L’indissolubile legame tra nucleare civile e militare
Storicamente, il nucleare civile è sempre stato subalterno rispetto a quello sviluppato per le armi. E oggi la situazione non è cambiata
A margine dei Rencontres économiques d’Aix, la ministra della Difesa francese Florence Parly, riferendosi alla tassonomia (Taxonomy Act) con cui l’Unione europea intende creare un linguaggio comune in tema di finanza verde, ha dichiarato: «Dire che il nucleare è il male e che le attività di difesa non debbano essere sovvenzionate da istituti finanziari e banche, come accade per la pornografia, è scioccante!».
Il braccio di ferro in Europa sul nucleare
Il 21 aprile 2021 la Commissione europea ha adottato la citata tassonomia per orientare gli investimenti verso attività coerenti con gli obiettivi del proprio Green Deal (ad esempio per quanto riguarda la neutralità climatica nel 2050). E che non danneggino in modo significativo (do not significant harm) gli obiettivi ambientali della tassonomia stessa. Ovvero mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, sostenibilità e protezione dell’acqua e delle risorse marine. E ancora transizione verso l’economia circolare, prevenzione e controllo dell’inquinamento, tutela della biodiversità e degli ecosistemi.
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La Commissione aveva incaricato nel 2020 un Technical Expert Group on Sustainable Finance (TEG) di condurre l’analisi su quali fossero i settori più convenienti su cui investire, ricevendone un report in cui si elencano attività sostenibili low carbon.
Stati membri la cui economia è fortemente dipendente da fonti energetiche fossili, avvalendosi di un controverso parere del Joint Research Centre (JRC) al riguardo, si sono però opposti all’esclusione di gas e nucleare dalla definizione di «fonte idonea alla transizione energetica». Per cui, al fine di non creare impasse sull’insieme della nuova norma, la decisione in materia è stata posticipata a fine 2021.
L’evoluzione delle rinnovabili è tale da renderle più convenienti
Per quanto concerne il ruolo del gas naturale nella transizione, il dibattito scientifico e le regole della termodinamica stanno chiarendo come l’urgente defossilizzazione di economia, finanza e società – disegnata dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite quale unica strategia per contrastare la crisi climatica – ne possa al più consentire un utilizzo limitato e nel breve termine. A differenza di quanto postulato dalle oil&gas companies, con costose azioni di lobbying e greenwashing volte a convogliare consensi e ingenti investimenti (tendenzialmente pubblici) in infrastrutture a lungo termine. Da gasdotti a centrali termoelettriche e rigassificatori, da reti e pozzi per il Carbon capture&storage (CCS). Fino alle sorti “magnifiche e progressive” per un idrogeno da verde a blu a grigio e marrone…
Sempre richiamando, comunque, come il più potente motore di innovazione sia la spesa militare. Nulla in contrario circa necessari sforzi di ricerca e sviluppo in tali settori, fusione nucleare inclusa. Ma l’evoluzione in tema di rinnovabili, efficienza, mobilità elettrica e sistemi di accumulo è talmente dirompente, ormai, da rendere queste opzioni le più economicamente convenienti. Dal costo per i cittadini alla occupazione indotta.
Il nucleare civile in Francia è figlio delle scelte militari dei tempi di De Gaulle
Tornando alla ministra Parly, circa il nucleare conviene richiamare cenni storici forse ormai sbiaditi. Fu il generale De Gaulle a spiegare chiaramente ai cittadini che per perseguire la grandeur la Francia doveva sedere nel club dei detentori dell’arma atomica.
Per produrre bombe nucleari a fissione, come quella sperimentata ad Alamogordo, occorre disporre di plutonio. Proveniente da reattori nucleari ad hoc o estratto da combustibile esausto da reattori convenzionali. Stati Uniti ed Unione Sovietica accumularono durante la guerra fredda scorte di plutonio che nel 1982 si dice ammontassero a 300 tonnellate. Il che fu causa di preoccupazione per il rischio di incontrollata proliferazione di armi nucleari nel mondo.
Nasce in questo contesto il modello francese tout électrique alimentato da centrali termonucleari che generano l’80% dell’energia elettrica nazionale. È però da tempo chiaro a tutti che i nodi irrisolti della opzione nucleoelettrica, tali da minarne irreparabilmente la convenienza economica, sarebbero stati, come risulta sempre più evidente, il decommissioning degli impianti a fine vita e la gestione delle scorie radioattive.
Non a caso, la Francia proprio ora propone di prolungare di altri 10 anni, oltre i 25-30 ritenuti la norma, l’operatività di 32 reattori nucleari. Con le autorità competenti silenti di fronte alla richiesta da più parti avanzata di una consultazione pubblica transfrontaliera, mentre sospende la costruzione dell’EPR a Flamanville.
