Ecco chi sono i 7 giganti che fanno miliardi con il turismo globale
Tra ospitalità, crociere e resort, c'è un oligopolio di 7 multinazionali in guerra per accaparrarsi l'ultima prenotazione online. E solo una è europea
Un business che coinvolge 1,4 miliardi di turisti che viaggiano ogni anno, per diletto o per lavoro, non può che attrarre molti appetiti imprenditoriali. E però, come spesso accade, il numero di player del settore che davvero fanno la differenza, spostando sia le persone che gli equilibri del mercato, è limitato a pochi. Gigantesche multinazionali dai fatturati che si misurano in diversi miliardi di dollari e producono un impatto planetario, economico, sociale, ambientale corrispondente.
I 7 big player
Sette tra queste possono ben rappresentare il comparto. La tedesca TUI, la francese Accor Hotels (unica big davvero europea), le americane Marriott, Booking, Expedia, Airbnb e Carnival. Concorrenti fino all’ultima camera d’albergo, all’ultima prenotazione online, nelle esperienze turistiche tutto compreso o nei singoli servizi al viaggiatore, dalla bibita al cambio lenzuola.
Padrone di flotte aeree e navali che inquinano come e più di intere città, capaci di impiegare centinaia di migliaia di persone in un settore in cui lavoro nero nero, sfruttamento ed elusione grazie ai paradisi fiscali non sono fenomeni rari da incontrare. Spesso regine anche di disuguaglianza, quando andiamo a spulciare le retribuzioni dei loro amministratori delegati.
1. TUI GROUPTRAVEL PLC
Multinazionale quotata alla Borsa di Londra, Francoforte e Hannover, si autodefinisce compagnia leader nel settore. Opera in 180 Paesi con 1.600 agenzie di viaggio. Si avvale di sei compagnie aeree turistiche con circa 150 velivoli, 380 hotel con oltre 200mila posti letto, 17 navi da crociera. Ha pubblicato nel 2014 la sua strategia di sostenibilità fino al 2020 e vanta circa 27 milioni di clienti l’anno. Nell’esercizio 2018 il gruppo ha denunciato un organico di circa 70mila lavoratori, un fatturato di 19,2 miliardi di euro e un risultato operativo di 1,17 miliardi di euro.
L’azienda ha confermato le possibili ripercussioni negative (fino a 300 milioni di euro nei risultati dell’intero anno 2019) a causa dello stop ai velivoli Boeing 737 Max, dopo gli incidenti accertati a partire da marzo, che hanno frenato le vendite di Pasqua. A maggio del 2019 ha fatto notizia l’ingresso di Dieter Zetsche come Supervisory Board Chairman nella società: l’ex CEO di Daimler AG (il gruppo di Mercedes) era appena andato “in pensione”.
EBITDA 2018: 1,56 miliardi di euro
Indebitamento 2018: 5,96 miliardi di euro
2. CARNIVAL CORPORATION
La maggiore compagnia crocieristica al mondo: da sola occupa il 50% del settore, spesso agli onori della cronaca per gli impatti ambientali e i rischi connessi (Venezia ne sa qualcosa) alla movimentazione di navi grandi come grattaceli. Possiede decine di marchi, tra cui l’italiana Costa Crociere, e una flotta di oltre 100 navi (nel 2016 annunciava di attendere la consegna di 19 imbarcazioni tra 2017 e 2022) che attraccano in 700 porti. Impiega 120mila persone (circa 100mila a bordo) e muove quasi 12,5 milioni di turisti ogni anno, in crescita dal 2007.
Quotata a New York e Londra, ha il suo quartier generale a Singapore dal 2013 e mantiene numerose agenzie in Asia, Cina inclusa. Come tutte le maggiori società americane quotate, anche Carnival deve rendere pubblico il rapporto tra la retribuzione del suo amministratore delegato Arnold Donald e quella mediana dei dipendenti della società, la CEO pay ratio. Una proporzione che Bloomberg calcola in 813:1, evidenziando l’estrema disparità.
