Deafal, la rete della conoscenza per l’agricoltura organica e rigenerativa
Intervista a Deafal, la ong che promuove l'agricoltura organica e rigenerativa. E ribadisce l’urgenza di cambiamenti strutturali
«Le proteste degli agricoltori in Europa hanno sin qui avuto un merito. Quello di porre sotto i riflettori la crisi strutturale che affligge l’intera filiera agroalimentare nell’Unione europea. Il problema, però, è che queste rivendicazioni indicano un colpevole sbagliato: le strategie del Green Deal e Farm to Fork dell’Unione europea». Comincia così il comunicato di Deafal, l’organizzazione non governativa (Ong) che si propone di promuove e diffondere l’applicazione di metodologie innovative per l’agricoltura e in ambito economico e sociale per la produzione di cibo sano e accessibile a tutti. Generando così una società giusta ed equa.
«Le ragioni della crisi vanno cercate altrove, nei modelli di produzione, distribuzione e sostegno agli agricoltori», prosegue il comunicato. «Dobbiamo essere coscienti del fatto che un numero limitato di grandi gruppi industriali esercita un controllo significativo sul mercato globale delle attrezzature agricole. Sul settore delle sementi e sulla commercializzazione di cereali e altre derrate alimentari. Questo controllo influisce direttamente sui prezzi sia per i produttori che per i consumatori».
Una posizione che Valori condivide e ha ribadito più volte attraverso articoli e interviste. Così, abbiamo chiesto ad Andrea Cattaneo, responsabile della comunicazione della Ong Deafal, di raccontarci chi sono e cosa fanno. Cosa è nello specifico il modello di agricoltura organica e rigenerativa che propongono. Quali sono le difficoltà che incontrano sul loro percorso e, soprattutto, quali le soluzioni a breve e lungo termine per ritornare a un modello agricolo capace di svilupparsi in armonia con l’ecosistema.
Cosa è Deafal, chi ne fa parte e cosa fate come associazione?
Deafal (Delegazione europea per l’agricoltura familiare di Asia, Africa e America latina) è un’organizzazione non governativa senza fini di lucro, impegnata nel migliorare le condizioni di vita dei produttori agricoli e promuovere l’autodeterminazione alimentare delle comunità, oltre alla tutela del territorio e dell’ambiente. Supportiamo la rigenerazione e la cura degli agroecosistemi a sostegno dei diritti e della dignità delle comunità rurali e urbane. In collaborazione con agricoltori, allevatori, cittadini, studenti, docenti, famiglie.
Promuoviamo attività di ricerca, sperimentazione e formazione che mettono in contatto il mondo della ricerca e quello produttivo, in particolare in tre aree. “Cooperazione internazionale” attraverso cui cerchiamo di combattere povertà e disuguaglianze, con programmi di sviluppo rurale rivolti ai piccoli agricoltori del Sud globale. “Educazione alla cittadinanza” in cui formiamo gli adulti di oggi e domani sui temi della sostenibilità ambientale e sociale, della sovranità alimentare e del consumo critico. “Agricoltura organica e rigenerativa” dove promuoviamo un’agricoltura che tutela la biodiversità, rigenera il suolo, rafforza il ruolo degli agricoltori e contribuisce a mitigare i cambiamenti climatici.
Cosa significa agricoltura organica e rigenerativa?
In breve, l’agricoltura organica e rigenerativa (Aor) rappresenta un approccio che si basa sulla rigenerazione del suolo e sull’ottimale nutrimento delle piante, integrando le buone pratiche agronomiche con le conoscenze scientifiche moderne. Oltre alla produzione alimentare, l’Aor si impegna a rigenerare e migliorare la salute del suolo, a conservare la biodiversità, a contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e a favorire lo scambio di conoscenze, promuovendo la rigenerazione delle comunità e dei territori. Così come delle relazioni tra gli esseri viventi.
