Il mattone? Tradisce sempre più spesso
I picchi del 2007 del mercato immobiliare restano lontani. I tassi ai minimi non bastano. Pesano l’incertezza dei redditi e uno spopolamento di molte aree
Davvero il mattone è l’unica forma di investimento che “non tradisce”? A guardare il mercato nazionale della casa il vecchio adagio non funziona più, nonostante qualche recente sintomo di ripresa che arriva dopo i crolli seguiti alla prima recessione del 2008 e alla seconda del 2011. Lo testimoniano una serie di rilevazioni che sono apparse nell’ultimo periodo da fonti diverse, sia pubbliche che private.
Secondo l’ultima ricerca di Bankitalia e Istat sulla ricchezza delle famiglie, pubblicata a maggio, a fine 2017 la ricchezza netta misurata come somma delle attività reali (abitazioni, terreni) e delle attività finanziarie (depositi, titoli, azioni) al netto dei debiti era pari a 9.743 miliardi. Case, terreni e immobili valevano 6.295 miliardi pari al 59% della ricchezza lorda. Tra fine 2016 e fine 2017 il valore delle case e degli immobili era calato di 45 miliardi (-0,7%), continuando il calo iniziato nel 2012.
Due decenni ben diversi
Come dimostra uno studio pubblicato a giugno dalla Bce sui trend delle strutture economiche europee a vent’anni dall’introduzione dell’euro, nell’Eurozona l’andamento dei prezzi delle abitazioni è cambiato sostanzialmente nel secondo decennio dell’euro. Nel primo decennio della valuta comune i prezzi delle case erano aumentati in modo significativo, in media del 5,4% ogni anno (1999-2008), principalmente a causa delle pressioni al rialzo nel settore immobiliare in Spagna, Francia, Italia e Irlanda, che in alcuni casi erano collegate a bolle insostenibili.
Questi aumenti significativi si sono in parte invertiti durante il secondo decennio della valuta comune (2009-18), quando i prezzi degli immobili residenziali sono aumentati in media solo dello 0,5% su base annua, con il contributo positivo più elevato proveniente dalla Germania. In Italia, come mostra un grafico tratto dalla ricerca Bce, dopo un’impennata dei prezzi che su base media annua era arrivata al 7% nel 2005, il primo crollo aveva portato la variazione annua sottozero nel triennio 2008-2010, per poi riprendersi nel 2011 ma tornare a un calo dei prezzi tra il 2012 e il 2016 e restare poi stabilmente vicina allo zero negli anni successivi.
Il dato medio conta poco. Tutto dipende dalla location
In realtà però questi sono gli andamenti medi nazionali e in un mercato come quello immobiliare, estremamente segmentato perché ciò che conta è “location, location, location”, queste indicazioni sono poco significative. Se si guarda invece all’andamento disaggregato su base territoriale, si nota che a fronte di prezzi medi nazionali che continuano a calare, nella città più dinamica sul fronte immobiliare d’Italia, Milano, dal 2010 a oggi la periferia segna continui ribassi, il semicentro una parziale ripresa dopo il 2015 mentre il centro continua seppure lentamente a rivalutarsi.
Il dato è confermato dall’ultima rilevazione sul mercato immobiliare contenuta nel terzo osservatorio presentato a fine novembre da Nomisma. Il settore “tiene” nonostante la debolezza del contesto economico generale, ma emergono segnali di indebolimento della crescita, anche se la propensione delle famiglie italiane alla proprietà resta forte. Secondo l’osservatorio, per la prima volta dopo 10 anni la variazione semestrale dei prezzi delle case nelle principali città italiane torna positiva anche se frazionale (+0,2%), ma non vale dappertutto. Al traino di Milano fanno eco le performance di Bologna e Padova, in costante recupero, mentre così non è ad esempio per Roma dove i prezzi medi perdono l’1,3%.