In Francia nei bilanci non c’è una separazione tra attività civili e militari
L’unico altro reattore EPR in costruzione (tecnologia francese) a Olkiluoto, in Finlandia, sta arrivando a vedere triplicati costi e tempi di realizzazione. In Francia, peraltro, non vi è separazione netta tra attività civili e militari nei bilanci (personale, impianti, materiali, amministrazione, ciclo del combustibile). Per cui l’utente francese pare pagare di meno l’elettricità, ma in realtà la paga molto di più tramite imposte per le spese nucleari militari.
Il nucleare civile nasce ab ovo come ancillare al militare, con ricadute anche in tema di rischi. Non va ad esempio dimenticato come molti esperti indichino quale tipico fattore di rischio per centrali nucleari civili il fatto che il lay out adottato da General Electric e Westinghouse per la loro realizzazione fosse quello dell’impianto installato come propulsore atomico su naviglio militare statunitense durante la competizione strategica con l’URSS. Schema progettuale che l’allocazione su navi e sommergibili esigeva estremamente compatto e con complesse connessioni tra le diverse componenti del reattore. Caratteristiche strutturali che, trasferite a scala reale di impianto civile nucleoelettrico da centinaia di MW di potenza, certo non ottimizzano il controllo dei fattori di rischio e gestione di emergenze.
Arricchimento dell’uranio o estrazione di plutonio da ritrattamento
L’intrinseco “dual-use militare/civile” vede i Paesi che detengono la bomba atomica passare per l’arricchimento dell’uranio (per cui l’Iran è sotto accusa, ma non lo è il Brasile che utilizza “a man salva” lo stesso processo). O per l’estrazione del plutonio dal ritrattamento del combustibile esaurito (strada seguita da Israele, India, Corea del Nord).
Conferma la subalternità degli sviluppi civili a quelli militari la constatazione che questi hanno portato a fabbricare 130mila testate nucleari. I primi ad avere oggi operativi 440 reattori a fronte di previsioni di costruzione di migliaia. Il Trattato START tra USA e Russia del 2010 dovrebbe portare a ridurre a 1.500 testate strategiche per parte i loro arsenali. Ma il numero totale di testate nel mondo ammonta ancora a 23mila (tra cui quelle degli altri Paesi nucleari e le testate tattiche).
«Il nucleare civile si sostiene solo per l’esternalizzazione di costi e perdite»
Il nucleare civile si sostiene solo per l’esternalizzazione dei costi e delle perdite. Di cui si fanno carico i contribuenti: incentivi, sovvenzioni, garanzie sui capitali investiti, limitazione delle responsabilità per i danni di incidenti (il governo giapponese studia il modo di sgravare Tepco dall’onere dei risarcimenti per decine o centinaia di miliardi). E controlli sanitari, spesa per la gestione e i depositi delle scorie radioattive sono costi appostati nei bilanci militari in modo non trasparente.
È poi bene non dimenticare che il rendimento energetico dei reattori nucleari è di circa il 33%. Solo un terzo dell’energia termica estratta dalla reazione a catena viene trasformata in energia elettrica. E due terzi si disperdono nell’ambiente attraverso i sistemi di refrigerazione (il cui malfunzionamento causa incidenti come a Three Mile Island, Chernobyl, Fukushima).
Il nucleare militare è costantemente rinnovato e finanziario, quello civile no
A mò di aneddoto, rammento che negli anni Settanta, per migliorare il citato rendimento del ciclo, Enel arrivò anche a sperimentare l’utilizzo delle acque in uscita dalle torri di raffreddamento. Per allevare carpe o per riscaldare suoli destinati alla coltivazione, ad esempio, di carciofi. In Italia, per la chiusura della limitata eredità nucleare, i cittadini pagano centinaia di milioni di euro all’anno nella bolletta elettrica. Così come pagano il “fermo centrali” dei tanti impianti a ciclo combinato figli del dissennato “sblocca-centrali” di marzaniana memoria. Che ci ha portato ad un parco centrali per una potenza installata doppia della necessaria alla luce della curva dei consumi.
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Il complesso nucleare militare viene costantemente rinnovato e finanziato (nuove testate, nuovi vettori, nuovi sommergibili, nuovi sistemi satellitari). Mentre la tecnologia nucleare civile non registra alcuna innovazione sostanziale. Si parla di innovativi reattori di quarta generazione che non esistono. Per lo sviluppo e lo scale up dei quali occorrerebbero comunque svariate decine di anni.
L’energia nucleare non può quindi considerarsi scelta atta a contrastare l’emergenza climatica, perché servirebbero centinaia di nuove centrali per la cui realizzazione occorrerebbero decenni. Incompatibili con gli scenari temporali indicati dall’Agenda 2030 e dal Green Deal. Né si tratta di un’energia pulita, dal momento che comporta scorie pericolose per centinaia o migliaia di anni. Mentre il ciclo industriale è ad alto impatto sociale ed ambientale, a partire dall’estrazione dei sali uraniferi in aree povere del Pianeta.