«Cara Lagarde, basta fossile». La nuova BCE tutelerà il clima?

Per salvare il Pianeta serve una nuova politica della BCE. Ma Eurotower non esita a finanziare il fossile. Attivisti pro clima scrivono alla neo-presidente

Matteo Cavallito
La presidente della BCE Christine Lagarde © kremlin.ru
Matteo Cavallito
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«La BCE non può limitarsi ad assistere passivamente all’aggravarsi della crisi climatica», dovrebbe invece impegnarsi, al pari delle altre banche centrali, a «spingere il sistema finanziario nella giusta direzione». È questo, in sintesi, il messaggio contenuto in una lettera aperta inviata oggi alla neo-presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde. Firmata da una quarantina di organizzazioni, tra cui la Fondazione Finanza Etica, Finance Watch e Positive Moneye da 60 esperti.

La stessa BCE, ricorda la missiva, è parte del Central Banks and Supervisors Network for Greening the Financial System (NGFS). Un’associazione di istituti centrali e regolatori che si pongono l’obiettivo di scambiare e sviluppare buone pratiche per contribuire alla protezione del Pianeta e alla gestione dei rischi finanziari associati al climate change. E proprio per questo, suggerisce la logica, la politica dell’Eurotower può diventare nel contesto attuale parte essenziale della soluzione.

Dalla BCE decine di miliardi al fossile

Il fatto, però, è che la BCE resta al tempo stesso anche parte del problema. L’istituto centrale, ricordano infatti i firmatari, «sta ancora acquistando su larga scala asset da società che operano in settori ad alta intensità di carbonio e legati ai combustibili fossili». I numeri non sono noti nel dettaglio, ma sulla base delle informazioni disponibili è lecito ipotizzare che Eurotower abbia finanziato negli anni il settore oil & gas (and coal…) con decine di miliardi di euro.

Quasi tre anni fa, il network giornalistico olandese Follow The Money, in particolare, aveva posto l’attenzione sul programma di acquisto delle obbligazioni private dell’Eurozona (Corporate Securities Purchasing Programme o CSPP) condotto dalla BCE. I risultati dell’indagine, basata sui dati diffusi dall’organizzazione Corporate Europe Observatory, apparivano già allora inequivocabili.

Oltre la metà degli acquisti, infatti, riguardava bond emessi da compagnie legate in qualche modo al settore fossile tra cui Shell, Total e Volkswagen.

La ricerca è aggiornata al febbraio del 2017 quando l’ammontare dei corporate bond in mano all’Eurotower era già pari a oltre 63 miliardi di euro e gli acquisti viaggiavano al ritmo di 8 miliardi ogni quattro settimane. Le obbligazioni acquistate in seno CSPP e tuttora in mano alla BCE ammontano a 182 miliardi di euro. I titoli emessi da imprese potenzialmente coinvolte nel mercato del fossile (ovvero i comparti utilities, automotive, energia e chimico) rappresentano circa un terzo del totale (34%).

Il cambiamento climatico? Costa 24mila miliardi di dollari

I firmatari della missiva puntano il dito in particolare sui rischi finanziari del clima. In un mondo destinato – almeno si spera – a produrre sforzi crescenti per il contrasto al riscaldamento globale, esporsi finanziariamente al settore fossile diventa problematico. È il noto fenomeno degli stranded assets, ovvero dell’inevitabile svalutazione delle risorse e dei titoli dei comparti petrolio, gas e carbone. Uno studio dell’associazione Carbon Tracker ipotizza che le perdite patite dagli azionisti nel comparto fossile da qui al 2030 potrebbero raggiungere i 2.200 miliardi di dollari. Ma a pesare non è solo l’effetto stranded.

Nel 2016 una ricerca congiunta della London School of Economics e di
Vivid Economics Ltd. ha esteso l’analisi ai rischi che il cambiamento climatico potrebbe generare nel sistema finanziario nel suo complesso. Le perdite totali, in questo caso, potrebbero superare i 24 mila miliardi di dollari. «Per tutte queste ragioni», si legge ancora nella lettera, «abbiamo bisogno di un massiccio spostamento dei flussi finanziari verso una transizione a basse emissioni di carbonio e socialmente equa, e ciò non può essere fatto senza che le banche centrali spingano attivamente il sistema finanziario nella giusta direzione. Questo non solo renderà la nostra economia più sostenibile, ma faciliterà la creazione di posti di lavoro in settori a minore intensità di carbonio».

Dalla Lagarde una svolta per la BCE?

Proprio per questo, concludono i promotori della lettera, «la BCE dovrebbe impegnarsi senza ulteriori ritardi a eliminare gradualmente dai proprio portafoglio gli asset ad alta intensità di carbonio». Punto di partenza, suggerisce la missiva, «l’immediato disinvestimento dal carbone» oltre a una profonda valutazione dell’impatto climatico delle operazioni di politica monetaria. Il giro di vite, suggeriscono ancora i promotori, dovrebbe precedere l’adozione della cosiddetta tassonomia, il sistema di classificazione degli investimenti sostenibili elaborato dalla Commissione Europea e tuttora oggetto di critiche per i suoi criteri, per così dire, non del tutto green.

La buona notizia, in ogni caso, è che Christine Lagarde non sembrerebbe del tutto insensibile al problema, anzi. Negli ultimi tempi la neo-presidente della BCE ha espresso un certo realismo politico («Non possiamo limitarci ad acquistare green bond», ha dichiarato in riferimento alle dimensioni ancora ridotte di questo mercato in rapporto al bilancio della banca centrale, fissato a 2,5 trilioni di euro) senza tuttavia esitare a definire «una priorità» l’impegno di Eurotower e colleghe nel contrasto al cambiamento climatico.

Sul tema, per altro, è intervenuto nelle scorse settimane il numero due della BCE, Luis De Guindos. Parlando a Londra in una conferenza organizzata da BNP Paribas, il vice della Lagarde ha ipotizzato che Eurotower possa inserire le valutazioni sui rischi climatici negli stress test periodici condotti sulle banche europee. Un provvedimento, sostiene la Reuters, che potrebbe concretizzarsi a partire dal 2022.