Gli affitti transitori spingono in su quelli a lungo termine
Intanto cresce la domanda di affitto che traina risalita dei canoni: per il secondo anno consecutivo aumentano anche se sotto l’1% annuo. La domanda per affitti è quasi al 50%, mentre quella per uso temporaneo è passata in un anno dall’11 al 18%, causando un innalzamento dei costi per i canoni a lungo termine specie nei centri dove la domanda per uso transitorio supera il 20% come a Venezia, Bologna e Firenze.
Il traino del settore resta il mercato dei mutui. Se da un lato le condizioni eccezionali dei tassi di interesse, ai minimi storici, spingono le famiglie a indebitarsi per comprare casa, dall’altro però la fragilità della condizione lavorativa e reddituale per la recessione invoglia le banche a mantenere criteri molti rigorosi nel vaglio delle richieste di finanziamento in fase di erogazione.
Ecco come si spiega nel primo semestre di quest’anno il rallentamento sia delle compravendite immobiliari che delle erogazioni di mutui, registrate dall’Istat. Di conseguenza nei primi sei mesi dell’anno gli acquisti di case con un mutuo, secondo Nomisma, sono passati dal 58,2% del primo semestre 2018 al 51,8% del totale.
Aumenta dunque invece l’acquisto di case con il solo uso di capitali propri. A preconsuntivo del 2019 gli scambi sono poco più di 662mila, con un’incidenza del segmento residenziale che raggiunge il 92% del totale degli immobili compravenduti in Italia.
Dalla crisi 2007, le compravendite ancora sotto del 30% (e mutui -40%)
Rispetto al 2008 le compravendite di abitazioni nell’insieme delle principali città (Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Roma, Torino e Venezia) sono cresciute di 16mila unità, ma a livello nazionale il mercato è ancora sotto di 60.300 unità compravendute.
Se si guarda invece alla comparazione registrata dall’Istat rispetto ai dati del 2007, prima della crisi finanziaria globale innescata dai mutui subprime negli Usa e del collasso di Lehman Brothers, al mercato manca ancora un terzo degli scambi annui. La stessa situazione avviene sul fronte dei mutui, per i quali il numero di erogazioni annue è inferiore del 40% rispetto al 2007 e in nuova flessione dal terzo trimestre del 2008.
Aree interne in crisi
Italia interna, il fronte più caldo del mercato immobiliare
Il calo demografico e l’assenza di manutenzione sul patrimonio edilizio hanno fatto esplodere le case invendute. I prezzi crollano: -35% rispetto al 2008
Tendenze strutturali
Sul settore, però, non pesano solo dinamiche congiunturali ma anche le tendenze di lungo periodo. In un Paese che ha il poco invidiabile record mondiale di più vecchio al mondo, il numero delle case vuote continua a crescere e impatta soprattutto sulle seconde e terze case di vacanza, snobbate sempre più dalle fasce giovani della popolazione.
Il fattore demografico pesa, come pure l’emigrazione di italiani, in particolare giovani ad alta scolarizzazione: negli 13 anni dal 2006 l’emigrazione è cresciuta del 70,2% e gli iscritti all’anagrafe degli italiani residenti all’estero sono passati da 3,1 milioni a 5,3 milioni.
Per fortuna che ci sono gli immigrati
Per fortuna, alla faccia degli xenofobi, il mercato immobiliare è stato almeno in parte sostenuto negli ultimi 12 anni da 100 miliardi investiti dagli immigrati. Questi ultimi hanno comprato 860mila case. Il calcolo è contenuto nel quindicesimo rapporto “Immigrati e casa: un mercato in crescita” realizzato da Scenari Immobiliari. Ormai il 21,5% degli immigrati abita in una casa di proprietà. Le compravendite da parte di immigrati nel 2019 sono state pari al 9% circa del totale. Il maggior numero di acquisti degli immigrati si concentra in dieci province: Milano, Roma, Bari, Torino, Prato, Brescia, Cremona, Vicenza, Ragusa, Modena e Treviso. I prezzi medi? Sono compresi tra 70mila e 130mila euro.