Fare greenwashing sta diventando sempre più rischioso per aziende e organizzazioni. Nel 2022, infatti, molti brand hanno dovuto affrontare azioni legali per aver esagerato o falsificato le proprie credenziali di sostenibilità. Le leggi si fanno più stringenti e i decisori politici più attenti. Questo potrebbe spiegare perché molte aziende hanno fatto un passo indietro e scelto di centrare meno la comunicazione sui propri progressi in materia di sostenibilità.
Eppure, analizzando i messaggi e la comunicazione delle aziende Eco business, un media indipendente con sede a Singapore, ha trovato ben 18 casi clamorosi di greenwashing. Erano 11 nel 2021. Vediamoli.
Foto: Clarini/iStockPhoto
HSBC smemorata
Nel Regno Unito HSBC, uno dei più grandi gruppi bancari del mondo, è stata costretta dalle autorità di controllo a ritirare una campagna pubblicitaria in cui mettevano in evidenza gli impegni per il net-zero e la piantumazione di alberi dimenticando di raccontare, però, gli ingenti investimenti in progetti legati ai combustibili fossili. Il cui ammontare, secondo il rapporto Banking on Climate Chaos, ne fa la tredicesima banca fossile al mondo. Nonostante l’istituto inglese si sia impegnato a ridurre la sua esposizione al finanziamento del carbone termico di almeno il 25% entro il 2025.
L’Advertising Standards Authority ha stabilito che la campagna pubblicitaria di HSBC «ha omesso informazioni rilevanti e sono state quindi fuorvianti». Chissà se questo sporterà a un maggiore controllo dei messaggi pubblicitari delle banche. Che parlano di sostenibilità più di ogni altro settore.
La finanza sostenibile che finanzia la deforestazione
La promessa di piantare alberi della gomma per rinverdire 90mila ettari di terreno distrutti dal disboscamento illegale in Indonesia era stato salutato come il simbolo dell’impegno per la sostenibilità per Michelin, l’azienda francese di pneumatici.
Ma un’indagine dell’organizzazione no-profit Mighty Earth insieme a Voxeurop ha scoperto che il progetto, finanziato con 95 milioni di dollari di green bond, era in realtà una piantagione di gomma naturale a monocoltura che sostituiva migliaia di ettari di habitat di oranghi, tigri ed elefanti rasi al suolo da Royal Lestari Utama, partner locale di Michelin.
Sportwashing dritto e rovescio
Lo sport è sempre più spesso strumento usato dalle aziende per ripulirsi l’immagine. Per non parlare di quegli eventi che si dichiarano sostenibili a parole, ma nei fatti si tratta solo di gigantesche operazioni di marketing. Caso eclatante i Mondiali in Qatar. Ma gli Australian Open di tennis non sono da meno.
È servita una campagna di pressione da parte di gruppi di attivisti ambientalisti per costringere la federazione australiana di tennis a rompere il contratto di sponsorizzazione con il gigante del petrolio Santos. «C’è stato un grande sforzo per rendere inaccettabile la sponsorizzazione di eventi da parte di aziende produttrici di sigarette Ora è il momento di fare lo stesso con le aziende produttrici di combustibili fossili», ha dichiarato Lucy Manne, amministratrice delegata di 350 Australia, l’organizzazione no-profit che ha condotto la campagna contro Santos.
Il tennis è uno sport particolarmente colpito dai cambiamenti climatici. Agli Australian Open del 2014, diverse partite sono state sospese e centinaia di spettatori sono stati curati per malori dovuti al calore quando le temperature hanno superato i 40 gradi.
Foto: 350.org
Big Oil fa più dichiarazioni che investimenti in sostenibilità
Le aziende del comparto dei combustibili fossili sono considerate specialiste di greenwashing. Uno studio di InfluenceMap svela che nel 2021 sei comunicazioni pubbliche su 10 di ExxonMobil, Shell, Chevron, BP e TotalEnergies evidenziano gli impegni delle aziende per contrastare i cambiamenti climatici. Ma solo il 17% dei loro investimenti nello stesso periodo è stato destinato alle energie rinnovabili.
Dallo studio emerge anche che queste aziende hanno smesso di nominare i combustibili fossili nelle loro comunicazioni. «L’unica volta in cui BP menziona il petrolio nella sezione “Chi siamo” del suo sito web è quando parla della sua storia», ha dichiarato Faye Holder, responsabile della ricerca per InfluenceMap.