Ai primi di giugno 2019 Carnival è stata solerte nell’adeguarsi al divieto dell’amministrazione di Donald Trump di viaggiare verso Cuba, dichiarando lo stop alla rotta delle proprie navi verso l’isola caraibica. La misura intrapresa dagli USA mira a premere sul governo cubano, perché smetta di sostenere il presidente venezuelano Nicolas Maduro.
EBITDA 2018: 5,3 miliardi di dollari (oltre 4 in più del 2016)
Indebitamento 2018: 9,3 miliardi di dollari (erano più di 16 nel 2016)
3. MARRIOTT INTERNATIONAL
Con sede a Bethesda (Maryland, Stati Uniti), è una “azienda familiare” in cui presidente esecutivo e presidente del cda è John Willard “Bill” Marriott Jr. (figlio del fondatore). Nel 2018 ha registrato 21 miliardi di dollari di fatturato grazie a quasi 7mila hotel (erano 4mila nel 2016) in 130 Paesi. Controlla una trentina di marchi differenti e gestisce 1,3 milioni di camere (760mila nel 2016) e impiega circa 700mila persone, tra lavoratori dipendenti e impiegati dalle società collegate.
Ha pubblicato un rapporto in cui manifesta un’attenzione agli obbiettivi di sostenibilità delle Nazioni unite e una roadmap per perseguirli. Ma le azioni monitorate nel documento appaiono complessivamente non troppo ambiziose visto l’impatto sociale e ambientale della compagnia. È diventata leader del settore alberghiero dopo l’acquisto da 14 miliardi di dollari della diretta concorrente Starwood a dicembre 2016, e ha avviato una forte espansione delle proprie attività in Asia nel 2015. Il suo amministrato delegato è Arne Sorenson, e la CEO pay ratio della compagnia è di 374:1.
EBITDA 2018: 3,47 miliardi di dollari
Indebitamento 2018: 9,31 miliardi di dollari
4. ACCOR HOTELS
Gruppo francese con quartier generale a Parigi, è il principale operatore europeo del settore alberghiero. Occupa 285mila persone e include 33 marchi (tra cui Novotel, Ibis, Mercure, Adagio, Mama Shelter, Sofitel, Hotel F1…), dalle catene più economiche a quelle di lusso, per un totale di 4800 strutture (tra proprietà e franchising) e quasi 700mila camere distribuite in un centinaio di Paesi.
Il fatturato 2018 è stato di 3,6 miliardi di euro e, come tutti i grandi gruppi, anche Accor punta sull’Asia-Pacifico per la propria crescita. All’inizio di giugno 2019 ha aperto il suo 1100esimo hotel nell’area, ovvero il Sofitel Beijing Central di Pechino, portando così il numero totale di camere nella regione a 210mila.
La compagnia dedica abbastanza poco spazio ai temi della sostenibilità sociale e ambientale, pur citando la corrispondenza con gli obbiettivi delle Nazioni unite. E mentre può vantare 2 anni di partnership tra 200 dei suoi alberghi transalpini e l’app Too Good to Go, che avrebbe permesso di evitare lo spreco di 28mila pasti, a marzo la società è finita nell’occhio del ciclone in Australia, suo mercato di punta, per un’accusa di discriminazione razziale. Secondo una inchiesta dell’emittente ABC, gli ospiti aborigeni sarebbero stati penalizzati nell’assegnazione delle camere in un hotel del gruppo. E da ciò la multinazionale ha avviato un’indagine interna.
EBITDA 2018: 712 milioni di euro (1,03 miliardi di euro due anni prima)
Indebitamento 2018: 1,2 miliardi di euro (1,48 nel 2016)
5. BOOKING HOLDINGS
Booking.com è il più noto tra i marchi della principale società di servizi online per i viaggi. Una holding americana che oggi prende il nome dal marchio di punta (dopo essere cresciuta come Priceline) e include anche Agoda.com, Rentalcars.com, Kayak e OpenTable. Impiega 24mila persone (erano 15mila nel 2016) e opera in oltre 230 Paesi attraverso servizi in più di 40 lingue. Nel 2018 ha gestito 28 milioni di annunci di soggiorno in alberghi, case e appartamenti per 92,7 miliardi di dollari di prenotazioni e 760 milioni di notti.
