Obbligazioni negative, il “gioco del cerino” rischioso per risparmi e pensioni

I bond con rendimenti sottozero superano il Pil dell'Eurozona: chi li emette non paga interessi ma li incassa. Un paradosso apparente che nasconde molti pericoli

Nicola Borzi
Nicola Borzi
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Ben 17 trilioni di dollari, ovvero 17mila miliardi di dollari che, al cambio attuale, fanno poco meno di 15.500 miliardi di euro. È il valore di tutte le obbligazioni in circolazione sui mercati mondiali che in questo momento hanno rendimento nominale negativo:

che cosa significa? che gli investitori che acquistano questi titoli di debito e li mantengono sino alla scadenza sono sicuri che dovranno registrare una perdita.

Si tratta del 30% di tutti i bond “investment grade” (con rating giudicato “degno di acquisto”, a livello BBB o superiore) in circolazione a livello mondiale o, se preferite, questo ammontare supera di un terzo quello del prodotto interno lordo realizzato l’anno scorso dall’intera Eurozona.

Di questa montagna di soldi, secondo gli ultimi dati aggiornati a fine agosto, 332,4 miliardi di dollari riguardano obbligazioni nordamericane, di cui 225,9 emesse negli Usa e 100,5 in Canada, mentre altri 688,6 miliardi di dollari fanno capo ad altri emittenti, di cui 596,1 a organismi internazionali o sovranazionali, 74 miliardi a emittenti australiani e 18 a quelli della Nuova Zelanda. Ci sono poi 7.300 miliardi di dollari sono i bond a rendimento negativo emessi dal Giappone e da società giapponesi. Ma la quota maggiore, 8.700 miliardi di dollari, faceva capo a emittenti europei: 2.300 miliardi alla Francia, 2.100 alla Germania, 890,6 miliardi alla Spagna, 605,5 all’Olanda, 454,7 all’Italia, 415,2 al Belgio, 306 alla Svizzera, 300,3 all’Austria, 283,7 alla Svezia e via calando.

Ma perché un investitore dovrebbe comprare un titolo finanziario sapendo dal principio che ci perderà? E cosa si rischia a livello globale?

Come funzionano i rendimenti negativi

Supponiamo di essere tra coloro che a luglio, in una delle ultime emissioni di titoli della Germania, abbiano comprato Bund decennali (i titoli “benchmark”, ovvero quelli di riferimento, del debito pubblico tedesco) pagandoli sopra la parità, al presso di emissione di 102,64 euro per un valore nominale di 100 euro. Se costoro manterranno l’obbligazione sino alla sua scadenza, nel luglio del 2029, tra 10 anni riceveranno indietro 100 euro rispetto ai 102,64 euro pagati.

Poiché questi investitori hanno acquistato l’obbligazione per un valore superiore al suo valore nominale di rimborso, se durante la vita del titolo l’ammontare totale degli interessi che l’obbligazione pagherà loro sarà inferiore al premio (2,64 euro) che costoro hanno pagato all’emissione, questi investitori perderanno denaro.

L’attualizzazione di questa perdita, calcolata sulla base del prezzo, verrà espressa sotto forma di un rendimento percentuale annuo negativo. In effetti, si tratta di un sovvertimento della situazione normale nella quale se io ti presto dei soldi, tu paghi a me un interesse e, al termine del prestito, mi rendi il mio capitale. In questo caso, invece, non solo io ti presto dei soldi ma io ti pago un interesse.

Tu, che ottieni i soldi da me, ottieni pure un interesse da me per aver raccolto i miei soldi e al termine del prestito mi rendi sì il mio capitale, ma decurtato dall’interesse che nel frattempo io ti ho pagato.

