Materie prime critiche, i milioni della lobby industriale per annacquare le norme europee
Secondo uno studio, la legge europea sulle materie prime critiche è stata influenzata dalle industrie mineraria, aeronautica e delle armi
La normativa europea sulle materie prime critiche è dichiarata indispensabile per la transizione ecologica dell’economia comunitaria. Tuttavia, una serie di Ong è in allarme perché teme che il testo dia spazio a interessi divergenti dal Green Deal.
Il tentativo di convincere i poteri pubblici a far aprire nuove miniere
Sotto accusa innanzitutto l’impianto stesso della norma, che non darebbe priorità alla riduzione del consumo dei minerali rari e non sarebbe in grado di ostacolare nuovi progetti di esplorazione ed estrazione, anche in aree protette. L’indagine “Sangue sul Green Deal?” dell’Observatoire des multinationales e del Corporate Europe Observatory rivela un’attività di «lobbismo aggressivo» che avrebbe trasformato il Critical Raw Materials Act (Crma) in un «open bar» per l’industria mineraria, aeronautica e delle armi.
L’obiettivo sarebbe assicurarsi sostegno pubblico e approfittare della deregolamentazione prevista per i minerali con i quali vengono prodotti batterie, pannelli solari, pale eoliche e altre tecnologie utili alla transizione ecologica.
L’indagine mostra le forti pressioni attuate per tutelare l’apertura di nuove miniere, la cui utilità alla transizione non è garantita. Tra le vittorie delle lobby, l’inserimento nell’elenco ufficiale delle materie prime critiche di alluminio e titanio. Poco utili a proteggere il clima, ma essenziali nella produzione di armi e di altri prodotti non connessi alla riconversione ecologica.
Quasi 5 milioni di euro di investimenti in attività di lobbying
L’indagine esamina l’attività di lobbying delle imprese europee impegnate nei settori della difesa e dell’aviazione, che sarebbero state pungolo costante durante la revisione del Crma attraverso incontri privati, eventi pubblici, partecipazione attiva a gruppi di lavoro.
Gli ultimi anni hanno visto una discesa in campo aggressiva dell’industria delle armi: nel 2022 il bilancio combinato delle lobby delle prime dieci compagnie europee arriva a quasi cinque milioni di euro (4,7 milioni).
Airbus, nota come azienda aerospaziale, ha una parte della produzione dedicata a velivoli militari, sistemi aerei senza equipaggio, soluzioni per la comunicazione militare.
Secondo quanto riportato dallo studio, nel 2022 l’impresa avrebbe speso più di 1,25 milioni di euro in lobbying. Avvalendosi della consulenza di realtà come Avisa Partners, in passato accusata di aver diffuso informazioni false volte a migliorare l’immagine pubblica del Qatar e di Uber. Tra i primati di Airbus, quello di essere la seconda società (dopo Google) per numero di incontri con i funzionari dell’Unione europea.
Il gruppo Rheinmetall avrebbe speso più di 700mila euro nel 2020; Indra avrebbe investito un milione nel solo 2021. Questo, senza considerare i bilanci delle associazioni di categoria, delle federazioni e dei forum.
Lo studio riporta numerosi ulteriori esempi di interventi di pressione.
Sotto accusa anche il commissario alle imprese Thierry Breton, già amministratore delegato di Atos che, con l’appoggio di Francia e Spagna, avrebbe aperto la strada agli interessi industriali.
L’open bar delle lobby industriali
Secondo lo studio, la formulazione della proposta di legge ha subito pressioni che ne hanno alterato l’efficacia per diverse ragioni.
Nell’elenco delle materie prime critiche definite “strategiche” figurano, come detto, minerali utili alla produzione di armi e altri prodotti non “ecologici”. Ma un altro elemento problematico è che la legge tutela una serie di materie senza però discriminarne l’utilizzo. E senza neppure privilegiare «usi verdi» rispetto ad altri più controversi.
Nel testo, inoltre, i criteri per la classificazione dei materiali risultano “deboli” e, secondo gli autori, lasciano spazio all’aggiunta futura di ulteriori elementi senza un pubblico esame del processo. Il pericolo rilevato è che l’indebolimento degli standard ambientali per ragioni di “pubblico interesse” diventi un “assegno in bianco” per diversi settori industriali, che potranno così aggirare le direttive quadro in materia di acque, habitat e uccelli per estrarre materie prime controverse, inquinare e produrre e diffondere armi.