Dalle grandi banche 1.900 miliardi di dollari alle fonti fossili

Nonostante l’Accordo di Parigi, le 33 più grandi banche del mondo continuano a finanziare carbone, petrolio e gas. Tra le italiane figura Unicredit

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Le grandi banche internazionali non vogliono impegnarsi seriamente per salvare il nostro Pianeta. Forse per scarsa comprensione dei rischi che corriamo a causa dei cambiamenti climatici. Forse per incapacità. Forse perché è più forte la volontà di non rinunciare al business as usual. Ma la realtà è questa: a certificarlo è il rapporto “Banking on Climate Change”, che ha analizzato il quantitativo di denaro concesso negli ultimi anni dai colossi finanziari di tutto il mondo nel settore dei combustibili fossili.

Soltanto quattro banche americane hanno concesso 581 miliardi di dollari

Questi ultimi – carbone e petrolio in primo luogo – rappresentano le principali zavorre che frenano la transizione energetica. Associazioni ecologiste, università, istituti di ricerca, agenzie delle Nazioni Unite lo ripetono da anni. Se vogliamo rispettare gli impegni assunti con l’Accordo di Parigi del 2015, le fonti fossili devono rimanere sottoterra. Eppure, dal 2016 al 2018, i 33 principali istituti di credito del mondo hanno concesso finanziamenti al settore per un totale di 1.900 miliardi di dollari.

Il documento è stato pubblicato dalle ong Rainforest Action Network, BankTrack, Indigenous Environmental Network, Oil Change International, Sierra Club e Honor the Earth. Ed è stato appoggiato da altre 163 organizzazioni di tutto il mondo. Secondo i dati forniti nel testo, a beneficiare dell’immensa mole di denaro sono state circa 1.800 aziende. Ma un terzo del totale è stato versato a sole 100 compagnie attive nel comparto. Che in questo modo «hanno potuto aumentare fortemente la loro produzione».

banche fossili
La classifica mondiale delle banche che hanno fornito più fondi al settore delle fonti fossili © “Banking on Climate Change”

Anche Unicredit nell’elenco dei nemici del clima (17 mld in tre anni alle fossili)

Nel mirino delle Ong ci sono soprattutto le banche statunitensi. JP Morgan Chase, Wells Fargo, Citi e Bank of America hanno concesso nel triennio 2016-2018 più di 581 miliardi di dollari. Al quinto posto, con 100 miliardi, figura la canadese RBC. Nell’elenco sono presenti poi istituti elvetici come Crédit Suisse e UBS, banche inglesi come Barclays e RBS. Ma anche francesi come BNP Paribas, Société Générale e Crédit Agricole. E l’italiana Unicredit. Il colosso milanese ha fornito al comparto delle fossili 17 miliardi in tutto: 6,4 nel 2016, 6,6 nel 2017 e quasi 4 miliardi nel 2018.

«La nostra analisi – ha spiegato Alison Kirsch, dirigente del Rainforest Action Network – rappresenta un allarme rosso. Il ritmo al quale le banche globali continuano ad iniettare miliardi nel settore è incompatibile con la salvaguardia del futuro. È un insulto alla logica, alla scienza e all’umanità. Se la finanza non abbandonerà rapidamente le energie sporche, il collasso planetario non sarà solo probabile, ma anche imminente».

https://twitter.com/Alison_Kirsch/status/1108457929810698241

«È un insulto alla logica, alla scienza e all’umanità»

Secondo il rapporto, infatti, le scelte delle grandi banche continuano ad alimentare il riscaldamento climatico. Allontanandoci dall’obiettivo di mantenere la crescita della temperatura media globale, alla fine del secolo, ad un massimo di 2 gradi centigradi, rispetto ai livelli pre-industriali. E ciò nonostante l’ultimo rapporto IPCC abbia spiegato che anche con soli 1,5 gradi gli sconvolgimenti saranno enormi.

Per questo lo stesso “Special report 15” ha sottolineato che il mondo dovrà liberarsi forzatamente della dipendenza dai combustibili fossili. E dovrà farlo entro il 2035. Per riuscirci, occorrono ingenti investimenti nelle fonti rinnovabili: pari a 2.400 miliardi all’anno. Da parte della finanza occorre dunque un cambiamento diametrale di strategia.

Il contributo in rapporto alla popolazione di ciascun Paese © “Banking on Climate Change”

Dalla Svizzera il maggior apporto pro-capite. Italia decima nel mondo

Basti pensare che un recente rapporto di Greenpeace Svizzera ha mostrato come soltanto Crédit Suisse e UBS abbiano fornito nel periodo 2015-2017 12,3 miliardi di dollari ad imprese che sfruttano i combustibili fossili più “sporchi”. Ovvero quelli considerati “estremi”. Ne fanno parte non solo il carbone ma anche, ad esempio, il petrolio ottenuto dalle sabbie bituminose. Secondo il documento, “in questo modo, le due banche – da sole – hanno finanziato un totale di 182,9 milioni di tonnellate di emissioni di gas ad effetto serra”.

Non a caso, il rapporto “Banking on Climate Change” indica proprio la Svizzera come la nazione che presenta il valore più altro pro-capite. A causa dell’operato delle banche elvetiche, infatti, è come se ciascuno degli 8,4 milioni di abitanti della nazione europea abbia investito nelle fonti fossili oltre 9.800 dollari. Al secondo posto di tale classifica figura il Canada, con 9.200 dollari pro-capite. Mentre al terzo c’è il Regno Unito con quasi 2.500. L’Italia è decima, con 281 dollari a testa.

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