Metaverso, cos’è e cosa potrebbe diventare
Esperienze immersive, giochi iper-realistici, ma anche speculazione e opacità fiscale. Cos'è e come funziona il metaverso
«Siamo all’inizio di un nuovo capitolo dell’era di internet». Una nuova piattaforma che «sarà ancora più immersiva; un internet incarnato in cui sei parte dell’esperienza, non ti limiti a guardarla». Sono bastate queste parole del numero uno di Facebook Mark Zuckerberg, pronunciate all’ormai celebre conferenza Connect di ottobre 2021, a consacrare il metaverso come la “next big thing” nel mondo del digitale. A più di sei mesi di distanza, però, sul tema circolano ancora più domande che risposte.
L’abc del metaverso
Parlare di metaverso oggi, sostiene Wired, è un po’ come parlare di internet negli anni Settanta. Pur essendo qualcosa che formalmente esiste, infatti, sembra quasi che nessuno abbia davvero capito cos’è. Il compito diventa più semplice se iniziamo a considerarlo non più come una specifica tecnologia, bensì come la nostra modalità di relazionarci con la tecnologia stessa.
Di fatto, il metaverso è una sorta di internet che si sovrappone al mondo fisico, permettendo agli utenti di interagire in modo più diretto e meno artificioso e partecipare a eventi pianificati o spontanei. Questa esperienza è resa possibile da un mix di dispositivi e infrastrutture: realtà aumentata (AR, cioè quella che arricchisce di elementi virtuali il mondo reale), realtà virtuale (VR, cioè quella interamente digitale, visibile attraverso i cosiddetti “occhialoni”), connessione superveloce 5G, blockchain… Tuttavia, non si esaurisce in alcuna di esse.
Un esempio? Oggi per le riunioni coi colleghi ci si collega a piattaforme come Zoom, restando seduti alla propria scrivania e scrutando i rettangolini con le loro facce inquadrate da una webcam. Una modalità che ha letteralmente salvato milioni di aziende durante il lockdown, ma che risulta anche artificiosa e stancante (a dirlo sono i ricercatori di Harvard).
Con il metaverso ci si potrà dare appuntamento in una stanza virtuale, popolata da avatar realistici e in 3D dei colleghi. La questione è molto più che estetica. Alla mimica facciale, infatti, si aggiunge il linguaggio del corpo. Oltre a modificare documenti condivisi in cloud, ci si potrà passare di mano in mano un prototipo di un macchinario o un abito della nuova stagione. Gli specializzandi in medicina, invece di guardare il video di un intervento, potranno affiancare virtualmente il chirurgo.
Le implicazioni energetiche
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Quanti metaversi esistono
Per come stanno adesso le cose, è più corretto parlare di “metaversi”. Zuckerberg infatti si è auto-attribuito il ruolo di pioniere lanciando Horizon Worlds, uno spazio virtuale a cui si può accedere con il proprio account Facebook e indossando i visori Oculus (società acquisita dalla stessa Facebook, oggi Meta, già nel 2014).
Stando ai dati di febbraio 2022, sono circa 300mila gli utenti che si connettono a Horizon Worlds per giocare, costruire il proprio mini-mondo separato (ne esistono più o meno 10mila) e partecipare a eventi virtuali. C’è anche una piattaforma ad hoc per il lavoro, Horizon Workrooms. Con una curiosità: gli avatar arrivano fino alla cintola e fluttuano nel vuoto. Tracciare i loro movimenti di gambe e piedi e riprodurli fedelmente, infatti, va ancora oltre le possibilità tecniche della piattaforma.
Ben prima dell’annuncio di Zuckerberg, milioni di persone si collegavano quotidianamente a uno spazio che si avvicina alla sua idea di metaverso: si tratta del videogioco Fortnite, lo stesso in cui il rapper americano Travis Scott ha tenuto uno spettacolare concerto mentre il mondo era paralizzato dalla prima ondata di Covid-19. Nonostante queste interessanti evoluzioni, Fortnite non è un metaverso (o perlomeno, non lo è ancora) perché gli utenti possono soltanto compiere le specifiche azioni che sono previste dalle regole del gioco.
