Immobili e finanza sono i veri protagonisti della globalizzazione
Nel XXI secolo gli immobili sono diventati asset finanziari globali. Ma l'onda lunga rialzista è iniziata 70 anni fa.Oggi le bolle fanno sempre più paura
La regola è chiara: nel dubbio cercate di comprare un immobile, anzi più immobili che potete. Mal che vada avrete un posto dove vivere. Nella migliore delle ipotesi, invece, potreste diventare milionari. Non ci credete? E fate male. Il magnate americano Andrew Carnegie, lo spiegava già più di cento anni or sono: «9 milionari su 10» hanno cominciato la loro scalata investendo nel mattone. E il punto, a sentire la categoria, è che la regola potrebbe essere valida tuttora.
Qualche mese fa, la CNBC ha raccolto i pareri di 9 finanzieri USA e il responso è stato più o meno unanime: gli immobili sono un eccellente trampolino di lancio per il successo.
Il motivo? Semplice, sono gli asset più tangibili, lineari e tutto sommato sicuri disponibili sul mercato. Insomma, il meglio offerto dalla finanza.
Per gli immobili 30 anni di boom
Certo, occorre pur sempre seguire le regole auree. Grant Cardone, guru finanziario e autore di successo, consiglia ad esempio di «stare alla larga dai quartieri più poveri» che pure, precisa, rappresentano comunque un’opzione migliore rispetto alla scelta di tenere fermi i soldi in banca. Peter Hernandez, presidente e fondatore di Teles Properties ricorda inoltre che «gli immobili aumentano significativamente di valore col tempo e alla lunga finiscono per rendere di più rispetto agli altri investimenti».
Cinque anni fa, una ricerca della Federal Reserve Bank di Dallas osservava come nelle principali economie occidentali – e a maggior ragione in Giappone – i prezzi degli immobili si fossero mantenuti relativamente costanti in termini reali (ovvero al netto dell’inflazione) tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del XX secolo. Salvo conoscere un autentico boom nei decenni successivi. Un vero affare per gli investitori, dunque. Ma il meglio doveva ancora venire.
Rendimenti a prova di bolla
«Nella maggior parte dei principali centri urbani del Pianeta», ha notato UBS nel suo ultimo rapporto annuale, «chiunque abbia acquistato immobili negli ultimi 40 anni, anche al culmine di una bolla locale, ha beneficiato di plusvalenze nel lungo periodo». Secondo la banca, in particolare, il boom economico associato alla rivoluzione tecnologica, la concentrazione della ricchezza nelle città più importanti e il calo degli interessi reali sperimentato dagli anni ’90 in poi avrebbero favorito il rialzo dei prezzi. In molte aree si è costruito oltremodo, e laddove questo non è accaduto – a causa di regolamentazioni più severe – il valore di mercato dei terreni è aumentato dismisura e «gli affitti sono saliti alle stelle».
Gli immobili diventano asset globali
Il XXI secolo, in particolare, segna il trionfo delle città globali. Dal 2000 ad oggi, calcola l’Economist, i valori registrati a Londra sono aumentati del 144%; Parigi segna +162%; Hong Kong – tuttora il mercato più caro con un prezzo medio che supera i 20mila dollari al metro quadro (ovvero i $2.000 per square foot) – totalizza +178%. A Vancouver i prezzi sono triplicati in vent’anni.
Dietro al boom ci sono i fattori ampiamente noti che hanno plasmato la crescita economica e l’accumulo di ricchezza in due decenni di globalizzazione. L’esplosione dell’industria tecnologica e il boom economico cinese, ricorda l’Economist citando i dati di Credit Suisse, hanno prodotto nuovi milionari in serie (per la precisione: 250 ogni ora negli ultimi otto anni). Nel 2010 gli individui a 6 zeri controllavano poco più di un terzo della ricchezza globale; oggi ne possiedono quasi la metà (45%).
La crisi del lusso
Buona parte di questi capitali è finita nel segmento del lusso trasformando gli immobili prime in «asset finanziari globali». Abitazioni deserte, sigillate, destinate ad aumentare di valore generando una rendita di mercato anche in assenza di inquilini. Viene in mente la Londra surreale di Jonathan Coe, con Chelsea e Kensington ridotti a quartieri fantasma, vere e proprie cassette di sicurezza a cielo aperto per investitori internazionali. Lo scorso anno nella capitale britannica si contavano oltre 22mila appartamenti vuoti per un controvalore totale di 12,2 miliardi di sterline.