L’agricoltura organica e rigenerativa mette a disposizione dei produttori tecniche e tecnologie facilmente applicabili in campo, riducendo il ricorso a input esterni e contribuendo ad aumentare il dinamismo dell’azienda e a contenere i costi di produzione. Con questa modalità di lavoro cerchiamo di fare dell’azienda agricola un sistema efficiente dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Possiamo riassumere principi e valori attraverso quattro rigenerazioni: il suolo; gli ecosistemi e la biodiversità; le relazioni tra gli esseri viventi; i saperi.
Quali sono i principali ostacoli contro cui si scontra l’agricoltura organica e rigenerativa?
Innanzitutto l’assenza di politiche efficaci che ne favoriscano l’adozione. A differenza dell’agricoltura biologica, non esiste a oggi una definizione universalmente accettata di agricoltura rigenerativa. Ciò rischia di generare confusione e può prestare il fianco a operazioni di greenwashing. E che ne favoriscano anche l’adozione. Una transizione verso l’agricoltura organica e rigenerativa non si fa dall’oggi al domani. Soprattutto in caso di aziende agricole con suoli impoveriti da anni di agricoltura convenzionale. Rese produttive, tempo e soldi sono le tre variabili fondamentali per l’azienda agricola: un sistema di incentivi che premino la sostenibilità potrebbe portare sempre più agricoltori a scegliere approcci rigenerativi.
E poi la scarsa conoscenza. Ancora oggi nei corsi di agraria si parla troppo poco di rigenerazione. Lo standard è sempre l’approccio convenzionale: aratura, input di sintesi, uso di fonti fossili. L’agricoltura rigenerativa invece richiede una formazione specifica e un cambio di mentalità. Strettamente legata alla scarsa conoscenza e formazione c’è poi la necessità di investire di più nella creazione di rapporti e di progetti con il mondo della ricerca. Crediamo che il nostro lavoro possa facilitare le relazioni tra il mondo produttivo e quello della ricerca, che troppo spesso procedono separatamente, ma che possono trarre grandi benefici da una comunicazione efficace.
Come tutto ciò che riguarda l’ambiente, anche l’agricoltura organica e rigenerativa è predata dalle multinazionali in operazioni di greenwashing. Come difendersi?
Negli ultimi anni importanti aziende della filiera agroindustriale – tra cui Danone, Nestlé, PepsiCo, McCain – hanno lanciato programmi di agricoltura rigenerativa. Dovrebbe suonare strano che l’agroindustria, uno dei sistemi che ha causato e continua a causare perdita di fertilità dei suoli e erosione della biodiversità, parli di agricoltura rigenerativa. E infatti agricoltura rigenerativa e agroindustria sono realtà inconciliabili. Gli approcci rigenerativi mirano a ridurre la dipendenza da agrofarmaci e fertilizzanti sintetici, promuovono la rigenerazione del suolo e sostengono la creazione di reti tra produttori, cittadini e attori locali. Ripensando le logiche di produzione e distribuzione attraverso le filiere corte.
Per difenderci, ma in primis per difendere le aziende agricole virtuose, da questi tentativi di greenwashing, per impedire l’utilizzo improprio del termine e per promuovere un approccio realmente rigenerativo, abbiamo lanciato la campagna “Difendi la rigenerativa”. Questa campagna unisce oltre 160 aziende agricole, enti, associazioni e imprese, e un gruppo sempre più numeroso di cittadini. Per portare l’agricoltura organica e rigenerativa tra i temi dell’opinione pubblica e sui tavoli istituzionali, attraverso eventi, formazioni e altre iniziative.
Ritorniamo agli agricoltori, come vi ponete sulla protesta?