Foto: Eco business
Il verde va di moda
A luglio è stato un tribunale federale di New York a citare in giudizio il colosso della fast fashion H&M per aver tentato di ingannare i consumatori con una linea di abbigliamento che presentava “schede di valutazione ambientale” nelle etichette per informare dell’effettiva sostenibilità dei capi. Ma secondo un’autorità di regolamentazione olandese le informazioni contenute sulle etichette non corrispondevano alla realtà.
The Ocean Cleanup è una fondazione il cui scopo è sviluppare tecnologie per pulire gli oceani dalla plastica. È stata fondata nel 2013 dall’olandese Boyan Slat, ex studente di ingegneria aerospaziale. Accusato, a febbraio scorso, accusato di aver messo in scena in un video spazzatura di plastica trascinata fuori dall’oceano. I rifiuti recuperati sembravano sospettosamente puliti per essere materiale che galleggiava in mare da anni. Nessuna traccia di biofouling, le incrostazioni che abitualmente ricoprono i materiali che restano in mare a lungo. Slat ha dichiarato che la plastica era quasi immacolata perché quella parte dell’Oceano Pacifico è povera di nutrienti e di luce ultravioletta, il che avrebbe impedito agli organismi di crescere su di essa.
La lotta per il clima può aspettare
DBS è la più grande banca del sud-est asiatico. Probabilmente anche la più impegnata a perseguire obiettivi climatici nella regione. Eppure, dopo un post su LinkedIn del suo amministratore delegato Piyush Gupta ha ricevuto molte critiche, sia da parte di investitori a impatto che da esperti di clima. Gupta giustificava la decisione di non smettere di investire nel carbone in Paesi in via di sviluppo, come per esempio l’Indonesia. Ciò perché in quei luoghi molte persone non hanno accesso all’elettricità. La banca è stata quindi accusa di usare la povertà energetica per giustificare i ritardi nell’azione per il clima. «Più come un eco-guerriero, meno come una banca», lo slogan dell’istituto di credito con sede a Singapore. Non proprio apprezzato dagli attivisti per il clima.
Promesse di plastica
Nei Paesi in via di sviluppo è ancora comune l’utilizzo di bustine di plastica monouso. Un’inchiesta condotta da Reuters ha rivelato che Unilever avrebbe esercitato pressioni contro i potenziali divieti di questi imballaggi inquinanti. Nonostante le promesse pubbliche di eliminare gradualmente le confezioni dannose per l’ambiente.
Le bustine di plastica sono state introdotte nei mercati dei Paesi in via di sviluppo per permettere alle persone di acquistare piccole quantità di prodotto. Ma questi imballaggi hanno devastato i corsi d’acqua e gli ecosistemi marini. Unilever ha creato un impianto di riciclaggio per le bustine in Indonesia, ma l’impianto ha incontrato difficoltà tecniche e un’indagine condotta da un’organizzazione no-profit ha rivelato che l’impianto è stato abbandonato. Unilever ha negato la chiusura dell’impianto.
Foto: Robin Hicks/Eco business
Il “deforestation tour” dei Coldplay
L’impatto degli spettacoli dal vivo, e in particolare dei concerti, è ormai cosa nota. E sono diversi gli artisti che si interrogano su come ridurlo, quali azioni intraprendere, come agire. Il tour mondiale di Music of the Spheres dei Coldplay è stato pensato per includere “iniziative di sostenibilità”: una pista da ballo cinetica che sfrutta l’energia della folla, una app che fornisce consigli di viaggio ai frequentatori dei concerti. L’obiettivo della band inglese è ridurre le emissioni del 50% rispetto ai loro ultimi spettacoli.
Ma i fan non hanno gradito la partnership con l’azienda petrolifera finlandese Neste che dichiara di essere la principale produttrice mondiale di biocarburanti. Obiettivo: ridurre l’impatto dei voli della band. Ma secondo uno studio di Friends of the Earth, i fornitori di olio di palma dell’azienda hanno abbattuto 10mila ettari di foresta tra il 2019 e il 2020.
