Immobiliare: la vera bolla si chiama disuguaglianza
Nel mondo, i prezzi degli immobili salgono più dei salari. Nelle maggiori città la casa è un sogno proibito che aumenta tensioni sociali e iniquità
Partiamo da un presupposto: quella di una bolla immobiliare devastante pronta a scoppiare generando il caos sulla falsariga di quanto accaduto tra il 2007 e il 2008 è, ad oggi, un’ipotesi priva di reale fondamento. È vero, i “derivati della crisi” stanno tornando in auge. Ma i loro volumi di mercato restano infinitamente più bassi rispetto al picco di dodici anni fa.
Lo scorso anno i creditori USA hanno cartolarizzato 70 miliardi di dollari di mutui. Ovvero trasformato i crediti in liquidità emettendo titoli derivati che hanno come sottostante i crediti in essere. Nel 2007 la cifra sfondava la soglia dei mille miliardi.
Aggrappati ai tassi zero
Le condizioni monetarie, inoltre, sono decisamente espansive e promettono di restare tali a lungo. Tassi bassi, anzi a zero, che garantiscono di conseguenza mutui low cost. Come dire, una manna per i debitori. Il cui rischio insolvenza – recessione permettendo – potrebbe mantenersi relativamente basso. Scongiurando così l’ipotesi del crollo dei prezzi (attraverso il consolidato schema default-pignoramenti-stretta creditizia-eccesso di offerta di abitazioni).
Una cosa però è certa: pur senza eccessivi allarmismi il mercato immobiliare resta pur sempre un osservato speciale. E i problemi, in questo senso, non sono certo di poco conto.
Boom immobiliare
Dopo la caduta libera che ha preceduto il tracollo Lehman, il settore immobiliare globale ha conosciuto una ripresa di lungo periodo. A partire dal 2016, segnala il Global Real House Price Index del FMI, un indicatore ponderato per l’inflazione che descrive l’andamento del settore su scala mondiale, i prezzi medi delle abitazioni nel Pianeta hanno superato il picco pre crisi ispirando una tendenza al rialzo tuttora presente.
Gli ultimi numeri diffusi dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (Bank of International Settlements, BIS) parlano chiaro. nel primo trimestre del 2019 i prezzi degli immobili residenziali sono cresciuti nel mondo del 2,1% su base annuale. A trascinare il rialzo sono soprattutto i mercati emergenti dove la risalita è stata del 2,6% contro l’1,5% delle economie avanzate.
Il fenomeno è particolarmente evidente in Cina e Messico, segnala la BIS, mentre Brasile, Australia e Turchia registrano i cali più significativi. In definitiva, i prezzi del comparto immobiliare dei mercati avanzati superano del 18% i livelli registrati allo scoppio della crisi. Quelli rilevati nei mercati emergenti segnano un complessivo +14%. I Paesi che hanno sperimentato i maggiori rialzi sono India, Canada, Germania e Stati Uniti. In Russia e in Italia, per contro, i valori di mercato restano «significativamente al di sotto del picco 2007-09».
Salari stagnanti
Il vero problema, però, è dato dal valore “relativo” dei prezzi stessi. Nell’ultimo quinquennio, sottolinea tra gli altri il FMI, nella maggior parte delle economie avanzate i prezzi delle case sono cresciuti in misura maggiore rispetto ai salari.
In molti Paesi, in altre parole, la casa di proprietà diventa sempre più un lusso esasperando così la disuguaglianza sociale. Ovvero aumentando il divario tra chi accumula una crescente rendita immobiliare e chi non può permettersi un’abitazione. A Hong Kong, sottolinea Bloomberg (ripresa a sua volta dal quotidiano di Singapore Business Times) un lavoratore qualificato del terziario dovrà lavorare 22 anni per poter pagare il prezzo di un appartamento da 60 metri quadri in un quartiere nei pressi del centro, contro i 12 anni che sarebbero stati necessari un decennio prima.
E il fatto è che una crescita dei prezzi eccessiva in relazione al reddito disponibile rappresenta da sempre un sintomo di bolla immobiliare, non diversamente da altri fattori di rischio come un eccesso di credito e un boom delle costruzioni. Nell’ultimo quinquennio, ricorda ancora Bloomberg, il valore di mercato delle abitazioni nelle maggiori città del Pianeta segna un preoccupante +35%. «In molte aree – scrive l’agenzia – i redditi non stanno salendo abbastanza velocemente per tenere il passo con i prezzi».
Hong Kong, Monaco e le altre
I dati sono contenuti nell’ultimo rapporto diffuso nel settembre del 2018 da UBS. L’indagine, alla base dell’elaborazione dello UBS Global Real Estate Bubble Index, si concentra sulla valutazione dei prezzi in alcune delle principali città del Pianeta. L’indice valuta la distanza tra il prezzo medio registrato nel mercato e quello suggerito dai fondamentali (il cosiddetto fair value). Al crescere del divario a favore del primo aumenta il rischio bolla. Guardando all’indice, i rischi maggiori di un eccesso di speculazione al rialzo si registrano ad Hong Kong, seguita da Monaco di Baviera, dalle canadesi Toronto e Vancouver, dalla solita immancabile Londra e da Amsterdam. Pur non rientrando in territorio bolla, ad evidenziare rischi sono anche Stoccolma, Parigi, San Francisco, Francoforte e Sidney.
Nel 2018, comunque, il trend ha fatto registrare una certa frenata. I prezzi ponderati per l’inflazione sono aumentati in media del 3,5% «molto meno che negli anni precedenti, anche se ancora al di sopra della media decennale».
Insomma, rileva UBS, «le prime crepe nelle fondamenta del boom cominciano ad apparire: i prezzi delle case sono diminuiti nella metà delle città che erano state classificate come a rischio nello scorso anno tra cui Londra, Stoccolma e Sydney che hanno perso oltre il 5% in termini reali». L’accesso alla proprietà, in ogni caso, resta per molti una chimera. «La maggior parte delle famiglie non può più permettersi di acquistare immobili nei principali centri finanziari – conclude UBS – a meno di non ricevere una cospicua eredità».