambiamenti climatici e il declino delle varietà delle specie in natura e in agricoltura/allevamento, animali e vegetali, diventa una minaccia alla sicurezza alimentare ed economica di milioni di individui.
L’allarme è contenuto nel primo rapporto FAO (l’organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura) sullo stato della biodiversità nel mondo (The state of the world’s biodiversity for food and agriculture). Un documento voluminoso e approfondito che mette in guardia: proseguire su questa strada ci porta dritti dritti verso il collasso del sistema di produzione alimentare.
Fonti dello studio sono le relazioni di 91 Paesi del mondo e il contributo di 55 organizzazioni internazionali, che hanno posto al centro la cosiddetta BFA, cioè la biodiversità per l’alimentazione e l’agricoltura. Piante coltivate e specie selvatiche, animali domestici, bestiame, foreste e acquacoltura: fonti di cibo impiegate nel nostro ciclo alimentare. Ma anche la “biodiversità associata“, ovvero una vasta gamma di organismi (dalle api ai pipistrelli, dai batteri agli insetti ai parassiti) che vivono dentro e intorno ai sistemi di produzione agricola e alimentare. Organismi altrettanto importanti e insostituibili ma la cui presenza è in netto calo.
La preoccupazione riguarda tanto le specie allevate o coltivate quanto quelle selvatiche, fonti di cibo essenziali per moltissime popolazioni. Il 24% delle quasi 4mila specie selvatiche – piante, pesci e mammiferi – sta diminuendo. Il fenomeno coinvolge soprattutto i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, seguiti da quelli dell’Asia-Pacifico e dell’Africa.
Biodiversità e cibo: un’agricoltura appesa a sole 200 varietà coltivate
Il documento FAO sottolinea come a dover essere tutelato è l’intero sistema complesso e interconnesso nel quale viviamo, tra specie animali e vegetali, specie selvatiche e allevate o seminate dall’uomo. E la minaccia è reale. L’attuale nostra agricoltura infatti si fonda ormai su una estrema povertà.
Pur essendo oltre 6mila i tipi di pianta coltivati a fine alimentare, nelle rilevazioni compiute dal 2014 le specie che danno un contributo significativo di produzione a livello globale sarebbero meno di 200.
Appena nove specie rappresentano oltre il 66% del peso di tutta la produzione agricola (canna da zucchero, mais, riso, grano, patate, semi di soia, olio di palma di frutta, barbabietole da zucchero e manioca).
Una conseguenza della tendenza all’uniformazione dei mercati e della domanda, alla diffusione dell’agricoltura intensiva e di tipo industriale, naturalmente. Ma anche un estremo rischio di dipendenza per le economie locali e per quella globale. Con ridotta capacità di adattarsi ai processi di riscaldamento globale che, ad esempio, stanno determinando un declino di estensione preoccupante delle zone umide.
Zone umide e foreste, una perdita uomo e animali
Il tasso di perdita delle zone umide naturali si stima infatti che sia aumentato tra lo 0,68% e lo 0,69% l’anno tra il 1970 e il 1980, ma tra lo 0,85% e l’1,60% l’anno a partire dal 2000 (Ramsar Convention, 2018). Il guaio è che, per esempio, le zone umide sono alla base della fornitura di riso. Una delle più importanti colture alimentari di base del mondo e fonte di cibo particolarmente significativa in molti Paesi a reddito basso e medio-basso.
D’altra parte il discorso fatto sulle zone umide potrebbe essere svolto similarmente per le foreste (spesso bruciate o abbattute per ricavare legname o fare spazio a pascoli e piantagioni) e le varietà di alberi. Delle circa 60mila specie arboree conosciute, circa 2400 sono utilizzate e gestite per i prodotti o i servizi che forniscono. Ma sono solo poco più di 700 quelle incluse in programmi di protezione e allevamento.
Avifauna minacciata dalla filiera intensiva del cibo, in mare e sulla terra
L’agricoltura intensiva ha portato l’uomo a decimare le foreste originarie, con il loro patrimonio inestimabile di biodiversità. Tra le specie animali che più hanno sofferto di ciò ci sono senz’altro gli uccelli. Ben 1469 specie di volatili (il 13% del totale) sul Pianeta sarebbero minacciate di estinzione, secondo BirdLife International. Tendenze simili hanno interessato anche gli ambienti marini, dove l’aumento della pressione delle attività di pesca riduce la disponibilità di cibo per gli uccelli, in particolare specie longeve come gli albatros.
