Come si fa la transizione giusta? Tutelando il lavoro
L'Unfccc ha elaborato la linee guida per una transizione ecologica giusta, fatta cioè tutelando lavoratrici e lavoratori
Come costruire una transizione ecologica giusta, a partire dalla tutela di chi lavora? Qual è il percorso che può traghettare l’umanità fuori dalla dipendenza dai combustibili fossili, senza però sacrificare la dignità di milioni di uomini e donne le cui vite professionali sono legate a doppio filo a quelle stesse fonti energetiche? Si può immaginare il domani di un sistema economico basato sulla predazione e sullo sfruttamento, senza che a pagarne il prezzo sia chi già adesso ne è vittima?
La risposta a domande di questo genere non è scontata per una serie di ragioni. Innanzitutto perché serve a smontare tutte le narrazioni che dipingono la transizione ecologica come un pericolo per la stabilità economica delle nostre società. Non è detto, e non deve accadere, che le trasformazioni di cui abbiamo bisogno avvengano sulla pelle e nelle tasche di chi è più debole. Come si fa? Il Comitato di Katowice sugli impatti (Kci), nato in seno alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), ha pubblicato un documento che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe illuminare la strada verso un futuro più equo e sostenibile.
Cos’è la transizione giusta: i sette pilastri
La transizione verso un’economia a zero comporta rischi significativi per chi deve il proprio sostentamento a settori a forte intensità di gas serra. Per questo, non è sufficiente abbassare gli impatti della nostra società sulla crisi climatica. Bisogna farlo senza lasciare indietro nessuno, garantendo una transizione socialmente inclusiva. Da questo punto di vista, diventa focale la definizione proposta dalla Confederazione sindacale internazionale (Ituc). La transizione è giusta se garantisce il futuro e i mezzi di sussistenza di lavoratori e comunità, offrendo lavoro dignitoso, protezione sociale e opportunità di formazione. Basando il tutto sui diritti fondamentali del lavoro e sul dialogo sociale.
Un percorso di questo genere, scrive il Comitato, deve essere sostenuto da sette pilastri. Il primo è la riduzione delle emissioni, che non ammette più ritardi né giustificazioni. Indispensabile poi il coinvolgimento attivo e la responsabilizzazione di tutti gli stakeholder, compresi lavoratori, donne e comunità emarginate. L’inclusione sociale materiale deve tradursi in programmi e progetti di protezione che monitorino e distribuiscano in maniera equa gli impatti del processo. Fondamentali sono poi la trasparenza nella pianificazione e nell’attuazione, con una revisione periodica delle misure adottate, e la solidarietà, il dialogo sociale e la cooperazione tra governi, imprese e società civile. Altrettanto centrale è il riconoscimento come diritti umani del diritto alla salute, al lavoro dignitoso e alla non discriminazione. Il settimo e ultimo pilastro è quello dell’equità e giustizia nei risultati ricercati, sia tra generazioni sia tra le comunità locali e la dimensione globale.
Come agire per una transizione giusta che salvaguardi il lavoro
Il rapporto mette bene in chiaro le azioni cruciali per costruire questo percorso. Effettuare valutazioni di impatto iniziali, misurando con precisione i potenziali effetti di ogni progetto messo in campo, permette di capire come mitigare eventuali effetti negativi sui gruppi più fragili. Il documento invita poi a promuovere consultazioni e in generale un coinvolgimento efficace di tutti gli stakeholder. I governi – continua – hanno un ruolo di leadership nella creazione di lavoro dignitoso e di qualità. Tre le altre azioni presentate come necessarie ci sono la formazione e la riqualificazione della forza lavoro, la diversificazione economica, la protezione sociale, i sistemi robusti di monitoraggio e rendicontazione, i finanziamenti sostenibili e la promozione di partnership.
Il giusto approccio e le buone pratiche da seguire
Non c’è un approccio universale a cui possiamo affidarci per stare tranquilli e sapere che andrà tutto per il verso giusto. Ci sono però una serie di buone pratiche che, messe a sistema, possono indirizzarci. La sensibilizzazione di tutti gli attori; l’avvio formale delle iniziative che aiuti le parti coinvolte a seguirne gli sviluppi; l’integrazione della transizione giusta nella pianificazione dello sviluppo. Così come l’intervento delle istituzioni, attive nell’emanare leggi, incoraggiare le iniziative volontarie da parte delle aziende, negoziare accordi collettivi. Secondo il Comitato, per costruire tutto serve un’autorità per la transizione giusta che coordini e guidi i diversi programmi.
Altro elemento imprescindibile sono gli strumenti di misurazione. È cruciale, scrive il Kci, progettare e implementare sistemi solidi e trasparenti per monitorare, valutare e rendicontare gli impatti delle misure di transizione. Gli indicatori sono di natura diversa: ambientali come la qualità dell’aria e dell’acqua o l’accesso agli spazi verdi; sociali come salute, povertà, occupazione, condizioni di lavoro; economici come l’accesso alla casa, alla mobilità e al cibo.
Transizione giusta e tutela dei posti di lavoro: chi fa cosa
Il Kci raccomanda di finanziare adeguatamente la transizione, evitando la dipendenza da prestiti e integrando questi principi nelle strategie nazionali di sviluppo. Il report mette in fila le diverse pratiche individuando i vari attori che impegnano. Spetta ai governi il compito stabilire piani e fondi nazionali o regionali, creare agenzie dedicate, sviluppare indicatori di monitoraggio, investire nella raccolta dati, promuovere opportunità nel settore delle energie rinnovabili e dell’economia blu e garantire formazione e diritti per i lavoratori vulnerabili.
Le imprese hanno invece il compito di mappare i propri impatti, coinvolgere i lavoratori nel dialogo su ristrutturazioni e piani di riduzione delle emissioni, integrare i piani di transizione nelle funzioni aziendali e collaborare con governi e sindacati. La società civile è preziosa perché può condividere conoscenze, mobilitare finanziamenti, facilitare la diffusione di tecnologie verdi, promuovere la cooperazione locale e assistere le piccole e medie imprese. Ciascuno ha il proprio compito in un processo che può essere realmente efficace e giusto solo se parte da un presupposto fondamentale: la difesa degli interessi delle collettività, e non del privilegio dei singoli.
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