«Neste sta cinicamente usando i Coldplay per ripulire la propria reputazione. È un’azienda legata al tipo di deforestazione che farebbe inorridire Chris Martin e i suoi fan. Non è troppo tardi, i Coldplay dovrebbero abbandonare subito la partnership con Neste e concentrarsi invece su soluzioni veramente pulite», ha dichiarato al Guardian Carlos Calvo Ambel, direttore di Transport and Environment. Ma il gruppo britannico non l’ha fatto.
Foto: Raph_PH/Flickr
Il poliestere eco-compatibile di Lazada
Lazada, gigante dell’e-commerce del sud-est asiatico di proprietà di Alibaba, in occasione della Giornata della Terra del 22 aprile ha lanciato una campagna per promuovere prodotti eco-compatibili che, secondo l’azienda, utilizzano meno o “meglio” la plastica. Ma secondo le critiche molti erano prodotti usa e getta di uso quotidiano, come magliette in poliestere e rasoi da donna. In alcun modo una soluzione per alleviare il problema dell’inquinamento da plastica nel sud-est asiatico.
Il più classico dei greenwahsing
La giustizia tedesca, il 31 maggio, ha ordinato la perquisizione di una serie di uffici del colosso bancario tedesco Deutsche Bank, nonché della sua società di gestione del risparmio, la DWS, a Francoforte. Al centro delle indagini degli inquirenti, una presunta frode ai danni dei consumatori, ai quali sarebbero stati proposti dei prodotti come “verdi” e “sostenibili”, quando, in realtà non lo erano. Il più classico dei greenwashing, insomma. Il caso è ancora aperto.
In Giappone le emissioni da carbone si riducono con l’ammoniaca
Un piano presentato dal governo giapponese che prevede di spendere 27,9 miliardi di yen (210 milioni di euro) per sovvenzionare due progetti pilota che mirano a bruciare almeno il 50% di ammoniaca derivata dall’idrogeno insieme al carbone nelle centrali elettriche entro il 2029 è stato messo in discussione dagli esperti di idrogeno che hanno contestato il piano di riduzione effettiva delle emissioni. La combustione dell’ammoniaca non produce anidride carbonica, ma emette protossido di azoto, un potente agente climalterante.
«I giapponesi sono chiaramente in grave difficoltà in un futuro decarbonizzato», ha scritto su LinkedIn Paul Martin, cofondatore della Hydrogen Science Coalition, «si stanno disperatamente arrampicando sugli specchi per risolvere i loro problemi di importazione di energia – ma l’ammoniaca?», ha proseguito. «Avrà un costo per joule almeno cinque volte superiore a quello dell’energia che i loro concorrenti utilizzano per alimentare le loro economie. L’uso dell’ammoniaca come combustibile è possibile, ma non per applicazioni stabili come le centrali elettriche. Va usata più che occasionalmente come combustibile di riserva di emergenza. Utilizzarla come co-alimentazione di impianti a carbone inefficienti? È una follia», ha concluso.
Greenwashing in formula uno
Nei post pubblicati sui social media, l’organizzatore del Gran Premio di Singapore ha dichiarato che l’evento è «sulla buona strada per ridurre al minimo la propria carbon footprint». Ciò grazie alla digitalizzazione dei biglietti, alla sperimentazione di luci a LED per la pista e all’utilizzo di energia a zero emissioni per alimentare la sede dell’evento. La SGP ha anche dichiarato di «incoraggiare il trasporto ecologico» informando gli spettatori sulle stazioni della metropolitana più vicine alla sede dell’evento. Ciò che SGP non ha fornito, però, sono informazioni sull’effettiva carbon footprint dell’evento, che deve ancora essere misurata.
Difendere la barriera corallina finanziando i combustibili fossili che la minacciano
Un piano da 1 miliardo di dollari australiani, 630 milioni euro. È quanto ha messo in campo il governo australiano di Scott Morrison per difendere la Grande barriera corallina. Ma, come ha notato Greenpeace, «omettendo deliberatamente» di investire per combattere la vera minaccia alla barriera corallina: i cambiamenti climatici. E continuando, dall’altra parte, finanziando e investendo in combustibili fossili.
«È difficile pensare che questo non sia altro che l’ennesimo stratagemma per ingannarci», ha dichiarato Greenpeace ai propri sostenitori invitandoli a firmare una petizione. «Certo, l’annuncio può sembrare positivo, ma non significa nulla se il governo di Morrison continua a portare avanti la sua agenda a favore dei combustibili fossili». Negli ultimi anni, il governo australiano ha fatto pressioni affinché la Grande barriera corallina fosse esclusa da un rapporto sui siti del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO minacciati dai cambiamenti climatici, ha sottolineato Greenpeace.
