Manipolazione e disuguaglianza: ecco perché il buyback è pericoloso
L'ipotesi che il buyback manipoli il mercato è controversa. Ma sicuramente fa aumentare il divario tra manager e lavoratori. E danneggia gli azionisti nel lungo periodo
Quello del buyback, il riacquisto di azioni proprie da parte delle società quotate, sembrerebbe a prima vista un gioco a somma positiva. Il prezzo sale, gli azionisti si arricchiscono e gli indici puntano al rialzo. Tutto bene, ma solo in apparenza. Perché la pratica, secondo i critici, ha in realtà un carattere “manipolatorio” e contribuisce, al tempo stesso, alla crescita delle disuguaglianze. Non esattamente effetti di poco conto.
Il recente boom dei riacquisti non passa inosservato. e non è un caso che negli ultimi tempi il tema della sua regolamentazione – se non addirittura della sua abolizione – abbia interessato anche il dibattito politico americano. Le primarie incombono. E con esse, forse, anche il tempo del ripensamento.
Il buyback figlio della crisi del ‘29
Per molti decenni il buyback è stato sostanzialmente illegale. Prima del crack del ’29, ricorda Stephen Mihm, professore di Storia alla Georgia University, il fenomeno era poco diffuso. Ma dopo il tracollo del mercato, molte imprese quotate iniziarono a ricorrere allo stratagemma per ridare ossigeno ai titoli. Nel 1934, la creazione della SEC, la massima autorità di vigilanza sulla borsa americana, stabilì con una certa vaghezza che si trattava di una pratica manipolatoria, capace cioè di alterare illecitamente i prezzi di mercato. Mancava il divieto esplicito, ma prevaleva l’interpretazione “proibizionista” e così le operazioni di riacquisto andarono declinando.
Reagan, Wall Street e i favolosi anni ‘80
All’inizio degli anni ’80 accaddero due cose. Da un lato si affacciarono in borsa i finanzieri d’assalto – gli emuli del re delle obbligazioni spazzatura Michael Milken, per capirci – pronti a mangiarsi le compagnie quotate a discapito del management. E le corporation, che consideravano il buyback la più efficace strategia difensiva, si appellarono ai tribunali. Contemporaneamente, l’ascesa di Ronald Reagan alla Casa Bianca ispirava un clima di progressiva deregulation alla quale la SEC non si dimostrò certo insensibile.
Morale: nel 1982 il riacquisto di azioni proprie da parte delle quotate fu sostanzialmente liberalizzato con l’introduzione della famosa Rule 10b-18, la norma che proteggeva le compagnie dal rischio di essere perseguite per manipolazione di mercato qualora si fossero attenute a una serie di limitazioni, non troppo stringenti, nelle loro attività di trading.
Dì in avanti è stata soprattutto questione di tasse e condizioni monetarie più (tassi alti) o meno (tassi bassi o sostanzialmente nulli) favorevoli. Nel decennio post Lehman, le società dell’indice S&P 500 hanno movimentato 4.700 miliardi di dollari nel dei loto titoli. Apple, Microsoft e Oracle hanno messo in campo da sole oltre un decimo della cifra totale.
Manipolazione di mercato?
Il boom delle operazioni ha contribuito certamente al rally borsistico. Ma basta questo per parlare di manipolazione? Alcune forme di speculazione sono state storicamente sanzionate come forme di abuso. Ma la speculazione in sé, da sola, non è mai sufficiente a configurare un illecito. Il buyback, come si diceva, è oggi legale ma le sue operazioni sono comunque soggette al controllo della SEC che conserva il potere di sanzionare quei comportamenti manipolatori da “abuso di buyback”. Cosa che ad oggi, ricorda ancora Mihm, non è mai avvenuta.
Nel 2003, ha ricordato lo scorso anno William Lazonick, professore emerito di Economia alla University of Massachusetts sulle colonne del New York Times, la SEC si era detta consapevole di come il buyback fosse stato utilizzato per manipolare il mercato azionario. «Alla fine degli anni ’90 – scriveva l’agenzia – è stato riferito che molte aziende stavano spendendo più della metà del loro reddito netto in programmi di riacquisto di massa che avevano lo scopo di aumentare i prezzi delle azioni a livelli molto superiori a quelli che si sarebbero avuti nelle normali circostanze di trading». La SEC introdusse allora un emendamento più restrittivo alla 10b-18. Che non avrebbe frenato, tuttavia, la crescita del fenomeno negli seguenti.
Buyback tra retribuzioni e disuguaglianza
Decisamente meno controverso, nella sua evidenza, è l’effetto distorsivo sulle retribuzioni aziendali. Contribuendo alla risalita dei prezzi delle azioni, il buyback favorisce progressivamente il management, il cui stipendio è determinato in larga parte dalle componenti variabili. Ovvero le stock option e i premi sulle performance azionarie. Il risultato è un aumento del divario tra gli stipendi effettivi dei manager e quelli dei lavoratori delle aziende, un fenomeno in crescita da tempo come segnala, tra gli altri, il rapporto annuale di Equilar, che monitora le 100 public company più ricche d’America. Un altro argomento, insomma, a favore dell’ipotesi di un giro di vite.
«La logica del capitalismo è quella di investire, per questo il buyback riflette disfunzioni del sistema» spiega a Valori Marc Chesney, professore di Finanza all’Università di Zurigo e autore del saggio “Dalla Grande Guerra alla crisi permanente” pubblicato nel 2016. «È troppo spesso – prosegue – un tentativo di manipolazione del prezzo con l’obiettivo di aumentare i compensi dei Ceo che favorisce una pericolosa strategia a breve termine. Vietarlo? Sarebbe eccessivo ma certamente la pratica andrebbe regolata. C’è una bolla speculativa in borsa sia negli Stati Uniti che qui in Europa e il buyback ha certamente contribuito a crearla».
Nel lungo periodo danni anche per gli azionisti
Quello dell’orizzonte temporale è un altro tema decisivo. A patire gli effetti negativi del buyback, infatti, sono anche gli azionisti legittimamente interessati ad ottenere un guadagno, sì, ma di lungo periodo. «Nei giorni che precedono l’annuncio di un buyback, i dirigenti negoziano in media quantità relativamente piccole di azioni: meno di 100mila dollari di valore» spiegava nel gennaio dello scorso anno il commissioner della SEC Robert J. Jackson Jr. «Ma negli otto giorni gli stessi manager vendono in media più di 500mila dollari di titoli ogni giorno. In questo modo traggono benefici a breve termine dall’aumento del prezzo delle azioni creato dall’annuncio di riacquisto». Tutto legale, proseguiva Jackson, ma anche preoccupante: «è la prova ulteriore di come i dirigenti dedichino più tempo al trading di breve periodo che alle strategie per la creazione di valore a lungo termine».