Mazzucato: «Lo Stato può far ripartire l’economia. Investendo, senza fretta»

Per uscire dalla recessione servono investimenti e innovazione. Un nuovo capitalismo paziente, non ancorato ai profitti di breve termine. Per una crescita inclusiva e sostenibile

Mariana Mazzucato (© Mariana Mazzucato)

«Oggi abbiamo soprattutto una crisi di idee. C’è bisogno di crescere, ma non basta. Serve una crescita smart (trainata dall’innovazione, di lungo periodo), inclusiva (con meno disuguaglianza) e sostenibile (da un punto di vista ambientale). Una crescita non basata sulla speculazione, con meno finanza e più economia reale. Il problema è che per avere questo tipo di crescita bisogna avere una visione ampia a livello politico. Cosa che al momento manca». Sono le parole di Mariana Mazzucato, economista italiana di nascita, ma dal curriculum internazionale. Insegna Economia dell’innovazione e del valore pubblico presso l’University College London, dove ha fondato e dirige l’Institute for Innovation and Public Purpose (IPP).

Pubblico o privato – da dove vengono le grandi innovazioni. Marianna Mazzucato al Festival dell’economia 2014

Pronunciava queste parole ben cinque anni fa, al Festival dell’Economia di Trento (nell’edizione del 2014), ma sono perfette anche oggi. Concetti che l’economista ripete spesso, con dati, esempi, casi ogni volta diversi, nei suoi interventi pubblici e nei suoi libri, in particolare ne “Lo Stato innovatore”, pubblicato per la prima volta nel 2013, ma anche in “Ripensare in capitalismo” del 2017,  e nell’ultimo “Il valore di tutto”, del 2018, presentato all’ultima edizione del Festivaletteratura a Mantova.

Investire per uscire dalla recessione

Siamo nel mezzo di una recessione globale. Molte delle economie mondiali, a partire dall’Italia, ma anche la Germania, l’Europa intera e gran parte del mondo, non crescono affatto.

«I governi del Vecchio Continente, Italia inclusa, sembrano incapaci di affrontare il problema principale: la mancanza di investimenti e di crescita», dichiara Mariana Mazzucato.

«Un sistema economico più innovativo, sostenibile e inclusivo è possibile – continua – ma richiede cambiamenti radicali della nostra maniera di interpretare e capire il capitalismo e di concepire le politiche pubbliche».

«Bisogna ripensare l’attuale modello economico. Serve un capitalismo paziente, in cui lo Stato investa in innovazione. Può farlo più dei privati perché non è ancorato all’idea di un profitto di breve termine», spiega Mariana Mazzucato.

Per crescere, per far ripartire l’economia, per uscire dalla crisi o per evitarne un’altra, per l’economista italiana, è fondamentale il ruolo dello Stato, l’unico soggetto che possa davvero investire in innovazione.

Serve uno Stato innovatore

«Il mio libro “Lo Stato innovatore” – spiegava Mariana Mazzucato al Festival dell’Economia – in inglese è intitolato The Entrepreneurial State, perché la parola “entrepreneurial”, imprenditore, in inglese riflette l’idea del rischio che ci si assume. Nel caso di molte innovazioni l’unico soggetto che può assumersi il rischio di investire è proprio lo Stato».

«Molti vedono lo Stato come un dinosauro, lento e pesante, intrappolato dalla burocrazia, dalle lobby, del nepotismo e dalla corruzione – continua la Mazzucato – certo, questa può essere una realtà, ma non è l’unica. Dipende dalla visione politica sottostante».

«I politici devono pensare in grande, a una politica economica che porti innovazione».

«La colpa è anche degli economisti. Molti imputano allo Stato un ruolo limitato: o quello di “facilitatore” del settore pubblico, attraverso investimenti trasversali, ma di base, che possano creare le condizioni per l’innovazione: investimenti in educazione, infrastrutture, in ricerca di base. Oppure il ruolo di risolutore dei fallimenti di mercato: cioè laddove il mercato non ha interesse a investire, perché le imprese private non possono vedere profitti nel breve termine, interviene lo Stato. L’esempio tipico è la ricerca di base. Tutti sono d’accordo che lo Stato debba investire in ricerca. Ma può fare molto di più».

«L’idea comune è che lo Stato sia necessario per creare le condizioni di base (educazione, ricerca infrastrutture), ma che si debba lasciare il resto al settore privato, ai veri “rivoluzionari”. Si pensa che il dinamismo, la creatività, l’innovazione appartengano al mondo dell’impresa. Invece lo Stato potrebbe essere il vero “rivoluzionario”, perché in molti casi è l’unico che possa davvero finanziare l’innovazione».

