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Grecia, cronistoria di un dramma economico e sociale

Dall'ingresso nell'euro ai piani di salvataggio. Dai governi socialisti alla sinistra radicale di Alexis Tsipras. Le tappe della profonda crisi della Grecia

La Grecia ha subito come nessun altro Paese europeo le conseguenze della crisi finanziaria ed economica degli ultimi dieci anni © CC0 Public Domain via Pxhere CC0 Public Domain

Lunedì 20 agosto ha rappresentato una data storica per la Grecia. Si è trattato infatti del termine del terzo “piano di salvataggio” delle nazione europea, quella che ha senz’altro patito di più le conseguenze della crisi economica. E quella alla quale le istituzioni europee, assieme a Banca Mondiale e Fondo monetario internazionale, hanno imposto in modo più rigido la ricetta economica dell’austerità. A dieci anni di distanza dal terremoto finanziario internazionale, la strategia ha funzionato? Per comprendere appieno il decennio di crisi e la situazione attuale è utile fare alcuni passi indietro.

2002: la Grecia adotta l’euro

Prima tappa, il 2002, quando la Grecia abbandonò la dracma a favore dell’euro (dodicesimo Paese del Vecchio Continente a farlo). All’epoca, il debito pubblico era pari al 100% del Pil, mentre il deficit era attorno al 4%. Seguiranno anni di crescita, fino all’esplosione della crisi finanziaria globale, nel 2008.

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La crisi in Grecia è stata contrassegnata da un lento precipitare della situazione © CC0 Public Domain via Pxhere

Un anno dopo, il 6 ottobre del 2009, all’indomani delle elezioni legislative vinte da Georges Papandreou, il leader socialista rivelava il reale stato delle finanze pubbliche di Atene. Mentre il governo precedente, sostenuto dalla destra, aveva ipotizzato un rapporto tra deficit e Pil al 6%, il dato era schizzato al 12,7%. Ciò a causa del “panico” generatosi sui mercati, e condito da una buona dose di speculazioni, per il rischio di un collasso del Paese europeo.

2010: la Grecia schiacciata dal debito pubblico chiede aiuto alla troika

La situazione si degraderà quindi ulteriormente. Nella primavera successiva, il rapporto tra debito e Pil (soprattutto a causa del crollo di quest’ultimo) si avvicina al 150%. Atene è schiacciata da un’esposizione pari a 350 miliardi di euro. Così, il 23 aprile 2010, il governo chiede per la prima volta un aiuto alla cosiddetta “troika”: Commissione europea, Fmi e Banca Mondiale. Pochi giorni dopo, viene accordato un prestito di 110 miliardi di euro, su tre anni. In cambio, però, la Grecia deve accettare un piano di tagli draconiani. I salari dei dipendenti pubblici vengono congelati, le pensioni tagliate. Le tasse sul reddito crescono, l’Iva è portata al 23%. È l’inizio dell’austerità.

Nonostante tale sforzo, però, la situazione precipita ancora. Nell’ottobre del 2011, viene concesso un secondo prestito da 130 miliardi di euro, assieme alla cancellazione parziale dei debiti contratti dalle banche private. In cambio, vengono chieste nuove misure rigoriste. Papandreou chiede un referendum per accettare il nuovo piano, ma l’Europa si oppone. Così, a novembre, il leader socialista si dimette.

2012: l’austerità al suo parossismo

Nel febbraio 2012, la Grecia è nel pieno della crisi. Il parlamento decide allora di accettare una nuova ondata di austerità (nonostante le manifestazioni della popolazione). Le pensioni vengono tagliate del 12%; il salario minimo scende a 590 euro al mese. Pochi mesi dopo, Antonis Samaras diventa primo ministro di un governo di larghe intese. Che approva immediatamente un ulteriore piano di tagli. Nel Paese disoccupazione e povertà dilagano. Cominciano a mancare anche servizi essenziali come quelli sanitari. Nonostante gli sforzi terribili chiesti alla popolazione, inoltre, il debito è continuato a salire, fino al 170% del Pil.

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Una manifestazione in Grecia contro l’austerità © Ggia/Wikimedia Commons

Si arriva così al gennaio del 2015: la sinistra radicale di Syriza, guidata dall’attuale primo ministro Alexis Tsipras, arriva al governo. Quando quest’ultimo entra in carica, sette anni di austerità hanno contribuito a far crollare il Pil del 25%. Un quarto della popolazione è senza lavoro. Il nuovo premier decide di introdurre misure sociali per lottare contro quella che definisce una “crisi umanitaria”. E pretende di rinegoziare il debito con i creditori.

Tsipras e il referendum sul rigore: il popolo risponde «oki»

Sei mesi dopo, dopo lunghi e duri negoziati, non è stato ancora trovato un accordo. Tsipras annuncia perciò un referendum: la troika ha accettato di concedere 12 miliardi di euro, ma vuole che si stringa ancora la cinghia. Vuole, usando le parole del leader greco «umiliare un popolo intero». Che dirà «oki» («no») al referendum.

Il terzo e ultimo piano di aiuti arriverà in agosto: 86 miliardi di euro. Complessivamente, la Grecia ha ricevuto 260 miliardi di euro. I risultati delle politiche imposte ad Atene sono stati riassunti da un’indagine demoscopica pubblicata nello scorso mese di febbraio:

  • Il 43% delle famiglie dichiara di non avere abbastanza denaro per pagare il riscaldamento, in inverno.
  • Il 52% non potrebbe fronteggiare una spesa imprevista di 500 euro.
  • Il 49% non può permettersi una vacanza.
  • Il 60% è disoccupato da più di due anni.
  • Solo il 10% di chi non ha un lavoro riceve un sussidio. Di 360 euro al mese.

L’impossibile avanzo primario imposto dall’Ue

Un’inchiesta condotta ad Atene e ripresa a maggio da Le Monde Diplomatique spiega poi che il consumo di sostanze psicotrope si è moltiplicato per 35 dal 2010 al 2014. Quello di benzodiazepine di 19 volte e quello di antidepressivi di 11.

Nel frattempo, a livello macroeconomico, alla Grecia si chiede di ottenere ogni anno un avanzo primario. Nel suo rapporto di conformità, la Commissione europea ha però immaginato una crescita del Pil che dovrebbe arrivare al 2,6% nel 2020. Obiettivo ritenuto irraggiungibile da molti economisti. Soprattutto se si considera che, al contempo, l’avanzo primario dovrebbe arrivare al 3,5% nel 2018 e al 4,3% nel 2022. Lo stesso Fmi, nel 2016, spiegò nella sua Analisi sulla sostenibilità del debito che «un avanzo primario del 3,5% è difficile da raggiungere, in particolare in periodi di recessione e con un tasso di disoccupazione strutturale elevato».