La nuova normalità di un mondo senza crescita
Le statistiche confermano che i tassi di crescita del passato potrebbero non tornare più. La nuova fase apre la sfida di coniugare post-crescita ed equità
Questa settimana ha visto il lancio di System Error, un film documentario del premiato regista tedesco Florian Opitz, che si è fatto una reputazione per aver criticato i difetti del capitalismo del 21° secolo. Il film esplora la nostra ossessione per la crescita economica attraverso la testimonianza di alcuni dei suoi più rumorosi sostenitori.
È una visione affascinante di quel “feticcio del PIL” che ha dominato la politica economica per oltre sessant’anni, nonostante le voci contrarie di antica data. Il film di Opitz è una testimonianza della tenacia del paradigma della crescita – anche mezzo secolo dopo.
Il trailer del docufilm System Error di Florian Opitz Un futuro diverso dal passato
Se c’è una cosa che potrebbe davvero mandare tutto all’aria, è che la crescita economica come la conosciamo sta scivolando lentamente via. Già prima della crisi, i tassi di crescita nelle economie avanzate erano in calo. Il giorno dopo la prima del film a Berlino, l’ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Larry Summers, ha difeso sul Financial Times la propria tesi (sostenuta per la prima volta cinque anni fa) secondo cui i tassi di crescita, attesi dagli economisti e desiderati dai politici, potrebbero ormai essere un ricordo del passato.
La crescita lenta, ha sostenuto, non è semplicemente il risultato di un indebitamento a breve termine dovuto alla crisi finanziaria, ma potrebbe rivelarsi semplicemente la “nuova normalità”. È un argomento che trova sostegno non solo da altri tradizionali esperti ma anche nelle statistiche nazionali: la crescita del Regno Unito è scesa a un nuovo minimo da cinque anni nel primo trimestre del 2018.
Di fronte alla mancanza di crescita, i più reagiscono cercando di recuperare il più velocemente possibile la crescita, a qualunque costo. Bassi tassi d’interesse, riduzione del costo del denaro, investimenti interni, salvataggi bancari, incentivi governativi, accaparramento di terre, paradisi fiscali, austerità fiscale, collaborazioni doganali – e così via. Alcune di queste azioni affiancate nemmeno avevano senso. Ma almeno ci distolgono da una verità scomoda: che il futuro potrebbe sembrare molto diverso dal passato.
Una prossima crisi senza spazio di manovra
Se non fosse per un clima destabilizzato dalle emissioni di carbonio, gli oceani che presto conterranno più plastica che pesci e un pianeta che vacilla per una perdita di specie mille volte più veloce di qualsiasi altra negli ultimi 65 milioni di anni, potrebbe non importare che non possano sommarsi. Ma iniettare denaro buono (si fa per dire) dopo una crisi può di per sé essere una strategia efficace, quando tanto è ancora incerto?
Come possiamo essere sicuri che queste misure sempre più disperate funzioneranno? Abbiamo provato la maggior parte di esse per oltre un decennio, con scarsissimo successo. La migliore delle gestioni, afferma Summers, è stato lo stallo quasi totale a favore dell’espansione monetaria e l’oscillazione tra lo stimolo e la stretta fiscale (principalmente la seconda) secondo la preferenza culturale politica. Il risultato finale, come ha recentemente sottolineato l’IPPR (Institute for Public Policy Research), è quella sensazione alquanto terrificante, che quando la prossima crisi arriverà non ci sarà alcuno spazio fiscale o monetario di manovra.
La sfida della post-crescita
Nel nostro ultimo documento di lavoro per il CUSP, esploro le dinamiche di questa emergente “sfida post-crescita”. Ritengo necessarie sia la più profonda comprensione di come siamo arrivati qui, sia la più ampia gamma di colori con cui dipingere le possibilità per il nostro futuro comune. Il documento esamina le dinamiche sottostanti della stagnazione secolare, sia dal lato della domanda sia dal lato dell’offerta, e discute la sua relazione con la crescita della produttività del lavoro, l’aumento del debito e i colli di bottiglia delle risorse.
L’elemento più difficile in questa sfida, non ancora pienamente affrontato né dalla sinistra politica né dalla destra, è il rapporto tra una crescita in declino e l’equità sociale. Le coordinate della disuguaglianza sono ora evidenti nel tasso stagnante dei salari e nelle condizioni di vita in declino della gente comune. “Migliaia su migliaia” di persone si sono radunate per la marcia TUC (Trades Union Congress – Federazione Sindacale) di quest’anno a Londra, rendendo abbondantemente chiaro che la persistente disuguaglianza sta minacciando la stabilità politica. Secondo il segretario generale della TUC, Frances O’Grady, «c’è un nuovo stato d’animo nel paese. Le persone sono state molto pazienti, ma ora chiedono un nuovo accordo».
Le disuguaglianze non sono inevitabili
Abbiamo affrontato la matematica di questa relazione in profondità altrove. Quello che abbiamo trovato è stato inaspettato. La crescente disuguaglianza che ha perseguitato le economie avanzate negli ultimi anni non è stata inevitabile. Né è inevitabile in futuro. Il problema risiede, come sostengo più specificamente in questo articolo, non nella stagnazione secolare stessa, ma nelle nostre risposte a questo fenomeno.
Più in dettaglio, suggerisco che l’aumento della disuguaglianza sia il risultato dei nostri persistenti tentativi di dare nuova vita al capitalismo, nonostante i fondamentali sottostanti puntino nella direzione opposta.
Il nostro feticcio della crescita ha ostacolato l’innovazione ecologica e rafforzato la disuguaglianza, ed ha esacerbato l’instabilità finanziaria. La prosperità stessa viene annullata da questa fedeltà alla crescita a tutti i costi.
Ora è chiaro che è tempo che i responsabili politici prendano sul serio la “sfida post-crescita”. A giudicare dall’accoglienza entusiastica di circa 900 persone che hanno partecipato alla prima di System Error a Berlino, una simile strategia potrebbe riscontrare un sorprendente sostegno popolare.
* Tim Jackson è un economista ecologico britannico, docente di Sviluppo sostenibile all’Università del Surrey. Tra i suoi libri, Prosperity Without Growth (2009 and 2017, edizione italiana “Prosperità senza crescita”, Edizioni Ambiente) e Material Concerns (1996). Il presente testo è un articolo di introduzione al saggio “The Post-Growth Challenge: Secular Stagnation, Inequality and the Limits to Growth“, CUSP Working Paper No 12. Traduzione a cura di Viola Nicodano.