La novità è che la festa sembra essere finita. Il rallentamento economico, le restrizioni sul movimento dei capitali (in Cina), l’aumento delle tasse (Regno Unito) e le politiche restrittive all’investimento (Nuova Zelanda) hanno generato un’inversione di tendenza. E non si salva nessuno, rileva ancora l’Economist. Lo scorso anno, segnala il settimanale britannico, i valori di mercato di Manhattan sono calati del 4,3%, i prezzi degli immobili di lusso di Sidney sono diminuiti del 16% in due anni e le abitazioni prime di Londra hanno bruciato un quinto del loro valore rispetto al picco del 2014.
Sarebbe prematuro, probabilmente, parlare di scoppio della bolla. Ma di certo il fenomeno dovrà essere monitorato con attenzione. Perché gli umori del mercato immobiliare, è storia nota, incidono da sempre e non poco sul ciclo economico nel suo complesso.
Speculare sugli immobili? Fa male all’economia
Il vero problema, infatti, è che la speculazione finanziaria non impatta solo sull’andamento del mercato immobiliare ma anche sull’economia nel suo insieme. Colpendo, in particolar modo, le due variabili chiave che identificano lo stato di salute di quest’ultima: reddito e occupazione. Nel novembre del 2019, uno studio condotto da tre ricercatori delle università di Hong Kong, Austin e Princeton, ha misurato gli effetti del ciclo degli immobili USA all’inizio del nuovo secolo. Tra il 2004 e il 2006, gli anni del boom, un aumento degli acquisti di immobili da investimento pari al 10% in ogni area del Paese ha determinato in media una crescita dei prezzi pari al 26,5%, oltre a un significativo incremento dei salari reali (13,7%), dell’occupazione (8,4%) e del reddito pro capite (12,9%).
Ma nel triennio 2007-09, vale a dire dallo scoppio della bolla dei mutui subprime alla Grande recessione post Lehman, le correzioni al ribasso sono state, nel complesso, ancora più dirompenti. I prezzi degli immobili sono diminuiti del 37,4%, i salari reali sono calati del 15,4%, l’occupazione è scesa del 14,6% mentre il reddito pro capite è diminuito di 7,8 punti percentuali.
Nel mercato americano, in altre parole, i benefici per l’economia reale generatisi durante la speculazione al rialzo sarebbero stati in definitiva inferiori in valore assoluto agli effetti negativi misurati successivamente nella fase recessiva.
L’altra finanza: social housing in ascesa
Sarebbe sbagliato, in ogni caso, pensare al rapporto stretto tra immobiliare e finanza soltanto in termini di speculazione. Negli ultimi anni l’aumento dei prezzi ha stimolato iniziative a impatto sociale positivo finalizzate a garantire una maggiore disponibilità di immobili a prezzi accessibili. E non è nemmeno paradossale, a pensarci bene, che ad offrire nuove soluzioni sia stato – e sia tuttora – il mercato finanziario.
A Parigi, dove il prezzo medio delle case in vendita ha superato di recente la barriera dei 10mila euro al metro quadro e circa il 70% dei residenti vive in affitto, l’amministrazione cittadina ha lanciato un social bond da 320 milioni di euro a scadenza 2034. Parte della cifra raccolta con l’emissione obbligazionaria serve a finanziare 7.500 alloggi sociali entro la fine del 2020.
Nel 2018 il valore dei nuovi collocamenti di social bond nel mondo ha raggiunto i 13,9 miliardi di dollari, contro gli 11,2 del 2017. Francia, Olanda, Corea del Sud, Giappone e Canada sono i Paesi leader del comparto. Secondo le stime di NWB Bank, due anni fa le obbligazioni finalizzate al social housing nel mercato globale ammontavano a quasi 8 miliardi di euro. Nel mondo, ha rivelato due anni fa un’indagine a campione condotta dalla New York University insieme al Lincoln Institute of Land Policy e allo United Nations Settlements Programme, la carenza di immobili a prezzi accessibili riguarderebbe ormai il 90% delle città con oltre centomila abitanti.