Il City “too big to fail” e gli aiutini della Uefa
Il Manchester City è diventato un colosso "too big too fail" anche grazie a una pessima legge fatta per tutelare i colossi
Due miliardi di sterline spesi per costruire la squadra più forte del mondo, e una delle più forti della storia del calcio. Per certificarlo non c’era nemmeno bisogno della vittoria Champions League: agognata, sempre sfuggita e finalmente arrivata il mese scorso, in finale contro l’Inter. Il Manchester City di Pep Guardiola era già nella storia del calcio.
Per avere inventato un nuovo modo di giocare, figlio dell’incredibile evoluzione del suo tecnico da Barcellona a Monaco di Baviera. Fino al nord dell’Inghilterra. Per la quantità di stelle e campioni che ha messo in vetrina. Per la quantità di titoli – 7 Premier, 3 FA Cup, 6 Coppe di Lega e una Champions, tra gli altri – messi in bacheca nei 15 anni di proprietà degli Emirati Arabi. E per i soldi, appunto.
Acquistato nel 2008 dallo sceicco Mansur bin Zayd Al Nahyan attraverso il fondo sovrano di Abu Dhabi per una cifra intorno ai 270 milioni di sterline – che adesso sembra più che ragionevole, visto che il Manchester United sta per essere venduto per 4 miliardi – il club si è subito dotato di sponsorizzazioni amiche. Una per tutte Etihad Airways, la compagnia aerea di bandiera degli Emirati Arabi, che ha dato il nome anche allo stadio per 10 anni e 400 milioni.
E molti altri sponsor sono arrivati da Abu Dhabi. Oltre alla capacità economica dei proprietari, è da subito risultato evidente che queste sponsorizzazioni, più o meno fittizie, avrebbero permesso al City di avere i soldi per dominare il calcio a venire. Così è stato, e nessuno ha avuto nulla da ridire. Il paradosso è che il Fair Play Finanziario non è certo stato un ostacolo al divenire superpotenza del City, anzi.
Una legge scritta malissimo come quella promulgata dall’allora capo della Uefa Michel Platini, che ti impone di spendere in base a quanto guadagni, è di per sé una legge iniqua. Una legge che permette a chi ha più soldi di spendere di più contribuisce a mantenere lo status quo, agevola l’utilizzo di acquisti di calciatori a prezzi fuori mercato e varie alchimie di natura finanziaria.
Basta vedere il Chelsea, che dopo avere speso 600 milioni nelle ultime due sessioni di calciomercato sta vendendo a prezzi gonfiati i giocatori di cui deve disfarsi. E li sta vendendo alle varie squadre possedute dal fondo dell’Arabia Saudita che dello stesso Chelsea è azionista di presunta minoranza. Possiamo quasi concludere che il Fair Play Finanziario, lungi dal calmierare le differenze, è stato il Cavallo di Troia dei fondi finanziari nel pallone.
Ecco perché sembra molto difficile che i 115 capi d’accusa che la Premier League avrebbe rilevato nei conti del Manchester City dal 2011 al 2019 si tramuteranno in una squalifica. Delle sponsorizzazioni fittizie per aggirare – o a questo punto agevolare – il Fair Play Finanziario, in molti ne avevano scritto prima che partisse l’inchiesta. Anche noi. Perché era già troppo tardi e il City era già troppo potente.
Too big to fail, come si è detto delle banche americane salvate coi fondi statali dalla crisi dei subprime. E soprattutto perché era la stessa legge ad essere scritta per tutelare i colossi. Ecco perché anche l’ultima notizia uscita su The Times su una sponsorizzazione 30 milioni talmente fasulla da avere indicato sui registri un nome inesistente, e di cui anche Uefa e Premier League erano a conoscenza, non sposterà gli equilibri. È stato lo stesso governo del calcio a volere tutto questo.