Centrali, fabbriche e automobili: per salvare il clima dobbiamo smantellarle

Uno studio spiega che per rispettare l'Accordo di Parigi sul clima non basterà smettere di costruire centrali, fabbriche e auto alimentate da fonti fossili

Secondo uno studio americano pubblicato da Nature, le sole infrastrutture alimentate da fonti fossili esistenti emetteranno tanta CO2 nella loro vita da impedirci di salvare il clima. Immagine via Pixabay

Se le automobili, le centrali elettriche, le fabbriche e le altre infrastrutture esistenti in tutto il mondo continueranno a consumare energia prodotta da fonti fossili per l’intero arco della loro vita, sarà impossibile limitare la crescita della temperatura media globale ad 1,5 gradi centigradi, entro la fine del secolo. Ovvero, sarà impossibile centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e salvare il clima del pianeta Terra.

Con le sole infrastrutture esistenti supereremo gli 1,5 gradi

Ad affermarlo è un nuovo studio pubblicato dalla rivista Nature. Secondo il quale per evitare il peggio occorrerà dunque, non soltanto rinunciare definitivamente alla costruzione di nuove infrastrutture alimentate da gas, petrolio e carbone. Ma dovremo anche accelerare la chiusura di quelle esistenti.

Gli autori dell’analisi hanno così contabilizzato tutte le emissioni rilasciate dai differenti settori. Quindi hanno calcolato la durata media in servizio di fabbriche, industrie, mezzi di trasporto. Ad esempio, una centrale a carbone inaugurata oggi emetterà milioni di tonnellate di CO2 nel corso della sua vita, stimata in 40 anni. Un’automobile che emette quattro tonnellate all’anno di biossido di carbonio arriverà ad un totale di 60 in un periodo di 15 anni.

Una miniera di carbone in Slovenia. Il mondo dovrà finanziare una transizione energetica se vorrà centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi © Petar Milošević/Wikimedia Commons

Lo studio ha quindi sottratto dal totale la CO2 che viene assorbita da foreste e oceani. Il risultato indica che il quantitativo di gas ad effetto serra che sarà disperso nell’atmosfera nei prossimi decenni sarà pari a 652 miliardi di tonnellate. Una cifra ben superiore al massimo calcolato dall’IPCC per avere buone possibilità di evitare la catastrofe. E ciò, beninteso, non per avere la certezza di aver scongiurato la crisi climatica. Bensì per avere, ha spiegato il panel intergovernativo, «il 50% di possibilità di non superare gli 1,5 gradi».

Senza considerare il settore agricolo e la deforestazione

A rendere ancor più allarmante lo studio, c’è poi il fatto che esso non prende in considerazione le emissioni provocate dall’agricoltura. Né quelle determinate dai processi di deforestazione e da altri cambiamenti anti-ecologici imposti al suolo. Tralascia, in altre parole, poco meno di un quarto delle emissioni globali.

E anche per quanto riguarda le fonti fossili, tiene conto soltanto della loro combustione. Non, dunque, delle emissioni legate alla loro estrazione. Anche in questo caso parliamo di cifre mostruose: basti pensare che in Canada per ricavare petrolio dalle sabbie bituminose viene bruciato più di un terzo del gas naturale prodotto nel Paese.

«Sul clima progressi alla cieca»

Steven Davis, ricercatore dell’università della California e coautore del paper, ha spiegato al National Geographic che l’Onu e i governi si sono concentrati finora sulle emissioni annuali. Il che a suo avviso non è sufficiente: «È come guidare in autostrada guardando solo dal finestrino laterale». In altre parole, anche se oggi si ottengono importanti diminuzioni della CO2 dispersa nell’atmosfera, tutto dipenderà dalle scelte strategiche dei governi. Altrimenti, di fatto, anche gli eventuali progressi è come se fossero effettuati «alla cieca».

Lo studio ha infatti calcolato quali saranno le emissioni totali se, alle centrali a carbone, petrolio o gas esistenti, si aggiungeranno quelle attualmente in costruzione. Ebbene il dato complessivo salirà a 846 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio (senza tenere conto di trasporti, fabbriche e altre infrastrutture).

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Investimenti nelle fonti fossili ancora altissimi

Il National Geographic cita in questo senso Glen Peters, dirigente presso il Centro internazionale per il Clima e l’ambiente della Norvegia. Secondo il quale «i progressi in materia di energie rinnovabili, per quanto rapidi, non sono ancora sufficienti per coprire la crescita annuale della domanda di energia».

Lo studio americano, infine, sottolinea le preoccupazioni espresse da banche centrali e altri istituti finanziari. Secondo i quali la non cessazione degli investimenti nelle “infrastrutture fossili” rappresenta una minaccia per la stabilità economica mondiale. Ciò nonostante, dal 2016 al 2018, i 33 principali istituti di credito del mondo hanno concesso finanziamenti al settore per un totale di 1.900 miliardi di dollari. E le compagnie petrolifere prevedono di investire quasi 5.000 miliardi in nuovi giacimenti.