Proteggere il clima e la finanza, con una mossa sola
Tenere conto dei rischi climatici consentirebbe di diminuire i rischi per il sistema finanziario e diminuire l'esposizione verso le fossili
Una nuova ricerca della rete europea Finance Watch evidenzia come le 60 più grandi banche del mondo presentano un’esposizione di 1.350 miliardi di dollari in asset legati ai combustibili fossili.
Cosa rischiano le banche concedendo prestiti
Se sono purtroppo chiari i rischi e gli impatti per il clima e il Pianeta, la ricerca evidenzia quelli sullo stesso sistema bancario e finanziario. Ogni credito concesso da una banca porta con sé il rischio di non essere restituito dal cliente. Per questo le banche sono chiamate a mettere da parte un certo quantitativo di capitale proprio. In modo da evitare che tale eventualità possa avere delle ricadute sulla stabilità della banca stessa e del sistema finanziario in generale.
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È però necessario stimare quanto sia rischioso un prestito, ovvero quanto capitale occorre mettere da parte. A deciderlo è il Comitato di Basilea, che riunisce i governatori delle banche centrali dei Paesi più industrializzati. Ogni tipologia di credito viene pesata a seconda del rischio. Di conseguenza le banche dovranno accantonare più o meno capitale (si parla di “assorbimento patrimoniale”) nel momento in cui concedono un prestito considerato più o meno rischioso.
Le banche ancora ignorano i rischi climatici
Attualmente i rischi climatici non vengono però presi in considerazione. E non è un problema da poco, ricordando come sia necessario andare progressivamente e rapidamente verso la fine dello sfruttamento dei fossili se vogliamo sperare di mantenere il riscaldamento globale entro limiti accettabili. Tutti gli accordi e le istituzioni internazionali lo richiedono. L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha recentemente ricordato come non andrebbe più finanziato alcun nuovo progetto di sfruttamento delle fonti fossili.
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Come spiegano i ricercatori di Finance Watch, «il mantenimento degli impegni internazionali sul clima, come l’Accordo di Parigi, comporterà una significativa perdita di valore per numerosi asset legati ai combustibili fossili. In assenza di interventi normativi concreti per accompagnare la nuova realtà, i rischi di una transizione disordinata e di dissesti legati al clima rischiano di essere maggiori di quanto il sistema finanziario sia in grado di gestire».
Rischiamo un “effetto-Lehman” climatico
Sempre secondo gli autori della ricerca, «poiché i rischi finanziari legati al clima crescono proporzionalmente al tempo di inazione, se in futuro dovessero concretizzarsi in modo improvviso darebbero luogo a una sorta di “effetto-Lehman” climatico». Il riferimento è al crollo della banca d’affari americana Lehman Brothers, nel settembre del 2008, che innescò una crisi mondiale
Per tenere conto dei rischi associati al clima, i requisiti di capitale per i prestiti alle fonti fossili andrebbero quindi aumentati. La ricerca stima che il maggiore assorbimento, per i 60 più grandi gruppi bancari internazionali, è compreso tra i 157 e i 210 miliardi di dollari. È una cifra sicuramente non proibitiva per questa banche, pari a 3-5 mesi di utili.
Riconoscere il rischio climatico renderebbe i prestiti alle fonti fossili più costosi per le banche
Un calcolo simile è stato fatto anche per le principali banche italiane. L’esposizione nei fossili è pari a 17 miliardi di dollari, e servirebbero 2,3 miliardi di dollari di capitale aggiuntivo per coprirli. Nuovamente, da 3 a 5 mesi di utili di questi istituti.
È una cosa assolutamente fattibile, quindi, con conseguenze positive non solo per la stabilità bancaria e finanziaria, per quanto importante. C’è infatti un altro aspetto, ancora più fondamentale. Riconoscere il rischio climatico e chiedere maggiori assorbimenti patrimoniali per i prestiti alle fossili renderebbe tali operazioni più costose per le banche. Il che porterebbe inevitabilmente a spostare i prestiti verso settori con minore impatto ambientale.
In altre parole, agire sui requisiti di capitale rappresenta uno strumento di straordinaria efficacia per la transizione ecologica dell’economia. Un intervento, è bene ricordarlo in questi tempi, a costo zero per le casse pubbliche.
Per la finanza è anche questione di coerenza
Negli ultimi anni sono proliferate le reti internazionali di banche e altri attori finanziari impegnati – a parole – per la transizione ecologica e verso il “net zero”, ovvero l’azzeramento delle emissioni nette di CO2. Dichiarazioni continue di attenzione all’ambiente e alla sostenibilità da parte di quasi tutti i 60 maggiori gruppi bancari oggetto della ricerca.
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Stando a queste dichiarazioni, le maggiori banche del mondo dovrebbero essere ben contente di adottare requisiti di capitale simili. Perché ciò le aiuterebbe a migliorare la stabilità finanziaria globale e ad andare concretamente verso l’azzeramento delle emissioni nette. Tutti d’accordo, quindi?