Il tedesco controcorrente: «Occhi aperti, i mostri della finanza sono tornati»

Giegold (Verdi europei): i regolamenti Ue e la vigilanza comune stanno funzionando ma le lobby bancarie hanno ripreso forza. Il percorso antispeculazione non è finito

«Non vi fidate di chi dice che la crisi è finita. I problemi macroeconomici che l’hanno prodotta non sono stati risolti. Inoltre, gli investimenti nell’economia reale sono al minimo e gli stessi rendimenti degli investimenti sono molto bassi». A lanciare l’allerta è Sven Giegold, eurodeputato tedesco, una delle voci più ascoltate in Europarlamento (dove è portavoce dei Verdi sui temi finanziari) tra chi cerca di dare dei fenomeni economici globali una lettura diversa da quella predominante. «Il sistema è ancora instabile. La cosa positiva è però che le banche hanno più capitale proprio e possono far fronte con proprie risorse ad eventuali nuove crisi».

Quindi qualcosa è cambiato, alcune riforme hanno funzionato?

Sì, certo. Le riforme in Europa e negli Usa hanno seguito più o meno lo stesso percorso, portando a risultati simili.

Il problema delle riforme è che ora, dopo dieci anni dallo scoppio della crisi, i mostri sono tornati e per mostri intendo le lobby bancarie, che tentano in tutti i modi di far abbassare i requisiti di capitalizzazione. Purtroppo molti colleghi del parlamento europeo hanno la memoria corta e danno loro retta.

Ci sono altri successi di cui vale la pena parlare?

Sì, per esempio il clearing (compensazione) dei contratti finanziari derivati. Prima della crisi i derivati OTC (over the counter), acquistati e venduti al di fuori dei mercati regolamentati, non avevano l’obbligo di regolare le transazioni tramite una “cassa di compensazione” (clearing house). Con il regolamento Emir del 2012, questo obbligo è stato introdotto e oggi un numero crescente di scambi di derivati OTC è compensato da una clearing house: un organo terzo tra il venditore e l’acquirente che, dietro compenso, si assume il rischio che una delle parti coinvolte nei contratti vada in insolvenza.

L’EMIR quindi ha funzionato?

Sicuramente. E sta funzionando anche il sistema europeo di vigilanza bancaria, che prima non c’era. Prima avevamo singoli controllori statali molto deboli. Ora abbiamo un controllore unico, a livello europeo, che ha deciso che esistono banche “sistemiche”, la cui eventuale instabilità è di importanza tale da pesare sull’economia mondiale. È chiaro, però, che la vigilanza bancaria comune a livello europeo sarà completa solo quando avremo uno schema europeo di garanzia dei depositi.

Che però stenta a decollare…

Sì e i bastoni tra le ruote li sta mettendo soprattutto l’Italia, che dovrebbe decidersi ad accettare le regole del bail-in in vigore dal 2016 (risoluzione di crisi bancarie che prevede il coinvolgimento diretto di azionisti, obbligazionisti e correntisti, ndr) invece che cercare ogni volta delle scappatoie.

Ci sono altre riforme all’orizzonte per prevenire nuove crisi?

Ci sono ma il corso delle riforme è rallentato. Dopo dieci anni si sente meno l’urgenza di intervenire. C’è il cosiddetto “risk reduction package” (pacchetto per la riduzione dei rischi) nel settore bancario, che però ormai è stato svuotato di significato e sembra essere più un’etichetta che una vera riforma. Poi si sta lavorando alla “capital markets union” (unione dei mercati dei capitali) contro la frammentazione dei mercati, ma anche in questo caso è difficile che si arrivi presto a qualche risultato.

E poi ci sono le proposte di Basilea IV sulla revisione dei modelli interni di calcolo del rischio per le banche, su cui si stanno scontrando Europa e Stati Uniti, c’è l’idea di aumentare il capitale proprio per assorbire eventuali perdite dall’esposizione di titoli di Stato (c.d. sovereign exposure).

Insomma, la carne al fuoco è molta ma per ogni anno che passa il percorso sarà sempre più in salita.