Un mondo apparentemente capovolto e molto, molto rischioso. Anche perché spinge tutti, comprese società private e Paesi poco affidabili, a indebitarsi emettendo obbligazioni (tanto potranno guadagnare gli interessi negativi) e mette chi deve trovare rendimenti per poterli distribuire ai propri clienti (come i fondi pensione o i fondi comuni) nella condizione di doversi sobbarcare rischi sempre crescenti per trovare e acquistare titoli a rendimenti positivi.

Perché c’è chi investe in titoli a rendimento negativo

Per quale motivo gli investitori sono disposti a pagare un premio – e alla fine se nulla cambia a subire una perdita – a coloro ai quali affidano il loro denaro? Le motivazioni sono numerose ma in sostanza si riducono ad una: perché hanno bisogno dell’affidabilità e della liquidità che offrono titoli di Stato e obbligazioni societarie di alta qualità. Dunque sono disponibili a pagare un prezzo per avere la garanzia che quei soldi saranno loro rimborsati e che non ci saranno rischi di default, ovvero che in nessun caso il debitore non rimborserà loro il capitale versato.

In una situazione di instabilità finanziaria e di crisi di fiducia dei mercati, i grandi investitori come fondi pensione, assicurazioni e istituti finanziari possono avere pochi altri strumenti finanziari apparentemente sicuri (e anche apparentemente molto liquidi) come le obbligazioni in cui conservare la propria ricchezza.

Dietro il paradosso c’è la speculazione

In realtà, il paradosso di fondi pensione, assicurazioni e investitori istituzionali, come i fondi comuni, che acquistano obbligazioni “in perdita” è solo apparente.

Tutti questi investitori fanno operazioni di trading, cioè di compravendita serrata, di questi titoli. Il loro obiettivo (e la loro speranza) è che il prezzo di queste obbligazioni continui a salire nel tempo, rendendo i rendimenti (che nei titoli a reddito fisso sono inversamente proporzionali al prezzo) sempre più negativi. Se, per restare nell’esempio citato, hanno comprato il Bund tedesco scadenza luglio 2029 all’emissione al prezzo di 102,64 euro, sperano che il prezzo salga e che il titolo rimanga sufficientemente liquido (cioè scambiato) da poterlo rivendere a un altro investitore a 103 o 104 euro o anche più.

Un cerino che passa di mano in mano

A luglio, l’asta dei Bund tedeschi da 4 miliardi di euro aveva mostrato un rendimento negativo calcolato all’emissione dello 0,26% nel caso si tenessero i titoli decennali sino alla scadenza del luglio 2029, a un prezzo di 102,6 centesimi all’euro. Quel Bund è ora scambiato a un prezzo di 106,9, il che significa che chi lo ha comprato all’emissione, se lo vendesse ora, realizzerebbe un rendimento del 4% circa in soli due mesi grazie al pure aumento di prezzo. Questo è quello che gli statunitensi chiamano gioco dei “bagholders” (portaborse) è uno dei motivi per i quali c’è gente che compra titoli a rendimento negativo.

Gli investitori che comprano obbligazioni a rendimento negativo stanno insomma scommettendo sul fatto che il prezzo dei bond continuerà a scendere e, in ultima analisi, scommettono sul fatto che in futuro potranno trovare altri “portaborse” disponibili a prendersi carico di questa speculazione (e di questo rischio). È come se si passassero l’un l’altro un cerino.

Altre cause: la fuga verso la sicurezza

Quella della speculazione sui rialzi dei prezzi dei mercati obbligazionari non è l’unica motivazione per la quale nel mondo ci sono investitori che stanno pagando a Stati e imprese gli interessi sui prestiti per 15.500 miliardi di euro che hanno fatto loro. Vi sono altre tre ragioni principali per cui c’è chi decide di partecipare a questo gioco.

Quando si avvicinano momenti di crisi o di recessione, come pure di tensioni geopolitiche, gli investitori scappano in cerca di porti sicuri, in quello che tecnicamente viene definito “flight to quality”, “fuga verso la qualità” degli strumenti finanziari. Qualità che è misurata innanzitutto sulla loro sicurezza. Nei momenti di difficoltà dei mercati, i titoli di Stati o aziende giudicati “sicuri”, anche se a rendimenti negativi, sono considerati “safe haven”, porti tranquilli.