Il governo: investitore, amante del rischio, innovatore. Mariana Mazzucato al TED 2013

Dietro il successo della Silicon Valley: l’intervento pubblico

Basta pensare alla Silicon Valley, come esempio di un luogo (ce ne sono altri al mondo, ma questo è particolarmente rappresentativo) dove l’innovazione ha trainato la crescita. Qual è il segreto del suo successo? Si chiede Mariana Mazzucato. «Uno Stato che investe in innovazione».

«Nel mio libro Lo Stato innovatore parlo delle più grandi rivoluzioni tecnologiche, che hanno cambiato l’economia e hanno creato crescita per anni. Tutte hanno avuto uno Stato dietro che ha fato molto più che “aggiustare i fallimenti” o investire in ricerca di base (che comunque restano compiti importanti). Lo Stato è intervenuto lungo tutta la catena di creazione dell’innovazione».

Lo Stato che interviene lungo la catena dell’innovazione (nel caso della Silicon Valley). Dal libro “Lo Stato innovatore” di Mariana Mazzucato

«Le principali agenzie pubbliche Usa hanno finanziato le più grandi innovazioni tecnologiche: l’NSF (National Science Foundation) ha finanziato l’algoritmo di Facebook; DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency, l’Agenzia per i progetti di ricerca avanzata di difesa) ha finanziato Internet,  NIH (National istitute of health) ha creato la biotecnologia».

«Voglio sfatare il mito della contrapposizione tra un settore privato innovativo e dinamico, perché in grado di pensare fuori dagli schemi, e un settore pubblico grande e pesante, che affossa l’economia. Biotecnologie, nanotecnologie, internet, energie pulite: sono settori in cui lo Stato fa la differenza».

«Basta pensare allo smartphone: tutto quello che lo rende intelligente (il Gps, le interfacce touche e lo stesso Internet), la maggior parte della tecnologia racchiusa al suo interno, è stato sviluppato grazie a finanziamenti pubblici dello Stato americano».

Austerità addio

Questa contrapposizione tra pubblico e privato ha anche enormi implicazioni sulle scelte riguardo la spesa pubblica: sul se, come e quando tagliarla. Nel volume Ripensare il capitalismo, l’economista italiana, insieme al suo collega Michael Jacobs, critica la ricetta liberista che, sostengono, si è rivelata inefficace quando non sbagliata. La combinazione di austerità nei conti pubblici, riduzione del peso dello Stato nell’economia, abbassamento della pressione fiscale e uso distorsivo delle stock option come incentivo per i manager avrebbe peggiorato, secondo i due autori, la situazione. Invece di essere una soluzione «sono parte del problema: difetti strutturali che devono essere corretti».

Per i due autori lo Stato deve tornare a spendere, non in spesa corrente, ma facendo investimenti di lungo periodo e finanziando la ricerca nelle grandi frontiere tecnologiche. Lo sviluppo di queste tecnologie ha delle ricadute dirette e indirette sulla crescita economica, favorendo a cascata la nascita di nuove idee e di nuove imprese. Mariana Mazzucato cita, accanto alla Silicon Valley, anche un esempio virtuoso in Europa: il Cern di Ginevra che, oltre ad aver contribuito alla ricerca scientifica con fondamentali scoperte nell’ambito della fisica delle particelle, ha anche inciso fortemente sulla nostra vita quotidiana attraverso l’invenzione del Web che ha reso internet facilmente navigabile dagli utenti.

Un “patto” tra Stato e impresa

«Nei pochi Paesi (perché sono pochi, e tra loro non c’è l’Italia) che sono riusciti a creare una crescita trainata dall’innovazione, inclusiva e sostenibile, “smart innvation led growth” – spiega Mariana Mazzucato – la finanza pubblica ha investito in modo “paziente”, strategico e di lungo termiche».

«Bisogna anche scegliere le imprese su cui investire – continua l’economista – imprese che facciano vera innovazione. E ci deve essere un “patto” tra Stato e imprese: lo Stato deve investire, ma non può essere il solo. Anche le imprese devono farlo, in innovazione».

«Pubblico e privato devono co-investire nelle nuove opportunità per rendere un’economia competitiva».

Naturalmente per effettuare investimenti di questa entità servono risorse, che vanno recuperate con la tassazione. «Invece di abbassare le tasse – propone Mariana Mazzucato – queste andrebbero rimodulate e rese più eque per favorire il lavoro e gli investimenti in capitale umano (in formazione), necessari per ridurre le diseguaglianze e fornire alle imprese quelle competenze che sono fondamentali per la loro competitività».