Fortnite e Travis ScottÈ per questo che la sua casa di sviluppo – Epic Games – ora è intenzionata a costruire un metaverso propriamente detto. Sony e KIRKBI (la holding a cui fa capo il marchio Lego) sembrano crederci parecchio, tanto da investire un miliardo di dollari a testa nel 2022.
Tra criptovalute e speculazione
Volendo scegliere gli esempi di metaverso che finora appaiono più riusciti, gli addetti ai lavori appaiono unanimi nell’indicare due nomi: Decentraland e The Sandbox. Il primo è stato fondato nel 2017 da due sviluppatori argentini, Esteban Ordano e Ari Meilich, ed è aperto al pubblico dal 2020. È un mondo virtuale in cui gli utenti comprano e vendono lotti di terreno (land), intere proprietà (estates), contenuti di ogni tipo e NFT (non-fungible token). Si paga attraverso una criptovaluta che si chiama MANA ed è agganciata a Ethereum.
C’è sempre la blockchain di Ethereum alla base del funzionamento di The Sandbox, un metaverso che nasce dall’omonimo videogioco e oggi viaggia sui 30mila utenti mensili. La sua mappa è composta da 166.464 appezzamenti (LAND), da comprare attraverso una criptovaluta nativa ($SAND) e aggregare tra loro, formando ESTATE e DISTRICT. Per rientrare dall’investimento, si può affittare un terreno a un altro utente che crea giochi; oppure, far pagare una sorta di biglietto a chi lo visita o partecipa alle esperienze che si svolgono in loco.
Nel frattempo, anche Nvidia, Unity, Roblox e Snap si sono messe all’opera per creare i loro mondi virtuali. E molte aziende – da Balenciaga a Nike – salgono a bordo, attratte dall’allettante prospettiva di avere a disposizione un nuovo mercato in cui vendere i loro prodotti, riveduti e corretti in chiave puramente digitale. Con un grosso limite: al momento, le varie piattaforme non comunicano l’una con l’altra.
Chi paga le tasse sui profitti del metaverso?
Verrebbe da fare il paragone con Monopoli, se non fosse per il fatto che si paga con i soldi veri. E sono tutt’altro che spiccioli: su The Sandbox è stata appena chiusa una transazione da 4,3 milioni di dollari. Finché questo denaro circola all’interno del metaverso, è la singola piattaforma a fissare le sue regole: sempre The Sandbox, per esempio, ha imposto una tassa pari al 5% su ogni transazione. Chi accumula un tesoretto e lo converte in valuta corrente, però, è tenuto a dichiararlo al fisco.
A proposito di paradisi fiscali
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Ma cosa succede nel momento in cui, per esempio, un artista va in tour nel metaverso? Nell’autunno 2021 l’ha fatto la popstar Ariana Grande su Fortnite, incassando circa 20 milioni di dollari, merchandising incluso. Chi ha il diritto di tassare questo denaro? La giurisdizione nella quale si è esibita o lo Stato in cui risiede ogni membro del pubblico? Questo aspetto è ancora fumoso, si legge in un’analisi della società di consulenza EY. E non è l’unico. Quando si vende un terreno nel metaverso, il ricavato è soggetto a IVA o va inquadrato come capital gain (rendimento di natura finanziaria) che fa salire il reddito?
L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) sta cercando di mettere a punto un quadro condiviso. Ma il processo richiederà ancora parecchio tempo, anche perché avrà senso solo se sarà sostenuto da un ampio consenso a livello internazionale. Nell’attesa, ciascuno Stato proverà a regolarsi a modo suo. «Ciò aggiunge un livello di complessità e rischio per le imprese internazionali che devono navigare con attenzione in questo panorama fiscale in rapida evoluzione», sottolinea EY.