In Europa 1.600 fondi ESG non sono sostenibili come dicono. E rischiano di dover cambiare nome
Centinaia di fondi fanno un uso disinvolto della sigla ESG e di altri termini legati alla sostenibilità. L'Esma è pronta a smascherarli
I nomi dei fondi sono «un potente strumento di marketing». Parola dell’Esma, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati. Che, proprio in virtù di questo principio, ha emanato le sue nuove linee guida che, nei prossimi mesi, faranno un po’ di ordine nell’affollatissimo panorama dei fondi che si auto-definiscono sostenibili. A giudicare da un’analisi appena pubblicata da Morningstar, ce n’era davvero bisogno. Sono ben 1.600, infatti, i fondi ESG che potrebbero essere costretti a cambiare nome. Oppure, in alternativa, a sbarazzarsi delle azioni di società che con l’ambiente, la società e la buona governance (ESG, appunto) hanno ben poco a che fare.
Cosa prevedono le nuove linee guida dell’Esma sui nomi dei fondi ESG
Le linee guida pubblicate a maggio dall’Esma impongono ai fondi di rispettare parametri ben precisi per potersi fregiare, nel loro nome, di termini attinenti alla sostenibilità.
Per parlare apertamente di “ambiente”, “sostenibilità” o “impatto”, per esempio, devono dimostrare che almeno l’80% dei loro investimenti risponde a caratteristiche o obiettivi ben definiti. Per giunta, devono escludere le aziende che non sono in linea con l’Accordo di Parigi sul clima. Come le compagnie petrolifere, per esempio. Leggermente più morbidi i criteri per usare i termini “società”, “governance” o “transizione”: la soglia dell’80% degli investimenti rimane, ma l’indice a cui attenersi per le esclusioni è l’EU CTB benchmark, più permissivo. Ciascun termine porta inoltre con sé alcuni requisiti specifici.
La tabella di marcia è piuttosto serrata. Morningstar calcola che, una volta pubblicate, le linee guida dell’Esma si applicheranno ai nuovi fondi a partire dal 15 settembre 2024 e ai fondi esistenti dal 15 marzo 2024.
1.600 fondi dovranno cambiare nome o dismettere alcuni titoli
Gli analisti di Morningstar hanno identificato circa 4.300 fondi che potrebbero rientrare nel perimetro di applicazione delle nuove linee guida dell’Esma, perché hanno un nome che contiene la sigla ESG o altri termini legati alla sostenibilità. Circa 2.500 quelli su cui hanno potuto eseguire un’analisi approfondita, perché disponevano di dati a sufficienza.
Ebbene: la maggior parte contravviene alle regole previste in materia di esclusione. Stiamo parlando di circa 1.600 fondi che nell’arco di pochi mesi potrebbero essere costretti a cambiare nome. Magari sostituendo il termine “sostenibilità” con il più elastico “transizione”; oppure abbandonando in toto qualsiasi riferimento alla sostenibilità, con buona pace del marketing.
L’altra possibilità è quella di mantenere il nome con cui sono stati conosciuti finora, disinvestendo però da tutte quelle aziende ritenute incoerenti. Anche in questo caso, sarebbe un terremoto: collettivamente, dovrebbero cedere titoli per un valore totale di 40 miliardi di dollari.
La prima vittima? TotalEnergies, compagnia petrolifera francese presente nei portafogli di 356 fondi ESG analizzati, per un valore aggregato di circa 3,5 miliardi di dollari (cioè circa il 2% della sua capitalizzazione di mercato). Ma anche Dassault Systèmes è molto amata dai fondi sostenibili o presunti tali: è una multinazionale francese che fornisce software a varie industrie, tra cui quella del carbone. Tra le società che i fondi sostenibili potrebbero dover abbandonare c’è anche la finlandese Neste, specializzata nella raffinazione e nella distribuzione di prodotti petroliferi. E il colosso tech cinese Tencent, accusato di contribuire alla censura e alla sorveglianza degli utenti.