Attivisti da tutto il mondo a Londra per il Raduno comunitario per la Giustizia climatica

Il Raduno comunitario per la Giustizia climatica nasce all'interno della campagna Stop Drilling Start Paying

Linda Maggiori
I partecipanti al Raduno comunitario per la Giustizia climatica di Londra
Linda Maggiori
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Dopo la fallimentare Cop29 in Azerbaigian, da lunedì 25 a venerdì 29 novembre si è svolto a Londra il Raduno comunitario per la Giustizia climatica. L’evento nasce all’interno della campagna Stop Drilling Start Paying, in collaborazione con Greenpeace UK e Roots. Durante le quattro giornate i 30 partecipanti (avvocati, artisti, attivisti e leader di base) si sono confrontati e hanno condiviso esperienze e strategie per resistere ai progetti legati ai combustibili fossili.

L’Italia al Raduno comunitario per la Giustizia climatica di Londra

Provengono dai luoghi più colpiti da eventi estremi o contaminati dai progetti fossili. Vanni Destro e Lucia Pozzato partecipano a questo evento in rappresentanza dell’Italia; provengono dalla provincia di Rovigo, nel Delta del Po.

«Siamo stati invitati in rappresentanza del nostro Paese per le battaglie che portiamo avanti sul territorio da anni, per gli effetti dei cambiamenti climatici sul nostro territorio», dichiara Vanni Destro. «Abbiamo condiviso le nostre esperienze, le nostre tecniche, le nostre vertenze. Abbiamo raccontato la causa civile che stiamo muovendo contro Eni, il ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti insieme ad altri dodici cittadini, Greenpeace Italia e ReCommon», continua.

«D’altra parte, abbiamo raccolto storie ed esperienze da tutto il mondo. Ci siamo accorti che la nostra è una situazione addirittura di privilegio. La violenza che incontrano gli altri attivisti è sconvolgente, dai mapuche, ai colombiani, ai filippini. Troppi attivisti rischiano la vita o vengono uccisi… in tanti non sono potuti venire perché non gli è stato concesso il visto, per dire».

Le testimonianze dal Polesine svenduto all’industria petrolifera

Lucia Pozzato racconta la storia della sua terra, il Polesine, nato dal Po. «Dagli anni Cinquanta le estrazioni di gas da terra e mare hanno provocato l’abbassamento del suolo di tre metri e mezzo portando il Polesine sotto il livello del mare, con conseguente pericolo di inondazioni, e risalita del cuneo salino. In pratica, i fiumi per 30-40 km alla foce sono ormai salati, è acqua di mare. Questo causa problemi anche al fragile sistema delle idrovore che vengono sempre più potenziate. Ma fino a quando? Qui ormai è molto difficile coltivare, non c’è acqua dolce nei canali e le radici delle piante, affondando nell’acqua salata, marciscono e si seccano».

«Negli anni Settanta si bloccarono le trivellazioni, perché già allora si capiva a cosa si sarebbe andato incontro. Nella primavera del 2022 ci unimmo nel comitato Polesine no Trivelle. Ora pare che il Delta del Po Veneto sia risparmiato dalle trivelle, ma le prospezioni e le trivellazioni si concentreranno più a Sud, a partire dall’Emilia Romagna, che è già stata sconvolta da alluvioni e dove colpisce la subsidenza. Mentre le spiagge vengono erose dal mare senza sosta».

Al largo del Polesine nel 2009 è stato installato uno dei rigassificatori più grandi d’Europa, il terminale GNL Adriatico, «un’isola di cemento in mezzo al mare, col suo alone sterile di acqua fredda e con ipoclorito». Come se non bastasse, nella primavera del 2025 al largo delle coste di Ravenna sarà ormeggiato un altro rigassificatore, BW Singapore.

Tornando all’esperienza londinese, Pozzato commenta: «Ci siamo scambiati informazioni, una giornalista del Guardian ci ha spiegato le migliori strategie per comunicare con i media, abbiamo raccolto conoscenze e contatti che ci saranno molto utili anche in seguito».

Gli altri Paesi rappresentati al Raduno comunitario per la Giustizia climatica

Dall’Egitto ha partecipato un gruppo di avvocati di comunità locali che stanno intentando cause contro aziende del cemento, chimiche e compagnie petrolifere internazionali. Presente al Raduno comunitario per la Giustizia climatica anche una comunità di Bassora, in Iraq, che quotidianamente affronta l’inquinamento da petrolio e gas.

Dalla Tunisia sono giunti a Londra attiviste e attivisti che denunciano gli incendi devastanti. Fino alla Patagonia, dove le comunità cercano di proteggere il mare argentino contro un progetto di oleodotto offshore. Dall’Uganda sono arrivati tre leader comunitari che contrastano l’espansione del petrolio e del gas (TotalEnergies e l’EACOP), affrontando gli sfollamenti e sostenendo le donne emarginate.

Il Regno Unito, Paese ospitante, è rappresentato dalle comunità impegnate a fermare le trivellazioni nel Mare del Nord. Da molto più lontano sono arrivati gli esponenti delle comunità della Colombia, che chiedono il divieto del fracking e dei giacimenti di petrolio e gas per salvare i fiumi. E di quelle delle Filippine, devastate dai tifoni Haiyan e Rai, che stanno perseguendo cause legali contro TotalEnergies e altre compagnie petrolifere internazionali.

Il Raduno comunitario per la Giustizia climatica vede la testimonianza degli attivisti della Nigeria, che fronteggiano TotalEnergies e Shell, e del Sudafrica, contrari ai test sismici di Shell lungo la Wild Coast per la ricerca del petrolio e del gas. Dal Senegal ha partecipato un attivista di comunità di base che si oppone ai progetti delle multinazionali petrolifere BP, Woodside e TotalEnergies. Mentre dalla Guyana c’è chi supporta le donne contro tutte le forme di discriminazione e violenza, protestando anche contro le operazioni di ExxonMobil.

Insomma, da questo incontro a Londra sta emergendo una rete di attivisti, giornalisti, avvocati e comunità di base che stanno alzando il tiro e si stanno coalizzando per ottenere una vera giustizia climatica globale.