Foto: vlad61/iStockPhoto
La sostenibilità non può essere solo ambientale
Young’s Pubs è una catena di pub britannici, proprietaria di oltre 220 locali. Molto attenta alla sostenibilità ambientale, alla riduzione dei rifiuti e al risparmio energetico. Ma su Twitter c’è chi non ha fatto passare sotto silenzio un altro genere di insostenibilità.
Dal 2017 nel Regno Unito è obbligatorio per le aziende con più di 250 dipendenti rendere nota la differenza di retribuzione tra il personale maschile e quello femminile. Dati che l’account Twitter “Gender Pay Gap Bot” utilizza per richiamare le aziende alle proprie responsabilità. Così quando in occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna Young’s Pubs ha fatto un tweet a tema, il bot ha rivelato l’enorme disparità di retribuzione: bel il 73,2%. Per essere sostenibili non basta occuparsi di ambiente.
La sostenibilità di Boohoo al servizio delle Kardashian
Il rivenditore online di fast-fashion Boohoo, con sede nel Regno Unito, ha assunto Kourtney Kardashian come ambasciatrice della sostenibilità del marchio per la settimana della moda di New York. Lanciando una collezione “sostenibile”. Cosa poco apprezzata dai sostenitori di una moda autenticamente sostenibile. «Qualsiasi campagna che ignori l’impatto della propria catena di approvvigionamento è greenwashing», ha scritto su LinkedIn Susannah Jaffer, fondatrice di un portale dedicato alla moda sostenibile.
Zerrin ha sottolineato che il poliestere e il cotone riciclati promossi da Boohoo come sostenibili sono ancora difficili da riciclare e scomporre. «Per non parlare del fatto che la produzione di questa collezione non compensa in alcun modo la produzione di Boohoo di migliaia di articoli al mese, realizzati con materiali economici, sintetici e derivati dal petrolio», ha aggiunto.
Foto:Bettina Cirone/Wikimedia Commons
L’unico modo per volare responsabilmente è non volare
Lo studio legale attivista ClientEarth ha citato in giudizio a maggio la compagnia aerea olandese KLM per una campagna pubblicitaria che, a suo dire, dà una falsa impressione della sostenibilità dei suoi voli e dei suoi piani per ridurre l’impatto sul clima. La campagna “Vola responsabilmente” di KLM sostiene che la compagnia aerearaggiungerà l’obiettivo delle emissioni nette zero entro il 2050 e che intende utilizzare carburante sostenibile e aerei elettrici a partire dal 2035. Ma ClientEarth afferma che KLM sta violando la legge europea sui consumatori ingannandoli, poiché l’industria dell’aviazione non può raggiungere la decarbonizzazione senza ridurre la frequenza dei viaggi aerei.
«Il marketing di KLM induce i consumatori a credere che i suoi voli non peggioreranno l’emergenza climatica. Ma questo è un mito», ha dichiarato Hiske Arts, attivista di Fossielvrij NL, l’organizzazione no-profit olandese rappresentata da ClientEarth.
Bruciare la plastica per produrre energia pulita?
In un’e-mail inviata ai suoi sostenitori a settembre, WWF Singapore ha dichiarato che i rifiuti di plastica raccolti durante le operazioni di pulizia delle spiagge sarebbero stati inviati a un’università locale e convertiti in “energia pulita” dopo essere stati sottoposti a un processo noto come pirolisi: i rifiuti vengono riscaldati e trasformati in olio pirolitico.
Yobel Novian Putra, responsabile della campagna per il clima e l’energia pulita dell’organizzazione no-profit Global Alliance for Incinerator Alternatives, sostiene che non esiste un’energia pulita generata dalla combustione di un materiale inquinante e tossico come la plastica. «Dire che l’energia prodotta dalla pirolisi dei rifiuti plastici è pulita è come dire che l’energia prodotta dai termovalorizzatori di Singapore è pulita. In entrambi i casi, stiamo utilizzando materiali di origine fossile per generare energia», ha dichiarato a Eco-Business.
Il sindaco di New York ha concesso il proprio endorsement al presidente americano, puntando il dito contro la scarsa attenzione dello sfidante Romney sulla questione del cambiamento climatico.
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