Cop 25, prima settimana di negoziati in salita
A Madrid emergono grandi divergenze tra le parti. In particolare sui finanziamenti, sullo scambio di emissioni di CO2 e sulla loro contabilizzazione
Si respira un’aria di attesa, alla Cop 25 di Madrid, nella prima mattinata di sabato 7 dicembre. Le bozze dei testi sui negoziati, che si attendevano nella serata di venerdì, non sono ancora stata pubblicate per intero. L’Unfccc ha fornito finora soltanto alcuni testi. La prima settimana di negoziati non è dunque di fatto ancora conclusa e fonti delle organizzazioni non governative presenti alla conferenza indicano che potrebbero protrarsi ancora per ore.
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Cosa divide il mondo alla Cop 25 di Madrid
«Meglio che le nazioni prendano il tempo di cui hanno bisogno. Scegliere delle regole tanto per sceglierle non serve a niente. Occorre trovare quelle giuste», ha spiegato Erika Lennon, avvocato del Climate & Energy Program Center for International Environmental Law, che segue da vicino i negoziati. A dividere il mondo sono principalmente tre questioni:
- i finanziamenti,
- il mercato per lo scambio delle quote di emissioni di CO2;
- il cosiddetto “double counting”.
Sul primo punto, a Madrid si sta riproponendo l’annosa contrapposizione tra le nazioni ricche e quelle in via di sviluppo. Il nodo centrale è quello del finanziamento di “perdite e danni” (“loss & damage”). Si tratta di un meccanismo richiesto dalle nazioni più povere della Terra e più vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici. I governi di tali Paesi chiedono, infatti, che venga loro riconosciuto tale “status”. E che, in virtù di esso, i governi più ricchi, e maggiormente responsabili delle emissioni climalteranti, accettino di mettere mano al portafoglio.
Il Nord del mondo, tuttavia – o almeno parte di esso – continua a rifiutare l’adozione di un meccanismo che dovrebbe funzionare in modo quasi-automatico. «Quello che chiediamo – spiega Sadie DeCoste, coordinatrice del gruppo di lavoro “Loss & damage” del Climate Action Network – è che i governi dei Paesi sviluppati accettino definitivamente il principio secondo il quale devono essere loro a fornire i finanziamenti. Per i quali occorre anche esplorare nuove vie, nuovi meccanismi. Con l’obiettivo di raggiungere coloro che soffrono di più».
I diritti umani e i meccanismi di riduzione delle emissioni
La seconda questione che sta complicando i negoziati della Cop 25 è quella del sistema ETS globale. Si tratta dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, sul quale ciò che trapela è ancora un’ampia distanza tra le parti. La questione è d’altra parte cruciale: in assenza di un meccanismo basato su regole stringenti ed efficaci, il rischio è di rendere il mercato globale dei carbon credits un sistema inutile.
Sul punto, inoltre, la discussione verte anche sul tema dei diritti umani. La loro protezione, secondo le organizzazioni non governative, dovrà essere integrata nel sistema. Esistono, infatti, alcuni progetti volti alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti che possono di fatto porre in pericolo popolazioni o ecosistemi. È il caso, ad esempio, di alcuni tipi di dighe. E che possono generare anche dei carbon credit.
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Gli effetti perversi del “double counting”
Il terzo punto di scontro alla Cop 25 di Madrid è quello del “double counting”. Con esso si indica la situazione in cui una singola riduzione di emissioni di CO2 possa essere contabilizzata più di una volta. Il che, di fatto, può falsificare i dati complessivi. In termini concreti, il rischio è che ad esempio una pala eolica costruita in Cina ed utilizzata in Germania, sulla base di una partnership nel progetto tra i due Paesi, possa essere calcolata come elemento virtuoso da entrambi gli Stati. E da entrambi considerata “utile” per centrare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni nazionali.
In alternativa, il “double counting” può implicare che la stessa opera di riduzione possa essere utilizzata per centrare differenti obiettivi. Ma può anche contribuire a generare crediti nel sistema ETS, che potrebbero a loro volta essere utilizzati da uno Stato per centrare i propri obiettivi di riduzione, acquistandoli sul mercato.
«Le ragioni che stanno provocando gli stalli nei negoziati – conferma Li Shuo, Senior Global Policy Advisor di Greenpeace in Asia orientale – sono di natura strettamente politica. Ci sono nazioni che stanno manifestando interessi diversi, come nel caso del Brasile. Eppure, ieri, la grande manifestazione che ha attraversato le strade di Madrid ha dimostrato che le persone non hanno più voglia di aspettare. Abbiamo un gap da recuperare in termini di emissioni climalteranti e ci attendiamo che il mondo invii un segnale chiaro».