La copertura dai rischi di cambio

C’è poi la funzione dei titoli a rendimenti negativi di copertura contro i rischi di cambio: gli investitori statunitensi sono spesso pagati per coprirsi dai rischi delle fluttuazioni delle valute estere, perché i tassi di interesse Usa sono ancora molto più elevati rispetto a quelli dell’Eurozona o del Giappone.

Rendimento titoli Stato USA nell’ultimo anno. FONTE: tradingeconomics.com

Negli Stati Uniti il rendimento dei titoli di Stato a 10 anni è dell’1,8%, mentre per la stessa scadenza i titoli di debito pubblico della Germania i tassi sono a -0,5% e in Giappone sono pari a -0,2%.


Rendimento titoli Stato tedeschi nell’ultimo anno. FONTE: tradingeconomics.com

La copertura valutaria creata dall’acquisto di titoli emessi in euro, anche se a rendimento nominale negativo, può così fornire un rendimento annualizzato (positivo) del 3% per gli investitori statunitensi. Questo in gergo finanziario si chiama carry trade, ovvero indebitarsi in valute e titoli a rendimenti basso per offrire denaro o comprare titoli a rendimento maggiore.

Il gioco sulla “curva dei rendimenti”

Un ultimo motivo, ancora più tecnico, è quello di “scommettere” sulla pendenza della “curva dei rendimenti” (il grafico del rendimento dei titoli in funzione della loro durata): più questa curva è ripida, anche per i mercati obbligazionari a rendimento negativo di Germania e Giappone, più è ampia la differenza tra rendimenti a breve termine e rendimenti a più lungo termine.

Ad esempio, un trader potrebbe acquistare un’obbligazione a 3 anni con rendimento negativo e venderla dopo un anno. Poiché per i titoli a tasso fisso i prezzi si muovono nella direzione opposta rispetto ai rendimenti, a parità di condizioni il prezzo dell’obbligazione a 3 anni dovrebbe essere superiore, per esempio, a quello di un’obbligazione a 2 anni.

Così, finché i rendimenti per le obbligazioni a breve termine sono più negativi rispetto a quelli delle obbligazioni a più lunga scadenza, il prezzo delle obbligazioni a lungo termine dovrebbe generalmente aumentare man mano che si avvicina alla scadenza.

Ma la “bolla obbligazionaria” ha rischi enormi

Sebbene alcuni osservatori insistano che non esistono rischi nella epidemia di obbligazioni a rendimenti negativi, altri invece mettono in guardia gli investitori sul fatto che fare soldi “abbassando la curva dei rendimenti” è solo una strategia a breve termine e che, in questo gioco speculativo, i trader devono vendere costantemente le obbligazioni molto prima della scadenza, perché i titoli saranno negoziati solo alla pari quando scadranno.

In questo scenario, apparentemente implausibile, il debito globale continua a crescere inesorabilmente mentre i tassi di interesse nominali crollano.

Ma il fenomeno dei rendimenti negativi sta alimentando una pericolosissima bolla obbligazionaria, in cui chi scommette deve solo sperare che i prezzi dei bond continuino a salire, e dunque i rendimenti ad andare sempre più in negativo, perché se invece la tendenza si invertisse e i prezzi scendessero, con il ritorno in positivo dei rendimenti, il mercato farebbe saltare tutti coloro che hanno scommesso sui rialzi. Tra questi ci sono fondi pensione, assicurazioni, investitori collettivi come i fondi comuni. Tutti costoro continuano a sperare di trovare sempre un altro “bagholder”, un nuovo “portaborse”, che sia disponibile a comprare a un prezzo più alto il cerino dei bond a rendimento negativo. Ma nulla, nella natura e in finanza, può durare all’infinito.