Negli ultimi decenni, sia l’aumento delle superfici coltivate (particolarmente nelle regioni tropicali) che l’intensificazione dell’agricoltura hanno favorito la perdita degli habitat naturali e l’ingresso di ulteriori minacce, come l’introduzione di specie aliene (specialmente in Europa e Asia centrale). Fattori di rischio per l’avifauna, la cui scomparsa non è soltanto un danno in sé, per la biodiversità. Essa infatti riduce la presenza di organismi che forniscono quei servizi ecosistemici utili ai sistemi di produzione.
Oltre 26mila specie in estinzione, tra animali e vegetali
Parlando di specie a rischio, attualmente sono più di 96.500 quelle incluse nella Lista Rossa dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN).
Oltre 26.500 sarebbero in via di estinzione: il 40% sono di anfibi, il 34% di conifere, il 33% di coralli, il 25% di mammiferi e il 14% di uccelli.
Milioni di esemplari minacciati da fattori diversissimi per origine e impatto: cambiamenti climatici, disastri naturali, urbanizzazione e distruzione degli habitat, inquinamento, uso di fitofarmaci, politiche agricole e commerciali.
Basti pensare che l’allevamento globale si basa su circa 40 specie di animali, con solo una manciata di esse che fornisce la maggior parte della produzione mondiale di carne, latte e uova. Delle 7745 razze di bestiame locali (segnalate a livello di ciascun Paese), il 26% è a rischio d‘estinzione.
Per quanto riguarda le specie ittiche, d’acqua dolce o salata, globalmente sono riconosciute più di 31mila specie di pesci a pinne, 52mila di molluschi acquatici, 64mila di crostacei e 14mila di piante acquatiche. Ma nel 2016 la pesca ha riguardato solo 1800 specie, e circa 600 sono state fatte oggetto di acquacoltura. Nel 2015, il 33% degli stock ittici erano considerati sovrasfruttati, il 60% sottoposti al massimo sostenibile di pesca, e solo il 7% sottoutilizzati.
Slow Food: urgenti politiche europee e globali di tutela
Lo scenario delineato dal rapporto FAO, in conclusione, va preso molto sul serio in nome della sopravvivenza generale. E non è un caso che la pubblicazione abbia prodotto qualche convergenza non scontata, e un focus sull’Italia. A partire da due attori fondamentali nella difesa della biodiversità del nostro Paese.
Innanzitutto Slow Food, che rivendica anni di denunce inascoltate su certi pericoli e la necessità di fare presto, ritenendo che non resti che una decina d’anni per invertire lo stato attuale delle cose. E che perciò servono con urgenza politiche agricole comunitarie a protezione della biodiversità alimentare e agricola.
«oggi la situazione sta cambiando, ci pare che la gente sia più sensibile, ma forse non ci si rende conto della gravità del problema» commenta Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità. che «Un conto è una perdita, un conto è un collasso catastrofico. Dobbiamo sperare di essere ancora in tempo per evitare questa estinzione di massa, ma abbiamo bisogno dell’impegno di tutti». E di progetti come l’Arca del gusto.
Il pianeta vive, se vive la biodiversità – Slow FoodItalia, 6mila varietà di frutta scomparse in un secolo
L’allarme di Slow Food trova conforto nei dati diffusi da Coldiretti, secondo i quali «in Italia nel secolo scorso si contavano 8mila varietà di frutta, mentre oggi si arriva a poco meno di 2mila. E di queste ben 1500 sono considerate a rischio di scomparsa».
Ma la perdita di biodiversità riguarda l’intero sistema agricolo, dagli ortaggi ai cereali, dagli ulivi fino ai vigneti. Un pericolo anche per la fattoria in Italia, dove sono scomparsi 1,7 milioni tra mucche, maiali, pecore e capre negli ultimi dieci anni. «Il rischio impatta sulla straordinaria biodiversità delle stalle italiane dove sono minacciate di estinzione ben 130 razze allevate tra le quali ben 38 di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini. Un pericolo per i produttori e i consumatori per la perdita di un patrimonio alimentare, culturale e ambientale del Made in Italy, ma anche un attacco alla sovranità alimentare del Paese».