Il suo rapporto annuale sulla responsabilità sociale punta soprattutto su temi legati alla parità di genere e allo sviluppo sociale perseguito attraverso donazioni, borse di studio e partnership con organizzazioni di volontariato. Ma la presenza femminile raramente supera il 30% ai livelli di vertice della holding, e il suo amministratore delegato Glenn Fogel percepisce una retribuzione oltre 400 volte superiore alla mediana del gruppo.
EBITDA 2018: 5,7 miliardi di dollari
Indebitamento 2018: 2,36 miliardi di dollari (quasi 10 nel 2015)
6. EXPEDIA
Multinazionale ben nota e specializzata nella prenotazione di viaggi online, sulla sua piattaforma ha superato il milione di proprietà disponibili. Possiede diversi marchi del settore (Hotels.com, Trivago, Hotwire, Travelocity…) e impiega più di 24mila dipendenti, distribuiti in 30 Paesi del mondo. A fine 2018 ha segnato un fatturato di 11,2 miliardi di dollari (8,8 due anni prima) e 352 milioni di notti in hotel vendute (246 milioni nel 2016), per quasi 100 miliardi di dollari di controvalore lordo (+13% sul 2017) delle prenotazioni effettuate. Si appoggia a oltre 500 tratte aeree, dozzine di società di navigazione e autonoleggio, almeno 200 siti internet in 70 Paesi.
Di recente la compagnia ha commissionato e partecipato alla realizzazione di uno studio sul turismo legato al calcio, analizzando comportamenti e destinazione dei tifosi. Manifestando così un diretto interesse verso i grandi eventi sportivi, conscia che il solo turismo sportivo genera ogni anno tra 12 e 15 milioni di arrivi internazionali. L’amministratore delegato di Expedia è Mark Okerstrom vanta una retribuzione complessiva “solo” 194 volte maggiore di quella mediana del gruppo.
EBITDA 2018: 1,97 miliardi di dollari
Indebitamento 2018: 1,24 miliardi di dollari
7. AIRBNB
In termini calcistici si definirebbe un “crack”, ovvero quel giocatore capace di cambiare l’andamento di una gara. Fondata nel 2008, Airbnb si è infatti imposta sul mercato turistico sull’onda dell’entusiasmo per la cosiddetta sharing economy e l’ormai desueto peer-to-peer. Piattaforma mediatrice delle offerte di affitto temporaneo tra privati, gestisce alloggi per ogni gusto e tasca in luoghi del mondo dove gli alberghi – talvolta – nemmeno arrivano. Attualmente garantisce di servire 500 milioni di turisti l’anno in oltre 6 milioni di alloggi. Gestisce soggiorni in strutture in quasi 100mila città e 191 paesi, incluse proposte per 4000 castelli e 2400 case sull’albero.
La principale fonte di reddito di Airbnb è la commissione sulle prenotazioni (tra il 9% e il 15% per ognuna) e le sue performance finanziarie contemplano previsioni di crescita. Il «Financial Times» ha segnato il passaggio tra 2016 e 2017 come momento di svolta nella redditività: il fatturato 2017 sarebbe stato superiore a 3,5 miliardi di dollari, mentre – secondo indiscrezioni – il controvalore lordo delle prenotazioni si sarebbe incrementato del 150% rispetto all’anno precedente. Da allora la crescita è proseguita, tanto che oggi la società viene valutata ben oltre 30 miliardi di dollari (configurandosi come “unicorno” a tutti gli effetti). In quanto società non ancora quotata, Airbnb non è tenuta a comunicare la CEO pay ratio alla Security Exchange Commission americana, né sono resi ufficiali i dati economici principali.
In attesa dell’IPO, quindi, man mano che le ambizioni incalzano, anche la gestione del potere all’interno della compagnia si fa seria. E vittima recente di una guerra interna tra il CEO e cofondatore Brian Chesky e il CFO (Chief Financial Officer, il direttore finanziario) Laurence Tosi, ex di Blackstone Group, è stato quest’ultimo. Silurato a febbraio 2019.
EBITDA 2018: non disponibile
Indebitamento 2018: non disponibile