Come influencer e trader di criptovalute sfrattano i cittadini di Porto Rico

Porto Rico sta diventando un paradiso fiscale per statunitensi facoltosi. A farne le spese sono i portoricani: non ci sono più case per loro

La bandiera di Porto Rico © Ana Toledo/Unsplash

Gringo go home”! È la scritta che da qualche mese campeggia su striscioni, muri, addirittura sulle spiagge di Porto Rico. È il grido con cui i cittadini ribadiscono, forte e chiaro, di non volersi arrendere all’idea di un Paese trasformato in paradiso fiscale a uso e consumo di un’élite di statunitensi ricchi. Per il momento, però, il loro appello sembra inascoltato.

porto rico tweet

Porto Rico apre le porte agli stranieri

Tutto è iniziato nel 2012, quando Porto Rico era sull’orlo della bancarotta. Pressata da una macchina burocratica mastodontica, dall’elevato costo delle materie prime (soprattutto l’energia) e dalle migrazioni che erodevano il gettito fiscale, l’isola si è trovata con un debito classificato come “spazzatura”. E ha quindi dovuto pagare ricchissimi tassi di interesse ai fondi speculativi stranieri che l’avevano acquistato.

Così, nel tentativo di attirare capitali esteri, il governo ha approvato due leggi. L’Act 20 ha abbassato al 4% l’aliquota fiscale per le società straniere, esonerandole in toto dalle tasse sui dividendi. Gli unici requisiti? Avere una sede sull’isola e, se il fatturato supera i 3 milioni di dollari, assumere un dipendente locale. L’Act 22 invece ha azzerato le tasse sulle rendite finanziarie per i privati che si trasferiscono a Porto Rico dopo aver vissuto almeno dieci anni altrove, comprano una casa, ci vivono per almeno parte dell’anno e fanno donazioni a favore di una no profit del posto. Tutto ciò senza rinunciare alla cittadinanza d’origine.

porto rico
San Juan, la capitale di Porto Rico © Zixi Zhou/Unsplash

Il paradiso di crypto e influencer

A partire dal 2012 4.268 individui e aziende, soprattutto statunitensi, hanno chiesto – e ottenuto – la residenza in virtù dell’Act 60 (questo il nome con cui ci si riferisce alle due leggi). La vera impennata però è stata dopo il 2017, quando l’uragano Maria ha letteralmente svuotato l’isola. Ben presto infatti un gruppo di milionari un po’ eccentrici, prevalentemente californiani che avevano fatto fortuna con le criptovalute, è approdato nella capitale San Juan insediandosi in un hotel, acquistando case e terreni e sognando di fondare la prima “criptocittà”. Utopie a parte, da allora il trading di criptovalute è diventato un fenomeno di massa, consacrando Porto Rico come la meta ideale per gli addetti ai lavori.

Nel 2020 è stato il turno della pandemia che ha sdoganato il lavoro da remoto. Per molti statunitensi – o perlomeno, per quelli che se lo potevano permettere – l’equazione è presto detta: perché restare a vivere in una caotica metropoli, quando a una manciata di ore di volo si può godere di un costo della vita incredibilmente più basso, di un trattamento fiscale di favore e di un clima tropicale?

Solo nei primi dieci mesi del 2021 Porto Rico è stata inondata da 1.349 richieste di aspiranti “resident investors”. 982 sono state concesse. Compresa quella di Logan Paul, pugile statunitense classe 1995 con 22 milioni di follower su Instagram, che ha lasciato Los Angeles per una faraonica villa da 13 milioni di dollari a Dorado Beach.

https://twitter.com/_maxgranger/status/1489988272654667776

Non ci sono più case per i portoricani

Il boom immobiliare ha preso il via a San Juan per poi espandersi anche a cittadine rurali come Rincón, meta di un reportage del New York Times. Lì abita la famiglia di Israel Matos, 45 anni, tecnico del suono per una rete televisiva. La casa in cui viveva da due anni con la moglie e le due figlie è stata messa in vendita dal proprietario. E lui non riesce a trovare una sistemazione, perché gli statunitensi hanno monopolizzato il mercato immobiliare di Porto Rico. E i prezzi delle poche abitazioni rimaste libere sono schizzati verso l’alto, visto che di sicuro dalle metropoli a stelle e strisce prima o poi arriverà qualcuno che se li può permettere. Magari in contanti.

Lo sanno bene quei residenti che, pur non avendo alcuna intenzione di vendere casa propria, vengono avvicinati da stranieri che mettono loro in mano un assegno in bianco. Fino al 2017 bastavano 290mila dollari per un appartamento con due camere da letto a Rincón, oggi bisogna sborsarne 420mila.

Tutto questo in una città in cui il reddito medio annuo è di 19mila dollari. In un Paese in cui il 43% della popolazione vive in condizioni di povertà. Così, mentre aprono chioschi che sfornano piatti tipici americani accettando pagamenti in Bitcoin, Ethereum e Cardano, ci sono persone che a Porto Rico ci sono nate e cresciute e ora rischiano di dover fare le valigie. Un esempio da manuale di gentrificazione. O, per riprendere la parola che risuona più spesso durante i cortei di protesta, di neocolonialismo.