Italia interna, il fronte più caldo del mercato immobiliare
Il calo demografico e l’assenza di manutenzione sul patrimonio edilizio hanno fatto esplodere le case invendute. I prezzi crollano: -35% rispetto al 2008
«Ci sono campi di sabbia nell’Italia interna ancora tutta da bonificare». Se si parafrasa la canzone di Ivano Fossati, datata 1996, si scopre che le aree intermedie, periferiche e ultraperiferiche del Paese rappresentano il 53% dei Comuni italiani (4.261), il 23% della popolazione censita (oltre 13,5 milioni di abitanti) e più del 60% del territorio nazionale. Sono aree «significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali», nelle quali si è sentito in modo ancora più pesante l’aumento della popolazione anziana (65 anni e più), che è quasi raddoppiata tra il 1971 e il 2011.
Aree spopolate e povere
L’arrivo degli immigrati ha solo in parte mitigato queste dinamiche demografiche. Quello che ne è stato più colpito è il patrimonio immobiliare e produttivo: negli ultimi trent’anni la superficie agricola utilizzata (Sau) è fortemente calata per l’abbandono dei terreni specie nelle aree montane periferiche e ultra-periferiche, con le foreste aumentate a oltre i 10 milioni di ettari, più che raddoppiate dal 1948, e per oltre l’80% situate nelle sole aree interne.
Invecchiamento, abbandono dei giovani, spopolamento hanno fatto crollare il reddito imponibile che nelle aree interne nel 2010 vedeva una media procapite inferiore del 18% alle zone centrali del Paese. La differenza aumenta spostandosi da Nord a Sud: in Valle d’Aosta e Veneto è inferiore al 10% mentre superano il 20% in Basilicata, Sicilia e Lazio.
Lo spopolamento è un fenomeno che pesa sui piccoli comuni, in continuo declino dal 1998 con un’accelerazione negli ultimi anni. Secondo l’Istat tra il 1998 e il 2016 i piccoli centri hanno visto la popolazione calare di quasi 700mila persone, -6,5%.
Vicini al “non ritorno demografico”
Nelle aree interne, la popolazione è generalmente molto anziana: dove gli over 65 superano il 30% della popolazione, si è oltre il punto di “non ritorno demografico”. Solo una fortissima immigrazione può riavviare un processo di vitalità delle comunità. Poiché le case invecchiano con i loro abitanti, si crea uno stock di abitazioni sovradimensionato rispetto alle esigenze che non hanno manutenzione: ne deriva un imponente degrado del patrimonio abitativo.
Il fatto è che gli investimenti privati nel settore edilizio privilegiano le aree forti del Paese, dove ancora funziona la rendita immobiliare. Il patrimonio immobiliare invenduto (circa 1,5 milioni di alloggi secondo il censimento Istat del 2011 reso noto nel 2014) ha fatto crollare i valori degli immobili nelle aree interne tra il 30 e il 40% rispetto al 2008, anno d’inizio della crisi.
7 milioni di case vuote
Secondo il censimento immobiliare Istat del 2011, su 31,2 milioni di case ve ne sono 7,1 milioni, il 22,7%, vuote o occupate solo da persone non residenti. Tra queste ci sono le seconde case che si concentrano in alcune regioni: Valle d’Aosta (50,1%), Calabria (38,8%), Molise, Provincia autonoma di Trento (37,1%). Gli edifici cadenti, in rovina o in costruzione sono quasi il 13% in Valle d’Aosta e oltre il 9% in Abruzzo e in Calabria. Il 17% degli edifici non utilizzati sul totale nazionale si trova in Sicilia, il 9,3% in Calabria e l’8,4% in Campania.
A questi problemi tenta di rispondere la Strategia nazionale per le aree interne (Snai), un programma della politica regionale che collega lo sviluppo dell’intera Italia da quello delle aree interne. La Snai è stata elaborata dal settembre 2012 ed è diventata una delle chiavi della politica regionale di coesione 2014-2020. La Strategia punta sullo sviluppo intensivo, con l’aumento del benessere e dell’inclusione sociale, sullo sviluppo estensivo, con l’aumento della domanda di lavoro e dell’utilizzo del capitale territoriale, per creare crescita e inclusione sociale.
Un viaggio nell’universo dei Comuni e il loro ruolo, in quanto punto qualificante e innovativo della Strategia Nazionale per le aree interne. https://t.co/H9YpYXG715 pic.twitter.com/oXkFMyEDsE
— Antonello Picucci (@AntoPicucci) January 14, 2020
«Una grande questione nazionale»
Il punto di caduta è la realizzazione dell’inversione delle tendenze demografiche. Il tutto con l’utilizzo dei fondi europei (Fesr, Fse e Feasr) e il sostegno ad alcuni servizi essenziali (salute, istruzione e mobilità). Il tutto passa per una serie di azioni, specie sul fronte della valorizzazione delle risorse naturali, culturali e del turismo sostenibile e delle filiere locali di energia rinnovabile.
Sul tema si è concentrato anche un corposo saggio a più mani (600 pagine) pubblicato da Donzelli a dicembre 2018, “Riabitare l’Italia – Le aree interne tra abbandoni e riconquiste”, a cura di Antonio De Rossi, architetto e ordinario di Progettazione architettonica e urbana, direttore dell’Istituto di architettura montana al Politecnico di Torino e della rivista “ArchAlp”.
Un’altra Italia che soffre di più
Secondo il rapporto, l’Italia interna è «una grande questione nazionale» che va analizzata su quattro dimensioni. La prima è «l’infragilimento di questi territori e delle comunità che li abitano», la seconda sono «i puntuali fenomeni di reinsediamento a macchia di leopardo: nuovi montanari, inedite forme di turismo, agricoltura e sviluppo locale, arrivo di stranieri, ma anche e soprattutto sperimentazioni di pratiche, dalla riattivazione e rigenerazione dei luoghi a base culturale fino alle cooperative di comunità che elaborano forme altre e auto-organizzate di welfare».
C’è poi la questione delle politiche pubbliche per queste aree, a partire dalla Snai, per chiudere con l’analisi delle discipline settoriali che impattano sul tema. «Si scopre così un’altra Italia, che partecipa pienamente alla sorte comune del Bel paese ma che soffre di più e che sta provando a riorganizzarsi con risposte complesse e originali. Un’Italia tutta da riabitare, nel vastissimo e sovente degradato patrimonio edilizio come nei grandi ecosistemi, che necessita di azioni e politiche di selezione perché è evidente che non tutto si può salvare e riattivare», conclude De Rossi.