Anche le grandi banche abbracciano la finanza sostenibile. Ma con calma

Quanto sono concreti gli impegni di sostenibilità dei più grandi istituti finanziari? Ne hanno discusso gli esperti riuniti al MIT Sustainability Summit

Gli investimenti sostenibili crescono oltre le più rosee aspettative. Ma per una vera svolta occorrono regole condivise e tempi più rapidi © MBPROJEKT_Maciej_Bledowski/iStockPhoto

«La crisi climatica è tra le sfide più decisive che la nostra società e la nostra economia globale devono affrontare oggi e c’è urgente bisogno di un’azione collettiva». Parola di Jane Fraser che, al suo primo giorno come Ceo di Citigroup, ha annunciato l’impegno ad azzerare le emissioni nette di gas serra della banca entro il 2050. «Crediamo che le istituzioni finanziarie globali come Citi abbiano l’opportunità – e la responsabilità – di svolgere un ruolo guida nella transizione verso un’economia globale a zero emissioni e di rispettare la promessa dell’Accordo di Parigi».

Questa è soltanto una delle innumerevoli dimostrazioni di quanto la sostenibilità sia un trend a cui nemmeno i pesi massimi della finanza si possono sottrarre. Ma fino a che punto queste prese di posizione ideali si traducono in scelte di investimento? Ne hanno discusso gli esperti riuniti al MIT Sustainability Summit

Investimenti sostenibili, i numeri

Cominciamo con un po’ di numeri. Nel 2020 le emissioni di debito sostenibile hanno toccato i 732 miliardi di dollari, con un +29% rispetto al 2019. Un nuovo record che appariva tutt’altro che scontato nell’anno del coronavirus, e che supera abbondantemente le più rosee previsioni della vigilia.

Crescono i green bond – 305 miliardi di dollari in volume, in crescita del 13% sul 2019 – ma ancora di più i social bond, con un vertiginoso +720% anno su anno che li porta a quota 147,7 miliardi. I dati sono di BloombergNEF. E tutto fa pensare che il 2021 sarà l’anno giusto per sfondare il simbolico tetto dei mille miliardi; a dirlo è l’Institute of International Finance.

Solo nel terzo trimestre del 2020, aggiunge un’analisi di Moody’s Investor Services, i flussi finanziari indirizzati verso investimenti ESG (cioè attenti ad ambiente, società e governance) hanno totalizzato un valore di 80,5 miliardi di dollari a livello globale. Gli asset gestiti dai fondi sostenibili valgono, in tutto, 1.230 miliardi. Cifre che nemmeno i più strenui promotori della finanza sostenibile si sarebbero mai aspettati, anche solo cinque anni fa.

I punti deboli della corsa agli investimenti sostenibili

Il diavolo però si nasconde nei dettagli. In questo caso, poi, parlare di “dettagli” è riduttivo. «Il sistema capitalista è basato sul risultato di breve termine. I manager sono obbligati legalmente a cercare di massimizzare i ritorni sugli investimenti. E finché non interverranno i governi con regole stringenti, non potrà cambiare nulla», tuona Tariq Fancy, per due anni a capo della divisione investimenti sostenibili di BlackRock, intervistato da Valori.it. Quello di distinguere gli investimenti autenticamente capaci di cambiare in meglio il nostro Pianeta dalle pure operazioni di greenwashing, in effetti, è un tema. Che va affrontato a suon di regole, standard condivisi e controlli. 

Vanno in questa direzione le linee guida elaborate dall’International Finance Corporation (IFC) (istituto che fa capo alla Banca mondiale) e ormai adottate da 116 diversi istituti finanziari in 37 Paesi. Come gli Equator Principles, utili per valutare il rischio sociale e ambientale legato ai progetti infrastrutturali e industriali da finanziare. Oppure il sistema Anticipated Impact Measurement and Monitoring (AIMM) per stimare in prospettiva l’impatto che un progetto avrà sui suoi beneficiari designati.

Per cambiare il sistema ci vuole tempo

Il secondo grande punto debole sta nelle tempistiche. Oggi siamo nel pieno di una corsa per introdurre la sostenibilità come principio guida anche nel settore finanziario. Possiamo discutere su quanto siano efficaci e centrati i singoli strumenti; possiamo chiederci quanto sia un afflato spontaneo e quanto un puro e semplice ragionamento di convenienza; ma i segnali sono chiari e vanno tutti nella stessa direzione.

Per rendersene conto basta dare uno sguardo alle quindici più grandi banche statunitensi. La prima in classifica, con 3.210 miliardi di dollari di asset in gestione, è JP Morgan Chase. Che promette di «allineare i settori-chiave del nostro portafoglio agli obiettivi dell’Accordo di Parigi» e di agevolare investimenti per il clima e lo sviluppo sostenibile per un controvalore di 2.500 miliardi di dollari nell’arco dei prossimi dieci anni. Sul secondo gradino del podio troviamo Bank of America, intenzionata a mobilitare mille miliardi di euro entro il 2030 per la transizione a un’economia sostenibile e low carbon. Cambiano le cifre, cambiano le formule, ma il leitmotiv è sempre lo stesso. Goldman Sachs vuole investire 750 miliardi in dieci anni, Citigroup punta ai mille miliardi. 

Tutto vero. Ma per un autentico cambiamento di sistema ci vorrà ancora parecchio. Soprattutto quando il sistema è formato da simili mastodonti. «Nella lotta ai cambiamenti climatici, la più grande sfida è l’inerzia istituzionale che può metterci un quarto di secolo per cambiare», sottolinea Michael Eckhart, in passato a capo della finanza ambientale per Citigroup e ora professore associato di affari pubblici e istituzionali presso la Columbia University. «Non puoi semplicemente ordinare a qualcuno di considerare gli aspetti ambientali, sociali e di governance e aspettarti che lo faccia ogni volta alla perfezione». 

Bene i green bond. E tutti gli altri? 

Già il solo fatto di monitorare la crescita degli investimenti ESG, a pensarci bene, significa dare per scontato che siano una breccia in un sistema che funziona in tutt’altra maniera. Certo, strumenti come i green bond fino al 2017 ancora non esistevano e oggi rappresentano – secondo Eckert – il 2% delle emissioni obbligazionarie totali. Resta una scalata straordinaria, pur con tutti i “se” e i “ma” del caso; che dire, però, del restante 98%? Che dire delle banche che con la mano destra promettono migliaia di miliardi per un futuro sostenibile mentre, con la mano sinistra, finanziano plastica e combustibili fossili?

Il vero salto di paradigma, secondo gli esperti del MIT, avverrà quando gli investimenti ESG saranno meglio regolamentati e monitorati, certo. Ma anche e soprattutto quando ci sarà più trasparenza sull’impatto – positivo o negativo che sia – di tutti gli altri. «Stiamo ancora finanziando attività che contribuiscono ai cambiamenti climatici, tra industria, trasporti, agricoltura e così via», conclude Eckert. «Se non movimenteremo capitali per obiettivi sostenibili, non avremo una società sostenibile».