Le proteste degli agricoltori hanno messo in evidenza la crisi strutturale che colpisce il settore primario e l’intera filiera agroalimentare nell’Unione europea. Tuttavia, è importante riconoscere che attribuire le difficoltà del settore agricolo unicamente alle strategie Green Deal e Farm to Fork è una semplificazione eccessiva. Additare il Green Deal come unico responsabile di questa crisi è miope e pericoloso, specialmente considerando che le politiche ambientali sono state influenzate dalle recenti decisioni delle istituzioni europee.
È importante mostrare solidarietà agli agricoltori che affrontano queste difficoltà. Ma dobbiamo affrontare con urgenza le sfide che minacciano la sostenibilità economica e ambientale dell’agricoltura europea. Evitando qualsiasi strumentalizzazione delle proteste agricole a fini politici o per proteggere interessi economici. Serve invece trovare soluzioni che tengano conto di tutte le parti interessate.
Quali sono allora le possibili soluzioni nel breve periodo?
Prima di parlare di soluzioni, occorre avere chiare le cause della crisi, che secondo noi si possono riassumere in cinque punti. Insostenibilità economica: dove il sistema agroalimentare svincola i costi di produzioni dal prezzo di vendita e costringe gli agricoltori a vendere sotto i costi di produzione. Logiche monopolistiche: dove un numero limitato di gruppi industriali controlla l’intera filiera del mercato. Speculazione e pratiche commerciali sleali: ovvero la mancata attuazione delle direttive europee sulla corretta remunerazione. Distribuzione iniqua dei fondi europei: per cui oggi l’80% dei fondi viene assegnato al 20% delle aziende agricole. Cambiamenti climatici: che comportano la perdita di raccolti, con danni economici e aumento della fragilità delle aziende agricole.
Le certezze, alla luce di tutto questo, sono due. La prima è che gli agricoltori europei non possono essere lasciati soli in questo scenario. La seconda è che non esistono soluzioni davvero efficaci nel brevissimo termine, ma sono necessari interventi strutturali. Non sono certo soluzioni efficaci le recenti scelte dell’Unione europea come il ritiro del regolamento Sur sulla riduzione dei pesticidi, il via libera alle Tecniche di evoluzione assistita (Tea) e il rinnovo all’uso del glifosato per altri dieci anni. Come non lo sono le decisioni dei singoli Paesi, come l’Italia che ha proposto di ripristinare l’esenzione all’Irpef agricola per redditi sotto i 10mila euro e la Francia che ha fatto marcia indietro sui tagli alle agevolazioni sul gasolio agricolo.
Il problema è la grande distribuzione
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Quali sono allora le soluzioni sul lungo periodo per un’agricoltura in armonia con la tutela dell’ecosistema?
Bisogna lavorare sulle cause della crisi, avendo chiaro l’obiettivo. Rendere l’agricoltura europea sostenibile sia dal punto di vista ambientale che da quello economico, liberando gli agricoltori dalla attuale situazione di dipendenza dai grandi gruppi agroindustriali e dalle fonti fossili. E riconoscendo un giusto compenso per la loro produzione. In questo senso, le politiche dell’Unione europea sono a nostro avviso cruciali e possono avere un impatto enorme. Certo, riformare la Pac è molto complesso, ma la transizione ecologica non è rinviabile. L’Unione europea dovrebbe identificare e applicare strumenti che garantiscano la redditività delle aziende agricole in questo scenario di riconversione ecologica.
Facciamo alcuni esempi. Modificare i sussidi e la loro assegnazione, favorendo le pratiche di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, e non solo l’estensione dell’azienda agricola. Introdurre politiche di salvaguardia della produzione e della commercializzazione interna, per proteggere dalla competizione con prodotti extra Ue che con standard di sostenibilità inferiori e costano meno. Regolamentare in modo chiaro la filiera, con particolare attenzione alla grande distribuzione. E infine effettuare controlli efficaci per riconoscere e garantire un prezzo equo agli agricoltori europei, eliminando ogni pratica speculativa. Perché ripensare il modello agricolo europeo è necessario. Non possiamo più permetterci di rimandare le scelte.